Il principe del quotidiano - Prima parte (1977 – 1998)

Il principe del quotidiano - Prima parte (1977 – 1998) Paul Muldoon


04/04/2022 Articolo di Vincenzo Petronelli

Leggi la seconda parte, 2002 – 2021


Poetica

Paul Muldoon (1951 -) è una tra le principali figure poetiche internazionali degli ultimi cinquant’anni: definito dal Time Literary Supplement, “il più significativo poeta di lingua inglese nato dopo la seconda guerra mondiale”, è ancora relativamente poco conosciuto e tradotto in Italia, nonostante il suo impegno presso la casa editrice Crocetti, come componente di redazione della prestigiosa e storica rivista Poesia.

Originario di Portadown, nell’Irlanda del Nord, cresce in una famiglia di confessione cattolica aderendo al Belfast Group che annoverava tra gli altri Seamus Heaney, di cui diventa allievo alla Queens’University. Segnalatosi già dalla sua prima silloge per la sua particolarità nel panorama della letteratura anglofona, Muldoon unisce la sensibilità cattolica nordirlandese alla più alta tradizione artistica inglese.

Dopo un’esperienza come produttore alla BBC e il successivo trasferimento negli Stati Uniti – è professore di scienze umane e presidente del centro per le arti performative e creative presso l’università di Princeton - nel 2003 ottiene il prestigioso Premio Pulitzer per la Poesia. Un’attività multiforme, la sua, che lo ha condotto a scrivere anche testi per canzoni e libri per l’infanzia; meritano di essere citate, per quanto concerne la scrittura di testi per canzoni, le sue collaborazioni con Warren Zevon, Paul Mc Cartney, Paul Simon ed i Wayside Shrines.

Oltre ad essere una delle voci poetiche di maggior spessore del ‘900, è senza dubbio anche una delle più originali, caratteristica da cui deriva la fama di poeta enigmatico, elusivo. In effetti, una delle prerogative caratterizzanti la sua poetica, è la grande capacità di creare suggestioni mediante l’artificio della parola, grazie alla sua predisposizione ad individuare associazioni tra le parole – e le aggregazioni di concetti che si annidano attorno alle stesse – e le concrezioni dell’immaginario.

Ciò non deve però far necessariamente far pensare ad un codice espressivo elitario o ad un approccio poetico intellettualistico, privilegiando invece Muldoon un registro linguistico apparentemente chiaro, lineare, trasparente, grazie anche alla predilezione per un tono compositivo di stampo prevalentemente narrativo, modello molto diffuso nella poesia anglofona del ‘900 – spesso rasentando il racconto breve, ma sempre valorizzando la metafora poetica – al quale sono legate alcune delle composizioni più significative del secolo passato, anche per prerogativa che tale modello determina, di consentire una notevole dilatazione del campo del “dicibile” poetico, ben oltre l’ambito strettamente lirico e consentendo così all’arte poetica di indagare il quadro problematico articolato della società del “secolo breve”.



Non è un caso che uno dei primi punti di riferimento di Muldoon sia stato Robert Frost, poeta californiano la cui cifra caratteristica è sicuramente la qualità mimetica nel ritrarre gli ambienti rurali americani, intesi come piattaforma da cui spaziare sul mondo, come cosmologia di caratteri universali, proprio grazie all’uso di un linguaggio poetico spiccatamente colloquiale. È proprio dalla poesia di Frost che deriva quella caratteristica di fondo della versificazione Muldooniana ben evidenziato da uno dei suoi traduttori italiani, Giovanni Pillonca, del contrasto fra “la semplicità della superficie e lo straordinario sfaccettato spessore del sostrato, l’impetuosa corrente sotterranea che l’attraversa”, procedimento supportato anche dalla sua tendenza quasi pre-analitica, a tratti quasi onirica, nel descrivere l’oggetto della sua osservazione.

Questa propensione è senz’altro frutto di un’altra influenza giovanile che ha permeato la formazione di Muldoon e cioè quella esercitata da Louis Mac Neice, poeta irlandese attivo a cavallo delle due guerre, assertore appunto della logica onirica quale propulsore della costruzione poetica, tramite il libero fluire di percezioni, sensazioni, intuizioni linguistiche. Lo stesso Muldoon ha efficacemente evidenziato tale impostazione della sua poesia, sostenendo di aver sempre avvertito, come poeta, la necessità di scrivere su ciò che “mi sta immediatamente davanti ed immediatamente dietro le spalle”.

Partendo dalla lezione di Frost, l’esperienza poetica di Muldoon prende l’avvio dalla descrizione del circostante, con riferimenti fisici ed umani precisi tratti dal vissuto personale della sua realtà di provenienza, la contea di Armagh, Collegelands, Moy Ardboe, riferimenti che al tempo stesso divengono paradigmi prototipici dell’umanità. Già in questa fase si evidenzia uno degli aspetti caratteristici della produzione di Muldoon e cioè la sua capacità di inquadrare la realtà come dietro una lente, frantumando equilibri ed ordini convenzionali; ne deriva – in misura ancor più accentuata rispetto a ciò che si registra in Frost – che quella che potrebbe apparire, ad un’accezione iniziale basata sull’impianto descrittivo della sua poesia, un inventario etnografico, è in realtà una sorta di campionario universale della condizione umana, sorpresa dall’inquadratura scrutante dell’osservatorio del poeta, negli anfratti della quotidianità, che grazie alla sapienza costruttiva di Muldoon riesce a tradursi in poesia. Proprio questa sua caratteristica ha condotto alla definizione di Prince of the quotidian, “Principe del quotidiano”; che dà il titolo ad una sua plaquette.

Anche l’importanza attribuita ai toponimi ed in generale alle ecolalie di nomi è una tendenza che si ritrova frequentemente nella scrittura di Muldoon, avvinto dalla loro proprietà di riuscire a condensare universi di significato in un unico grafema e dalle agglutinazioni figurative che vi si possono abbinare. Si tratta di un’attrazione che peraltro ritroviamo in altri poeti della seconda parte del ‘900 e della prima parte del nuovo secolo, soprattutto in poeti che condividono con Muldoon la tendenza alla sperimentazione, come ad esempio Andrea Zanzotto (che ha avuto modo di esprimere il proprio apprezzamento per l’opera del poeta nord-irlandese). Altro elemento che ricorrente nella versificazione muldooniana e che assolve una funzione similare è quella del plurilinguismo, dell’inserimento di frammenti tratti da altre lingue, relazionate alle divagazioni geografiche dei suoi componimenti.

Al tempo stesso, il procedimento di scomposizione e ricomposizione dei mondi tradizionali di significato, mette in discussione stereotipi della storia e della cultura della provincia irlandese.



Un riferimento contemporaneo fondamentale nella formazione di Muldoon è un altro grande esponente della poesia irlandese, il già citato Seamus Heaney, premio nobel per la letteratura nel 1995, non solo un esempio sotto il profilo metodologico e poietico, ma anche suo mentore; Heaney è infatti tutor di Muldoon all’università di Belfast ed intuendone subito le doti notevoli, aggrega il giovane poeta alla sua ristretta cerchia di poeti ed intellettuali, che proprio Heaney incoraggia, nel 1973, alla pubblicazione della sua prima raccolta, New weather.

Si accennava all’enigmaticità della poesia di Muldoon: essa discende dalla sua convinzione che esista una dimensione dell’esistenza non riconducibile alle stratificazioni storiche e trascendente rispetto a queste, che coincide con i depositi delle verità profonde, quelle dei giacimenti poetici, dove non trova spazio la stupidità dell’odio e della violenza. La grandezza dell’opera di Muldoon sta proprio nel riuscire a ricostruire questa dimensione, questo ripiano sottostante, partendo dall’ottica fissata sul quotidiano e nello stemperare il rischio di eccesso di moralismo o di scadimento nell’intellettualismo, mediante la sua straordinaria ironia.

Fra i nuclei tematici attorno ai quali si dipana questo motivo conduttore della poetica muldooniana, c’è sicuramente quello dell’interculturalità, del meticciato, inteso in senso esteso come una delle risposte che autonomamente le culture umane elaborano per modellare la propria evoluzione, come anticorpo naturale per abbattere i limiti insiti nella mitopoiesi che ogni cultura tende a creare e radicare nel tempo e che finisce fatalmente per coincidere con quegli stereotipi contro cui Muldoon si indirizza.

Il meticciato culturale è del resto una prerogativa della società irlandese, da sempre - caratteristica naturale delle isole - esposta a varie influenze ed interazioni etniche. Una delle maggiori espressioni dell’interculturalità nella società irlandese e quella dei matrimoni misti, fra (soprattutto in Irlanda del Nord) britannici ed irlandesi con la loro radice celtica, che a sua volta rimanda più indietro ai rapporti fra il cristianesimo di importazione romana e la radice pagana celtica. Nella seconda raccolta di Muldoon Mules, pubblicata nel 1977, appare una delle sue poesie più intense, Il matrimonio misto, incentrato esattamente su questo tema; il componimento ha chiaramente carattere autobiografico, essendo Muldoon stesso il prodotto (come lui stesso ama definirsi) di un “innesto misto”, per la diversa estrazione dei suoi genitori, non solo religiosa, ma sociale: bracciante suo padre, insegnante sua madre, mondi rispetto ai quali l’io narrante del poeta si muove rimanendo in equilibrio, mostrando la sua predilezione per il confronto costruttivo fra culture e substrati diversi, per il sincretismo. “Mio padre era un bracciante./Lasciò la scuola a otto o nove anni”. “Mia madre era la maestra./Il mondo di Castore e Polluce”. Il tema viene poi ripreso nella poesia omonima della raccolta, nella quale con il suo abituale sarcasmo, Muldoon arriva a sostenere come tali incroci alla fine non abbiano prodotto risultati migliori di quelli degli incroci tra equini.

Del resto, la produzione letteraria irlandese, ma per ovvie ragioni soprattutto quella poetica (da sempre sono i poeti a porsi questi interrogativi molto più della narrativa, per il naturale esposizione della poesia al rischio di strumentalizzazioni in chiave pseudo-epica ed innodica) ha sempre dovuto fare i conti con il tema dell’incrocio di culture, coniugato nella dimensione linguistico/politica, a causa del dilemma di fronte al quale si è trovata la maggioranza dei poeti irlandesi per il fatto di utilizzare la lingua inglese, lingua dei conquistatori, imposta in virtù di un processo di assimilazione culturale, che al tempo stesso è però divenuta la loro lingua d’uso quotidiana e non solo poetica; d’altra parte, l’eventuale adozione dell’alternativa naturale rappresentata dal gaelico, presenta un duplice problema: da un lato la desuetudine della maggior parte dei poeti nei confronti dell’antica lingua celtica, e dall’altro il confinamento della loro produzione in un ambito più ristretto, spesso legato proprio a quel panorama provinciale da cui molti di loro – come lo stesso Muldoon - prendono le distanze.

Naturalmente in Muldoon, poeta nord-irlandese, questa problematica assume un rilievo ancora maggiore che si sposa totalmente con l’orizzonte della vita quotidiana, giustificando l’intreccio fra l’orizzonte storico-antropologico e la sua capacità di saper ritrarre en plein air le articolazioni della vita di ogni giorno, restringendo progressivamente il campo dell’inquadratura narrativa, per meglio precisarla.

Muldoon, rispetto ad altre voci poetiche che l’hanno preceduto e che hanno avvertito tale nodo come elemento irrisolto, supera l’impasse con un approccio di grande spessore antropologico e cioè semplicemente prendendo atto della sua esistenza, come di una dinamica immanente alla storia ed alla cultura irlandese, senza che ciò costituisca motivo d’intralcio allo sviluppo della sua poetica, ma anzi facendone oggetto della propria riflessione.

Questa prima fase della sua carriera prosegue con la pubblicazione delle sillogi Why Brownlee Left e Quoof , rispettivamente editi nel 1980 e nel 1983. Sono gli anni caldi della Uncivil war e dunque sono le pubblicazioni in cui i temi legati agli intrecci socio-culturali della storia nord irlandese vengono maggiormente sviscerati nelle loro connessioni di lungo periodo. Un altro componimento emblematico dell’innata qualità di Muldoon nel saper rintracciare le concrezioni della storia tra meandri del quotidiano è Anseo, in Why Brownlee left, brano che si rifà alle sue reminiscenze scolastiche per entrare nelle pieghe della psicologia del vissuto nell’Ulster straziato dalla guerra intestina e comprendere come le cause degli scontri culturali agiscano spesso mediante sottili meccanismi del profondo; “Il maestro lo spedì/tra i cespugli a scegliersi e tagliare/la bacchetta con cui l’avrebbe picchiato”. L’ultima volta che ho visto/Joseph Mary Plunkett Ward/era in pub al confine irlandese./Viveva alla macchia.”. È dunque lo stesso sadismo dell’insegnante a forgiare il percorso che porta il protagonista ad abbracciare la partecipazione all’esperienza terroristica.


Paul Muldoon ed il premio nobel Seamus Heaney


Peraltro il tema dei confronti/contrasti fra culture (etniche o di estrazione sociale e religiosa) e dei suoi esiti “produttivi” nel quotidiano, viene successivamente ripreso e dilatato nell’analisi muldooniana proiettandolo su uno spettro più ampio, come dimostra ad esempio la sua raccolta Meeting the british del 1987 (all’indomani dell’accordo anglo-irlandese) in cui il cursore della storia viene spostato nello spazio e nel tempo, trattando della conquista britannica del nord America; “Ci regalarono sei ami/e due coperte ricamate di vaiolo”, fa dire al protagonista della poesia omonima della raccolta, un componente di una tribù di nativi nord-americani, commentando il suo primo incontro con i colonizzatori britannici, disegnando così un possibile parallelo fra la condizione degli amerindi e quella degli irlandesi all’inizio del processo di colonizzazione.

Anche in questo caso il quadro storico – sociale si fonda mirabilmente con le dinamiche dell’esistenza nella loro totalità, tanto che lo stesso continente americano serve al poeta anche per far svettare il suo immaginario in nuove associazioni idiomatiche e concettuali, aspetti stilistici, come visto, fondamentali della costruzione poietica muldooniana. A sua volta, la stessa visione della politica, decantata attraverso le lenti del quotidiano, viene depurata da qualsiasi retorica mitopoietica o nazionalista delle varie parti in causa, smontate irreparabilmente dall’arma del sarcasmo del poeta. Proprio in quest’ottica, si spiega l’impiego estemporaneo di termini tratti dalla lingua gaelica, necessità linguistica da un lato, ma anche come stemperamento dell’enfasi che altrimenti la narrazione assumerebbe e da cui – come visto – Muldoon rifugge del tutto; al tempo stesso, i vocaboli inglesi, che costituiscono l’ossatura della scrittura, vengono spesso sottoposti al processo di straniamento (sulla falsariga della lingua di Joyce) che si riconduce alla natura enigmatica dell’usus scribendi muldooniano.

In Meeting the british, emerge per la prima volta in modo eloquente, la pluralità di stimoli espressivi e culturali ai quali Muldoon si ispira e che divengono una costante della sua produzione, rifacendosi a romanzi d’avventura, film western, al mondo dei fumetti e della televisione e soprattutto alla sua grande passione per la musica rock. Questo stesso motivo ispirativo si ritrova spesso nella sua produzione nel corso del tempo, riflettendosi in componimenti nei quali l’obiettivo si sposta verso ambientazione africane o latino americane.

La predilezione del poeta nord-irlandese per il genere della poesia narrativa, non è evidentemente casuale, data l’ampiezza del verso che permette un’estensione del nucleo tematico ed uno spaziamento del tono poetico, che esalti ad un tempo la sua qualità descrittiva e la sua efficacissima ironia.

Come detto, la poesia narrativa è un modello comune e diffuso nella poesia del ‘900 in particolare di espressione anglofona, ma come ci fa osservare Pillonca, affonda le sue radici anche in un archetipo della poesia irlandese che è l’Immram, la cui origine risale a composizioni epiche dell’alto medioevo irlandese: l’Immram rappresenta nell’antica poesia celtica, l’idea - fondante tutte le tradizioni epiche - del viaggio, dell’esplorazione anche nella sfera dell’immaginario, il che combacia perfettamente con l’approccio compositivo di Muldoon. Quest’impostazione espressiva – che peraltro è presente in maniera costante in tutta la produzione muldooniana – si afferma ulteriormente - fino ad abbracciare anche la trascrizione di poesie lunghe ed a comprendere veri e propri proemi in prosa – già a partire da Quoof e sempre più via via nelle raccolte degli anni’90, come Madoc:a mistery, del 1990 ed Annals of Chile del 1994.

È proprio con le opere di questo periodo che la natura più enigmatica della poetica di Muldoon comincia ad imporsi. La materia su cui verte Madoc è già indicativa in tal senso, essendo imperniato su di una teoria metastorica, immaginando - in un poema composto di 233 sezioni, lo stesso numero delle tribù di nativi nord-americani - una storia alternativa dell’America, partendo dalla teoria di ciò che sarebbe potuto accadere se che i poeti inglesi Samuel Taylor Coleridge and Robert Southey fossero riusciti a fondare proprio in Nord America la comune che progettavano. Come detto, quest’opera introduce una costruzione poetica del tutto originale e pluriforme, introducendo nella versificazione anche strumenti quali mappe e diagrammi geometrici. In questa plaquette prevale il componimento lungo, in grado di esprimere meglio la complessità della materia.

A sua volta in The annals of Chile Muldoon modifica affronta una delle sfide tecnicamente più difficili dal punto vista compositivo, plasmando a suo modo il genere elegiaco. La raccolta è infatti dedicata a sua madre, Brigid Reagan, morta venti anni prima, evidenziando anche le tortuosità del loro rapporto, come evidenziato nel brano Milkweed and Monarch in cui si legge: “He’d mistaken his mother’s name: “Regan” for “Anger”” (“Aveva equivocato il nome di sua madre: “Regan” per “Anger (Rabbia)”). Di notevole spessore è un’altra elegia, Incantata, dedicata all’artista americana Mary Farl Powers, sua compagna del corso degli anni’80.

Un’altra caratteristica perpetua nella scrittura di Muldoon è l’impressione di una sorta di rivelazione epifanica, di stato di grazia che sottostà alla creazione poetica, grazie a quella illuminazione pre-analitica che come detto traspone la componente “pittorica”, l’onda superficiale della sua descrizione, che dà forma alla sua materia poetica.

Nel 1997 Muldoon, successivamente alla pubblicazione della sua antologia Selected poems dell’anno precedente, ottiene il riconoscimento dell’Irish Literature Prize, nella cui motivazione viene evidenziato come il carattere sperimentale della sua poesia abbia contribuito ad estendere tanto il registro comunicativo del panorama letterario irlandese, quanto la riflessione artistica e letteraria stessa.

La produzione degli anni ’90 di Muldoon si chiude con Hay, opera dedicata a sua moglie, la scrittrice e poetessa ebreo-americana, Jean Hanff Korelitz, in un caleidoscopio poetico che accorpa immagini ed idiomi provenienti dalla più disparate ispriazioni: dallo slang ebraico, alla visionarietà tipicamente orientale ed allusioni classicheggianti, richiamando a tratti Apollinaire, passando attraverso la sua grande passione per il rock, con riferimenti ad esempio ai Rolling Stones ed ai Nirvana.

In qualche modo, Muldoon può essere considerato un punto di fusione e d’approdo di diverse voci fondamentali della produzione poetica irlandese del ‘900, composta di voci altrettanto decisive nella storia della poesia dell’isola e che in vari modi hanno influenzato la sua personalità e la sua – per quanto personalissima – scrittura, tra i quali oltre a Seamus Heaney, vanno doverosamente citati almento Derek Mahon, Michael Longley, nonché i capostipiti Louis Mc Neice e Patrick Kavanagh, come vedremo anche nella seconda parte della nostra esposizione.



POESIE


THE MIXED MARRIAGE

My father was a servant-boy.

When he left school at eight or nine

He took up billhook and loy

To win the ground he would never own.

My mother was the school-mistress,

The world of Castor and Pollux.

There were twins in her own class.

She could never tell which was which.


She had read one volume of Proust,

He knew the cure for farcy.

I flitted between a hole in the hedge

And a room in the Latin Quarter.


When she had cleared the supper-table

She opened The Acts of the Apostles,

Aesop’s Fables, Gulliver’s Travels.

Then my mother went on upstairs.


And my father further dimmed the light

To get back to hunting with ferrets

Or the factions of the faction-fights,

The Ribbon Boys, the Caravats.



IL MATRIMONIO MISTO

Mio padre era un bracciante.

Lasciò la scuola ha lasciato la scuola a otto o nove anni

E prese roncola e zappa per dissodare

La terra che mai avrebbe posseduto.


Mia madre era la maestra,

Il mondo di Castore e Polluce.

Aveva appunto due gemelli in classe.

Che non riusciva mai a distinguere.


Lei aveva letto un volume di Proust,

Lui sapeva curare la scabbia.

Io svolazzavo tra una breccia nella fratta

E una stanza nel Quartiere Latino.


Sparecchiata la tavola dopo cena,

Lei apriva Gli Atti degli Apostoli,

Le Favole di Esopo, I viaggi di Gulliver.

Poi lo precedeva a letto.


Mio padre allora abbassava la luce

E tornava alla caccia col furetto

O alle fazioni l’una contro l’altra,

I Ribbon Boys, i Caravats.

(Da, Mules, 1977)



OUR LADY OF ARDBOE


I

Just there, in a corner of the whin-field,

Just where the thistles bloom.

She stood there as in Bethlehem

One night in nineteen fifty-three or four.

The girl leaning over the half-door

Saw the cattle kneel, and herself knelt.


II

I suppose that a farmer’s youngest daughter

Might, as well as the next, unravel

The winding road to Christ’s navel.

Who’s to know what’s knowable?


Milk from the Virgin Mother’s breast,


A feather off the Holy Ghost?

The fair thorn? The holy well?

Our simple wish for there being more to life

Than a job, a car, a house, a wife —

The fixity of running water.


For I like to think, as I step these acres,

That a holy well is no more shallow

Nor plummetless than the pools of Shiloh,

the fairy thorn no less true than the Cross.



III

Mother of our Creator, Mother of our Savior,

Mother most amiable, Mother most admirable.

Virgin most prudent, Virgin most venerable,

Mother inviolate, Mother undefiled.

And I walk waist-deep among purples and golds

With one arm as long as the other.



NOSTRA SIGNORA DI ARDBOE


I

Proprio lì, in un angolo del campo di ginestre

Proprio tra i fiori di cardo.

È apparsa come a Betlemme una notte

Nel millenovecentocinquantatre o cinquantaquattro.


La ragazza dall’uscio vide gli animali

In ginocchio, e si inginocchiò anche lei.



II

Credo che anche la figlia minore di una

Famiglia contadina sia ben in grado, al pari

Di chiunque di dirimere la tortuosa

Strada che porta all’ombelico di Cristo.

Chi può sapere quel che si può sapere?

Latte dal seno della Vergine Madre,

Una piuma dello Spirito Santo?

Il rovo fatato? Il pozzo sacro?


Il nostro semplice desiderio

Di qualcosa di più nella vita.

Di un lavoro, un’auto, una casa, una moglie -

L’immobilità dell'acqua corrente.


Mi piace pensare, attraversando il campo,

Che un pozzo sacro non è più superficiale

O insondabile delle pozze di Shiloh,

Il rovo fatato vero della Croce.


III

Madre del Creatore, Madre del Salvatore,

Madre amorevole, Madre ammirevole.

Vergine prudentissima, Vergine venerabile,

Madre inviolata, Madre incontaminata.


E a mani vuote procedo, immerso

fino alla cintola nel viola e nell’ oro

Con un braccio lungo quanto l'altro.


(Da, Mules, 1977)



ANSEO

When the Master was calling the roll

At the primary school in Collegelands,

You were meant to call back Anseo

And raise your hand

As your name occurred.

Anseo, meaning here, here and now,

All present and correct,

Was the first word of Irish I spoke.

The last name on the ledger

Belonged to Joseph Mary Plunkett Ward

And was followed, as often as not,

By silence, knowing looks,

A nod and a wink, the Master's droll

'And where's our little Ward-of-court?'


I remember the first time he came back

The Master had sent him out

Along the hedges

To weigh up for himself and cut

A stick with which he would be beaten.

After a while, nothing was spoken;

He would arrive as a matter of course

With an ash-plant, a salley-rod.

Or, finally, the hazel-wand

He had whittled down to a whip-lash,

Its twist of red and yellow lacquers

Sanded and polished,

And altogether so delicately wrought

That he had engraved his initials on it.


I last met Joseph Mary Plunkett Ward

In a pub just over the Irish border.

He was living in the open,

In a secret camp

On the other side of the mountain.

He was fighting for Ireland,

Making things happen.

And he told me, Joe Ward,

Of how he had risen through the ranks

To Quartermaster, Commandant:

How every morning at parade

His volunteers would call back Anseo

And raise their hands

As their names occurred.



ANSEO

All’appello del maestro

Alla scuola di Collegelands

Si doveva rispondere Anseo

e alzare la mano.

Anseo, ovvero qui, qui e ora,

Presente e a posto,

È la prima parola d’irlandese

Che ho appreso.

L’ultimo nome sul registro

era quello di Joseph Mary Plunkett Ward

Quasi sempre seguito dal silenzio,

Sguardi d’intesa, un ammicco,

Un cenno, l’amenità del maestro col capo e la battuta del maestro

E dov’è il nostro minore sotto tutela”?


Ricordo che al suo ritorno

Il maestro lo spedì,

tra i cespugli a

Scegliersi e tagliare

La bacchetta con cui l’avrebbe picchiato.

Poi non ci fu più bisogno di dirglielo

Arrivava tranquillo

Con una verga di frassino o salice

O quella di nocciolo infine

Ridotta con il coltello a una frusta,

Con volute laccate di rosso e di giallo,

Levigata e lucida,

E così finemente lavorata

Che vi aveva inciso le iniziali.


L’ultima volta che l’ho visto

Joseph Mary Plunkett Ward

Era in un pub al confine irlandese.

Viveva alla macchia

In un campo segreto

Dall’altra parte dei monti.

Combatteva per l’Irlanda

Impegnato in azione.

E mi disse, Joe Ward,

di aver fatto carriera

Da furiere a comandante:

Ogni mattina all’adunata

i volontari all’appello

rispondevano Anseo

alzando la mano.


(Da, Why Brownlee left, 1980)



HOLY THURSDAY

They're kindly here, to let us linger so late,

Long after the shutters are up.

A waiter glides from the kitchen with a plate

Of stew, or some thick soup,


And settles himself at the next table but one.

We know, you and I, that it's over,

That something or other has come between

Us, whatever we are, or were.


The waiter swabs his plate with bread

And drains what's left of his wine,

Then rearranges, one by one,

The knife, the fork, the spoon, the napkin,

The table itself, the chair he's simply borrowed,

And smiles, and bows to his own absence.



GIOVEDÌ SANTO

Sono gentili a farci restare così tardi,

Dopo che hanno già abbassato le serrande.

Un cameriere fluttua dalla cucina con un piatto

Di stufato o di minestra densa.


E si accomoda a due tavoli da noi.

Sappiamo bene, tu ed io, che è finita,

Che una cosa o l'altra è successa tra

Noi, qualsiasi cosa siamo o fossimo.


Il cameriere pulisce il piatto con il pane

E beve fino all’ultima goccia del suo vino,

Poi risistema, uno dopo l’altro,

Coltello, forchetta, cucchiaio, tovagliolo,

Perfino il tavolino e la sedia che ha solo preso in prestito,

Quindi sorride e fa l’inchino alla sua stessa assenza.


(Da, Why Brownlee left, 1980)



WHY BROWNLEE LEFT

Why Brownlee left, and where he went,

Is a mystery even now.

For if a man should have been content

It was him; two acres of barley,

One of potatoes, four bullocks,

A milker, a slated farmhouse.

He was last seen going out to plough

On a March morning, bright and early.

By noon Brownlee was famous;

They had found all abandoned, with

The last rig unbroken, his pair of black

Horses, like man and wife,

Shifting their weight from foot to

Foot, and gazing into the future.



PERCHÉ BROWNLEE SE N’È ANDATO

Perché e dove Brownlee sia andato,

È un mistero ancora oggi.

Se uno poteva dirsi contento

Era lui - due acri a granturco,

Uno a patate, quattro buoi, una mucca,

Una casa con il tetto di tegole.

L’ultima volta fu visto, all’alba

Un bel mattino di marzo, che andava ad arare.


A mezzogiorno Brownlee era famoso;

Avevano trovato dove l’aveva lasciata -

L'ultimo solco non tracciato - la pariglia

Di cavalli neri, come marito e moglie,

Che alternavano il peso ora su una zampa

Ora sull’altra, fissando il futuro.


(Da, Why Brownlee left, 1980)



CUBA

My eldest sister arrived home that morning

In her white muslin evening dress.

'Who the hell do you think you are

Running out to dances in next to nothing?

As though we hadn't enough bother

With the world at war, if not at an end.'

My father was pounding the breakfast-table.


'Those Yankees were touch and go as it was—

If you'd heard Patton in Armagh—

But this Kennedy's nearly an Irishman

So he's not much better than ourselves.

And him with only to say the word.

If you've got anything on your mind

Maybe you should make your peace with God.'


I could hear May from beyond the curtain.

'Bless me, Father, for I have sinned.

I told a lie once, I was disobedient once.

And, Father, a boy touched me once.'

'Tell me, child. Was this touch immodest?

Did he touch your breasts, for example?'

'He brushed against me, Father. Very gently.'



CUBA

Quel mattino mia sorella, la maggiore,

Arrivò a casa nel suo vestito da sera

Di mussola bianca. 'Chi credi di essere,

Per correre al ballo seminuda? Come se

non avessimo guai a sufficienza

Con il mondo in guerra, se non alla fine”.

Mio padre batteva i pugni

Sul tavolo della colazione.


'Già non c’era da fidarsi degli Yankees

Allora – A sentir parlate Patton ad Armagh -

Ma questo Kennedy è quasi irlandese

Perciò non certo migliore di noi.

Pensare che basterebbe una sua sola parola.

Se hai qualcosa sulla coscienza

Dovresti prima metterti in pace con Dio”.


Da dietro la tenda potevo sentire May.

«Perdonatemi, Padre, perché ho peccato.

Ho mentito una volta, un’altra ho disobbedito.

E, padre, un ragazzo mi ha toccato una volta».

'Dimmi, figliola: è stato impudico?

Ti ha toccato il seno, per esempio?'

«Mi ha sfiorata, padre. Molto delicatamente”.

(Da Why Brownlee left, 1980)



AISLING

I was making my way home late one night

this summer, when I staggered

into a snow drift.


Her eyes spoke of a sloe-year,

her mouth a year of haws.


Was she Aurora, or the goddess Flora,

Artemidora, or Venus bright,

or Anorexia, who left

a lemon stain on my flannel sheet?


It's all much of a muchness.


In Belfast's Royal Victoria Hospital

a kidney machine

supports the latest hunger-striker

to have called off his fast, a saline

drip into his bag of brine.


A lick and a promise. Cuckoo spittle.

I hand my sample to Doctor Maw.

She gives me back a confident All Clear.



VISIONE

Tornavo a casa tardi una sera

Dell’estate scorsa, quando finii barcollando

In un cumulo di neve.


I suoi occhi parlavano di un anno di prugnole,

la bocca di un anno di biancospini.


Fu lei Aurora, o la dea Flora,

Artemidora, o Venere luminosa,

o Anoressia, a lasciare

una macchia di limone sul mio lenzuolo di flanella?


Se non è zuppa e tutto pan bagnato.


All’ospedale Royal Victoria Hospital di Belfast

un rene artificiale

tiene in vita l'ultimo che ha sospeso

lo sciopero della fame, una flebo

salina nella sua sacca d’acqua salmastra.


Una leccata e una promessa. Sputo di cuculo.

Consegno il mio campione alla dottoressa Maw.

Che mi annuncia sicura il “cessato allarme”.

(Da, Quoof, 1983)



MEETING THE BRITISH

We met the British in the dead of winter.

The sky was lavender


and the snow lavender-blue.

I could hear, far below,


the sound of two streams coming together

(both were frozen over)


and, no less strange,

myself calling out in French


across that forest-

clearing. Neither General Jeffrey Amherst


nor Colonel Henry Bouquet

could stomach our willow-tobacco.


As for the unusual

scent when the Colonel shook out his hand-


kerchief: C’est la lavande,

une fleur mauve comme le ciel.


They gave us six fishhooks

and two blankets embroidered with smallpox.



INCONTRO CON GLI INGLESI

Incontrammo gli inglesi nel cuore dell’inverno.

Il cielo lavanda


E blu lavanda la neve.

Sentivo, più a valle,


Il fragore della confluenza di due fiumi

(entrambi gelati)


e, non meno strano,

mi ritrovai a gridare in francese


in mezzo alla radura

della foresta. Né Il generale Jeffrey Armherst


né il colonnello Henry Bouquet

potevano digerire il nostro tabacco di salice.


Quell’insolito profumo

poi quando il colonnello sbatté il


fazzoletto: C’est la lavande,

une fleur mauve comme le ciel.


Ci diedero sei ami da pesca

e due coperte ricamate di vaiolo.


(Da, Meeting the british, 1987)




Elenco delle opere

  • New Weather (1973) Faber & Faber, London
  • Mules (1977) Faber & Faber, London / Wake Forest University Press, Winston-Salem, N.C.
  • Why Brownlee Left (1980) Faber & Faber, London / Wake Forest University Press, Winston-Salem, N.C.
  • Quoof (1983) Faber & Faber, London / Wake Forest University Press, Winston-Salem, N.C.
  • Mules and Early Poems (1985) Wake Forest University Press, Winston-Salem, N.C.
  • Selected Poems 1968–1983 (1986) Faber & Faber, London
  • Selected Poems 1968-1986 (1987) Ecco Press, New York
  • Meeting the British (1987) Faber & Faber, London / Wake Forest University Press, Winston-Salem, N.C.
  • Madoc: A Mystery (1990) Faber & Faber, London / Farrar, Straus & Giroux, New York
  • The Annals of Chile (1994) Faber & Faber, London / Farrar, Straus & Giroux, New York
  • New Selected Poems: 1968–1994 (1996) Faber & Faber, London
  • Hay (1998) Faber & Faber, London / Farrar, Straus & Giroux, New York



Traduzioni italiane

  • Poesie, Trad. di Luca Guerneri, Mondadori, Milano, 2008



Consiglio di lettura dell’autore

Essendo disponibile, come riportato nella bibliografia, un’unica selezione in italiano della produzione poetica di Muldoon relativa al periodo considerato in questa prima parte, ovviamente la scelta consigliata è obbligata. Al di là di questa annotazione editoriale, il modo migliore di approcciarsi ad un poeta stilisticamente ed espressivamente così sfaccettato come Muldoon, è senz’altro quello di partire da una raccolta antologica che permetta di apprezzare la sua poliedricità e la sua complessità.

Preciso che per la traduzione dei testi scelti per la piccola antologia presente in quest’articolo, pur essendo brani compresi nella raccolta edita da Mondadori, ho preferito fare riferimento alla traduzione di Giovanni Pillonca e Riccardo Duranti, tratta dall’articolo su Muldoon pubblicato sulla rivista internazionale Poesia del Marzo 2000.

Tuttavia, trattandosi di un poeta di lingua inglese, si possono facilmente acquistare edizioni delle sue opere in lingua originale; in tal caso, un suggerimento che, per quanto possibile sintetizzi la varietà della sua produzione in questo periodo, può essere costituito da un percorso di lettura che abbini le raccolte Mules e Meeting the British.