Savamala - l'io nascosto di  Belgrado

Savamala - l'io nascosto di Belgrado


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Questa storia ha inizio a Belgrado nell’autunno del 2014. Sto camminando lungo la Nemanejina. Sulla mia sinistra ho appena lasciato lo scheletro dell’ex Ministero della difesa bombardato dalla Nato nel 1999. E’ li da anni, un rudere nel centro della città La retorica vuole che il governo lo tenga per ricordare quei giorni ed essere una piccola spina nel fianco dell’Unione Europea a cui nel frattempo, però, la Serbia ha chiesto di aderire. I meglio informati sostengono, invece, che la speculazione edilizia aspetti solo il momento buono per recuperare l’area e ricostruire con lauti guadagni. Davanti a me ho la piazza Savsky chiusa dall’edificio storico in color sabbia della Glavna Stanica, la stazione “centrale” dei treni di Belgrado. Costruita nel 1884, lungo i suoi 13 binari affacciati sulla Sava, ha visto transitare i più importanti treni internazionali, fra cui l’Orient Express. L’ultimo convoglio è passato dai quei binari, il 30 giugno del 2018. La sua messa a riposo è parte della storia che mi appresto a narrare.
La piazza, come sempre, ha quel carattere di Caravanserraglio che la rende un nodo ineludibile del traffico cittadino, ma anche un luogo ove tutto fugge senza depositarsi mai. Così le persone in attesa dei tram e degli autobus, i turisti del pullman che arrivano e vi fanno sosta, i viaggiatori del terminal dei bus, mezzo, in Serbia, molto più usato del treno. Tutti corrono, tutti entrano nella piazza e ne escono, come in un condotto obbligato di un meccanismo di flussi continui.
A coprire per metà la sagome della stazione centrale, un manifesto gigante.
“Le linee aeree del Dubai” è il mio primo pensiero visti i grattacieli avveniristici, le giovani e belle copie che sono rappresentate, le palme e il cielo azzurro senza sfregi di nuvole.  Ma il mio pensiero viene interrotto dallo squillo del cellulare. E’ un amico giornalista del Corriere della Sera: “Tu che conosci tutto dei Balcani, che ne sai del progetto Belgrade front water”. E’ davanti a me, rispondo chiudendo la comunicazione.
Guardando con più attenzione il mega poster, mi accordo che non rappresenta il fascino artificiale di Dubai ma Belgrado, cioè “Belgrado fronte acqua”. Come sarà la città prossima ventura dopo gli interventi urbanistici previsti.
Così l’incontro di lavoro che mi aspettava diventa altro. Un racconto corale su Savamala, quartiere antico, denso di storia e cultura, nascosto, ma forse protetto, dalla fuliggine e dallo smog depositati come un velo opaco sulle facciate vecchie di secoli o su quelle nuove del periodo socialista. Savamala, l’antica “Ciganska bara” che significa “palude zingara”.
Savamala è il contrario del centro di Belgrado sorto attorno alla piazza della Repubblica. Lì palazzi tirati a lucido, magazzini e boutique dei grandi brand internazionali,  ristoranti di lusso, isole pedonali e locali alla moda.
Qui binari abbandonati, capannoni semi diroccati, seminterrati riutilizzati come officine, giardini diventati bar all’aperto attraverso il riuso di sedie, tavoli e cucine, cantine trasformate in sale prova, magazzini in teatri sperimentali, hangar in luoghi per concerti. Poi piccole botteghe artigiane, librerie indipendenti, l’immancabile bar Tito. Tutto sotto l’ala del Brankov Most(il “ponte di Branko”) il ponte primo in tutto. Primo ponte stradale sul fiume Sava, primo ponte senza sostegni intermedi, primo ponte attraversato da un tram. Inaugurato da re Aleksander I, il sovrano assassinato a Marsiglia da Vlado Černozemski, appartenente all'Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone, fu distrutto dai bombardamenti alleati del 1944. I pilastri di pietra che si salvarono furono usati per innalzare un nuovo ponte, quella definito da Tito “della fratellanza e dell’unità”, il ponte che collega la Belgrado storica a Novi Beograd, i quartieri del triste realismo socialista che, negli anni, hanno espanso la città oltre la Sava. Ma per tutti è rimasto il Brankov Most
Savamala è l’icona di una città che potrebbe scomparire nei prossimi anni, grazie, o a causa, del progetto “Belgrade front water”. Savamala è il meticciato, l’ibrido, l’istrionico ove gli spiriti di vecchi ufficiali austroungarici hanno convissuto con anarcosindacalisti intenti a tramare contro l’impero, ove i rifugiati dalla Russia o dalla Turchia hanno posto le basi delle loro seconde vite. Ove i capi della resistenza agli occupanti tedeschi si rifugiavano sfruttando le viuzze, i sottotetti, le gallerie che si snodano sotto i palazzi del quartiere.
Da sei a otto gli anni previsti dalla Eagle Hills, società degli Emirati Arabi Uniti  controllata da uno dei più grandi colossi immobiliari, la Emaar Properties, con un fatturato superiore ai tremila miliardi di dollari, per fare della capitale serba la “Dubai dei Balcani” attraverso un  lussureggiante make-up zeppo di torri di vetro, case di lusso, grandissimi shopping center, approdi per yacht di miliardari russi e sceicchi mediorientali. La gentrificazione della zona fermerà per sempre il rinnovamento culturale di Belgrado? Farà scappare creativi, sognatori, futuristi, performer?
Cosa rimarrà, non solo nella memoria ma nell’intimo, nei sapori e negli odori, nei clamori, negli scenari cancellati da una scelta contestata da più parti ma che nulla potrà fermare?
La prima e più illustre vittima è stato il Mikser House, un luogo  a cavallo fra la Karadordeva, l’arteria spina dorsale delquartiere, e il Travnicki Park. Uno centro multispazio e multiuso. Jack-of all-trades, dicono gli inglesi. Bar, ristorante, laboratorio, sala concerti, boutique, spazio co-working, angolo bimbi. Qui si è tenuto, il 2 marzo del 2017, anche il primo “Italian design day”.
Altra vittima designata il music club Brankow, sorto ai piedi del ponte non potrà che seguirne la sorte. Basta musica e drink fino all’alba. Basta sonnambuli e tiratardi col bicchiere in mano al ritmo hip hop.
E forse basta anche alle fragranze che si espandono dal negozio di dolciumi Bosiljčić, l’unico luogo in tutta la città ove ancora si producono caramelle artigianali. Stessa sorte forse per la  Manak House, casa del principe Miloš Tatar, sulla stessa strada del  Bosiljčić e dichiarata patrimonio nazionale nel 2013.
Così è finita l’esperienza dell’Urban Incubator, un progetto che si poneva l’idea di rigenerare tutta la zona partendo dalle tante intelligenze creative che si stavano concentrando nel quartiere più antico di Belgrado.
Così rischiano di scomparire i grandi murales, l’arte di strada promossa dall’artista Ludmilla Stratimirovic. e i “fantasmi di Savamala” di Tijana Tripkovic e barbara Dimic. E anche preziose architetture dell’inizio del novecento: l’Istituto di Geologia e l’Hotel Bristol.
Svanirà la vita culturale e musicale alternativa, locali sempre all’avanguardia nella programmazione come il Tranzit Bar, il Berliner, il Ben Akiba, il Brankow, Ludost Bar, il Čorba Kafe.
E svaniranno caffè e vecchie trattorie da cui ammirare la confluenza della Sava nel Danubio. Un patrimonio ambientale di rara importanza. Ai dondolanti barconi su cui ammirare le acque che si mischiano dopo aver attraversato mezza Europa si sostituiranno camminamenti in vetro, ponti futuristi, lussuose dimore da decine di migliaia di euro al metro quadro.
Un altro pezzo di vecchia Europa che sparirà per sempre.

 
 

Foto di Luigi Lusenti