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Andrea Parodi nasce a Cantù, cittadina brianzola nota per l’artigianato del legno e, negli anni Settanta, per la gloriosa squadra di basket, il 6 maggio 1975. Da pochi giorni il Governo italiano ha modificato la legge sulla famiglia, stabilendo di fatto la parità tra i sessi. Il Torino di Gigi Radice con i “gemelli del gol” Graziani e Pulici si sta avviando a vincere uno storico scudetto, che mancava dai tempi del Grande Torino che perì nella tragedia di Superga. La famiglia di Andrea ha origini piemontesi, i bisnonni erano di Alice Belcolle, nell’Alessandrino, a pochi chilometri da Cassine, paese che diede i Natali a Gianni Rivera. Andrea non subisce il fascino del grande Torino e nemmeno il richiamo famigliare del “golden boy”. Cresce tifoso della Juventus e ascolta cantautori liguri, romani e bolognesi. In paese c’è una piccola ma fornita bottega di dischi, “Music maker”. E’ dalle frequentazioni con il titolare che Andrea affina le sue conoscenza musicali. A partire da dieci anni spende le sue paghette settimanali in musicassette di De Andrè e dei Beatles, vinili degli Stones e più tardi entra nel mondo di Dylan, Mellencamp, Steve Earle e Cohen. Nel 1989 si iscrive al liceo scientifico Fermi. Una tappa importante, il preside dell’istituto è Antonio Silva, presentatore e “anima” del Premio Tenco di Sanremo, nato proprio nel 1975 come ritrovo e isola felice della canzone d’autore italiana. Silva stringe la mano ad artisti del calibro di Fabrizio De Andrè, Tom Waits, Jacques Brel e Vinicius De Moraes, Andrea divora dischi di Bob Dylan, del poeta genovese e di De Gregori, prima di conoscere splendori e miserie del midwest americano: da Townes Van Zandt a John Prine, da Woodie Guthrie ai tanti suoi figli. Dopo aver interrotto l’università (lettere) e aver provato il Centro Professione Musica di Milano come paroliere, decide di impegnarsi nel sociale e lungo tutto l’arco degli anni Novanta segue gli psicolabili prima e minori a rischio poi. In questo periodo nasce l’amore per la chitarra e la voglia di mettere qualche lirica scarabocchiata tra un centro sociale e una partita di calcio. Una sera, durante una gita in Valtellina con amici, prende in mano una Hyundai semiacustica e compone la prima canzone, “Il sei maggio”. Mentre continua a girare i campetti di seconda categoria con il Cantù, il Real Capiago e il Mirabello indossando la maglia numero 10 di Rivera e del suo idolo Roberto Baggio, inizia ad esibirsi in coppia con il chitarrista Davide Buffoli. Esegue cover di De Andrè, Steve Earle, Van Zandt, Dylan, oltre alle sue prime composizioni.
Crescono i capelli, la passione per la musica e la voglia di portare un po’ di note buone nella sua Brianza annoiata. Così inizia a collaborare con la rivista musicale “La tela” e scrive per il quotidiano “Il corriere di Como”. Nel 1998 organizza la kermesse “Septemberfest” a Cantù, portando sul palco personaggi del calibro di Dave Alvin, Jono Manson, Victoria Williams, oltre a gruppi orientali, bluesmen nostrani e folkband britanniche.
Nel 1999 porta in giro per i locali brianzoli, in coppia con Buffoli, un buon numero di brani originali. Parlano di sogni americani, di storie di provincia, di incontri improbabili come quello tra Gesù Cristo e John Lennon raccontato in “Storie d’altri tempi” o di matrone felliniane ad Alzate Brianza che insegnano l’amore agli adolescenti (“L’ultimo sole”). Viene più volte chiamato ad aprire i concerti di musicisti internazionali come Eric Andersen, Jimmy La Fave, Jono Manson, Ruth Gerson, Ian Matthews, Steve Young, Tom Russell, Neal Casal, David Massengill, Ed Pettersen, Willie Nile, Gary Hall, Bob Childers, Darden Smith, Greg Trooper, Chip Taylor, Rick Danko (The Band)… e degli italiani Massimo Bubola e Claudio Lolli. Poi il grande incontro, quello con il musicista canadese Bocephus King, al secolo Jamie Perry. Durante una tournée italiana i due diventano amici. Li unisce la passione per la buona musica e l’amore per il grande Cinema, specialmente quelli dei fratelli Coen. Dopo nottate a suonare e trovare accordi, Andrea decide che registrerà il suo primo album a Vancouver. King, entusiasta delle canzoni dell’amico italiano, mette a disposizione tutta la sua abilità arrangiativa, i suoi musicisti e un brano da tradurre (“Nowhere at all” che diventerà “Lui non c’è più”). Nel periodo canadese, condito da serate in locali underground al confine con gli Stati Uniti, Parodi, King e i Rigalattos (Dan Parry, Darren Parris, Paul Rigby, Doug Fujisawa) registrano dieci tracce e si divertono in una “Calabrisella mia” che, nata come uno scherzo, diventerà la ciliegina sulla torta dell’album “Le piscine di Fecchio”. Mixato da Craig Waddle, eminenza grigia del sound engineering canadese (sue molte tracce di Bryan Adams), “Le piscine di Fecchio” per i suoni, i ritmi e la costruzione dei pezzi è il disco meno italiano degli ultimi anni, ma musiche e testi del cantautore canturino ci riportano in Brianza, passando dal Tennessee. Si parte con “La neve nel tempo”, liriche metaforiche e tempo ossessivo scandito dal tictac di nessun metronomo, poi c’è “Carolina” che non è altro che “Tecumseh valley” di Townes Van Zandt trasportata tra la Genova delle calate deandreane e la Sardegna dei minatori. “Il killer del Tennessee” è un omaggio all’America sospeso tra i “murder blues” del Delta e le storie surreali (ma non troppo) di James Ellroy. Dopo la già citata “L’ultimo sole” c’è la title-track, visione agrodolce della frazione di Cantù dove Parodi vive con la famiglia. Autobiografica anche “Padre”, il testo più poetico dell’album su una musica che ricorda il primo De Gregori. “Lui non c’è più” è una ballata che sdrammatizza i toni dell’album, “Storie d’altri tempi” vede il ritorno di Gesù Cristo alla Stazione Centrale di Milano, “I rododendri della sera” è un tuffo nel romanticismo davvero “d’altri tempi”, in ricordo alle lettere scritte dal nonno alla moglie dalla lontana Turchia. Prima della festosa “Calabrisella mia”, inno da emigranti e omaggio alla comunità italiana in Canada, una delle ballate più intense del disco, “A est della notte”, illuminata dal pianoforte alla Keith Jarrett di Doug Fujisawa. Il tutto per un prodotto davvero poco italiano, suonato magistralmente e tutto da ascoltare. La vita artistica, che poi per ora è anche quella di tutti i giorni, di Andrea Parodi non si esaurisce con “Le piscine di Fecchio”. Nell’estate 2001 torna in Canada e si esibisce con il chitarrista Paul Rigby in numerosi locali, tra cui lo storico “Railway club” di Vancouver, che lo mette in cartellone accanto a mostri sacri come Los Lobos, K.d. Lang, Taj Mahal e Radiohead. I due suonano anche a Point Roberts negli Usa (strano paesino sull’oceano dove la gente ama alla stessa maniera John Prine e gli Ac/Dc) e prende parte al festival di Harrison Lake. Tra ottobre e novembre la tournée si trasferisce in Italia. Parodi apre i concerti di Bocephus King e, accompagnato dal versatile Rigby, riceve consensi da Castiglion Fiorentino a Pesaro, da Roma a Trento, Padova, Gaeta, Torino, Lecco, Asti, Cecina, Reggio Emilia e sui Navigli a Milano. Il 16 novembre partecipa all’Only a Hobo Festival di Sesto Calende organizzato da Carlo Carlini e divide il palco con Peter Case e John Hammond. I locali culto del folk-rock vedono le sue esibizioni, durante le quali Andrea propone anche due nuovi brani “Pane arance e fortuna” e “Hotel est” che mettono in mostra una vena creativa crescente e una voce più matura e consapevole delle sue possibilità. Attualmente sta lavorando alla traduzione di “Changing of the guard” di Bob Dylan, mentre Bocephus King nel suo nuovo disco “All the children believe in heaven” probabilmente inserirà una personale versione di “A est della notte”. La collaborazione tra i due prosegue, il percorso artistico di Parodi è soltanto all’inizio.
Crescono i capelli, la passione per la musica e la voglia di portare un po’ di note buone nella sua Brianza annoiata. Così inizia a collaborare con la rivista musicale “La tela” e scrive per il quotidiano “Il corriere di Como”. Nel 1998 organizza la kermesse “Septemberfest” a Cantù, portando sul palco personaggi del calibro di Dave Alvin, Jono Manson, Victoria Williams, oltre a gruppi orientali, bluesmen nostrani e folkband britanniche.
Nel 1999 porta in giro per i locali brianzoli, in coppia con Buffoli, un buon numero di brani originali. Parlano di sogni americani, di storie di provincia, di incontri improbabili come quello tra Gesù Cristo e John Lennon raccontato in “Storie d’altri tempi” o di matrone felliniane ad Alzate Brianza che insegnano l’amore agli adolescenti (“L’ultimo sole”). Viene più volte chiamato ad aprire i concerti di musicisti internazionali come Eric Andersen, Jimmy La Fave, Jono Manson, Ruth Gerson, Ian Matthews, Steve Young, Tom Russell, Neal Casal, David Massengill, Ed Pettersen, Willie Nile, Gary Hall, Bob Childers, Darden Smith, Greg Trooper, Chip Taylor, Rick Danko (The Band)… e degli italiani Massimo Bubola e Claudio Lolli. Poi il grande incontro, quello con il musicista canadese Bocephus King, al secolo Jamie Perry. Durante una tournée italiana i due diventano amici. Li unisce la passione per la buona musica e l’amore per il grande Cinema, specialmente quelli dei fratelli Coen. Dopo nottate a suonare e trovare accordi, Andrea decide che registrerà il suo primo album a Vancouver. King, entusiasta delle canzoni dell’amico italiano, mette a disposizione tutta la sua abilità arrangiativa, i suoi musicisti e un brano da tradurre (“Nowhere at all” che diventerà “Lui non c’è più”). Nel periodo canadese, condito da serate in locali underground al confine con gli Stati Uniti, Parodi, King e i Rigalattos (Dan Parry, Darren Parris, Paul Rigby, Doug Fujisawa) registrano dieci tracce e si divertono in una “Calabrisella mia” che, nata come uno scherzo, diventerà la ciliegina sulla torta dell’album “Le piscine di Fecchio”. Mixato da Craig Waddle, eminenza grigia del sound engineering canadese (sue molte tracce di Bryan Adams), “Le piscine di Fecchio” per i suoni, i ritmi e la costruzione dei pezzi è il disco meno italiano degli ultimi anni, ma musiche e testi del cantautore canturino ci riportano in Brianza, passando dal Tennessee. Si parte con “La neve nel tempo”, liriche metaforiche e tempo ossessivo scandito dal tictac di nessun metronomo, poi c’è “Carolina” che non è altro che “Tecumseh valley” di Townes Van Zandt trasportata tra la Genova delle calate deandreane e la Sardegna dei minatori. “Il killer del Tennessee” è un omaggio all’America sospeso tra i “murder blues” del Delta e le storie surreali (ma non troppo) di James Ellroy. Dopo la già citata “L’ultimo sole” c’è la title-track, visione agrodolce della frazione di Cantù dove Parodi vive con la famiglia. Autobiografica anche “Padre”, il testo più poetico dell’album su una musica che ricorda il primo De Gregori. “Lui non c’è più” è una ballata che sdrammatizza i toni dell’album, “Storie d’altri tempi” vede il ritorno di Gesù Cristo alla Stazione Centrale di Milano, “I rododendri della sera” è un tuffo nel romanticismo davvero “d’altri tempi”, in ricordo alle lettere scritte dal nonno alla moglie dalla lontana Turchia. Prima della festosa “Calabrisella mia”, inno da emigranti e omaggio alla comunità italiana in Canada, una delle ballate più intense del disco, “A est della notte”, illuminata dal pianoforte alla Keith Jarrett di Doug Fujisawa. Il tutto per un prodotto davvero poco italiano, suonato magistralmente e tutto da ascoltare. La vita artistica, che poi per ora è anche quella di tutti i giorni, di Andrea Parodi non si esaurisce con “Le piscine di Fecchio”. Nell’estate 2001 torna in Canada e si esibisce con il chitarrista Paul Rigby in numerosi locali, tra cui lo storico “Railway club” di Vancouver, che lo mette in cartellone accanto a mostri sacri come Los Lobos, K.d. Lang, Taj Mahal e Radiohead. I due suonano anche a Point Roberts negli Usa (strano paesino sull’oceano dove la gente ama alla stessa maniera John Prine e gli Ac/Dc) e prende parte al festival di Harrison Lake. Tra ottobre e novembre la tournée si trasferisce in Italia. Parodi apre i concerti di Bocephus King e, accompagnato dal versatile Rigby, riceve consensi da Castiglion Fiorentino a Pesaro, da Roma a Trento, Padova, Gaeta, Torino, Lecco, Asti, Cecina, Reggio Emilia e sui Navigli a Milano. Il 16 novembre partecipa all’Only a Hobo Festival di Sesto Calende organizzato da Carlo Carlini e divide il palco con Peter Case e John Hammond. I locali culto del folk-rock vedono le sue esibizioni, durante le quali Andrea propone anche due nuovi brani “Pane arance e fortuna” e “Hotel est” che mettono in mostra una vena creativa crescente e una voce più matura e consapevole delle sue possibilità. Attualmente sta lavorando alla traduzione di “Changing of the guard” di Bob Dylan, mentre Bocephus King nel suo nuovo disco “All the children believe in heaven” probabilmente inserirà una personale versione di “A est della notte”. La collaborazione tra i due prosegue, il percorso artistico di Parodi è soltanto all’inizio.