Shane MacGowan

special

Shane MacGowan ...and tears on our cheeks

30/11/2023 di Luca Swanz Andriolo

#Shane MacGowan#Rock Internazionale#Folk

Luca Swanz Andriolo ricorda Shane MacGowan

Shane Patrick Lysaght MacGowan, nato nel Kent – e non Irlanda come molti pensano – il giorno di Natale del 1957, è alla fine morto davvero, di encefalite cerebrale, anche se i suoi estimatori lo consideravano un fantasma da molto tempo, oltre che un immortale. Dagli esordi sul finire degli anni Settanta in piena epoca del punk inglese con i Nipple Erectors (più tardi solo Nips), ai cinque dischi con i suoi Pogues, dall’84 al ‘90, ai due album in studio e un live con i Popes (il cui nome richiamava polemicamente la band precedente, da cui MaCGowan era stato estromesso – nonostante fosse il frontman e l’autore principale – per motivi di inaffidabilità legati alle svariate dipendenze), la produzione del cantautore è stata risicata in quantità, ma generosa in qualità. Dotato di una voce aspra da strillone svociato, non priva di morbide dolcezze, per quanto arrochite, MacGowan ha incarnato senza compiacimento l’aderenza tra arte e vita, distruggendosi con alcool e droghe e cantando degli emarginati con l’autorevolezza di chi davvero ne condivideva bancone del pub e marciapiede, tra semplice narrazione (affilata e stilizzata) e vagheggiamenti letterari insospettabili, tra autobiografia e universalità.

Come ebbe a dire il collega ed amico Nick Cave, MacGowan era il più grande autore di opening lines della sua generazione, e – a conti fatti – uno dei massimi poeti della Storia del Folk. Un folk non riconducibile solo alla matrice irlandese e lontano dal celtic rock che ha in parte ispirato, capace di esplorare il mondo su rotte avventurose, senza mai abbandonare la schiettezza e la profondità del vissuto trasfigurato in epopea dei bassifondi, come nella celebre Fairytale of New York, la controversa canzone che stabilisce un record di turpiloquio e censure radiofoniche, ma che tutti riconoscono come una delle più romantiche canzoni natalizie, incentrata sulla storia di amore ed odio di due immigrati in America, che pare uscire dalla penna di Bertolt Brecht.



Ma non solo di bassifondi si tratta, cosa che gli emuli del vecchio Shane non hanno spesso capito. La visione del mondo e dell’arte di MacGowan proviene dalla strada, certo, ma trasfigura tutto in una serie di aneddoti (“quella volta che” può essere il fulcro del suo stile, perfettamente congruo al ruolo di cantastorie) o immagini quasi ermetiche, come la luna gravida di arcobaleni rubata a Garcia Lorca di Summer in Siam, o le cinque regine verdi su un sacchetto della spazzatura nero che “significavano tutto il mondo per me” di Five Green Queens and Jane (con echi di Williams Carlos Williams). 

Ciò che colpisce della scrittura di MacGowan è che (ri)suona esattamente come la sua voce, senza la caricaturalità di un Tom Waits o la teatralità consapevole del già citato Cave: può racchiudere il biascicare maniacale di un vecchio ubriaco e James Joyce o William Butler Yeats senza perdere omogeneità. Noto per le sue stonature alcoliche, MacGowan è insieme figlio del punk ed epigono della tradizione delle pub song, con la credibilità assoluta di un ebbro cantastorie innamorato della città e nostalgico della campagna, capace di raccontare il mondo in una prima persona che sa essere collettiva e sempre senza accenni di mimesis forzata. È capace di cantare, in The Old Main Drag, la fine di un ragazzo che si prostituisce in una Londra dettagliata ma sovrapponibile a tutte le metropoli del mondo, brutalizzato e lasciato morire in preda all’alcool e all’ancora più dolorosa speranza di riscatto: “In the tube station the old ones who were on the way out / Would dribble and vomit and grovel and shout / And the coppers would come along and push them about / And I wished I could escape from the old main drag / And now I'm lying here I've had too much booze / I've been shat on and spat on and raped and abused / I know that I am dying and I wish I could beg / For some money to take me from the old main drag(“Nella stazione della metropolitana i vecchi alla fine / Sbavavano, vomitavano, si umiliavano e gridavano / E gli sbirri arrivavano e li spingevano via / E avrei voluto scappare dalla vecchia strada principale / E ora sono sdraiato qui, ho bevuto troppo / Mi hanno cagato e sputato addosso, mi hanno violentato e abusato / So che sto morendo e vorrei poter elemosinare / qualche soldo per andarmene dalla vecchia strada principale”, dove per “old main drag” si intende tanto la via principale di un paese (quindi non Londra) che una “cattiva strada” che può ricordarci De André).



Ma insieme, MacGowan può presentare, sempre in prima persona, la notte violenta di hooligan imbarbariti, in Transmetropolitan: “From Brixton's lovely boulevards / To Hammersmith's sightly shores / We'll scare the Camden Palace poofs / And worry all the whores / There's leechers up in Whitehall / And queers in the GLC / And when we've done those bastards in / We'll storm the BBC” (“Dai deliziosi viali di Brixton / Alle splendide coste di Hammersmith / Spaventeremo il fumo sui palazzi di Camden / E preoccuperemo tutte le puttane / Ci sono dei parassiti a Whitehall / E i froci al GLC / E quando avremo fatto fuori quei bastardi / Prenderemo d'assalto la BBC”). Eppure, dopo tutta la violenza di queste narrazioni notturne, c’è spesso il mattino, con “the song from long ago, from the old canal” e le passeggiate malferme e contemplative di A Pair of Brown Eyes o The Broad Majestic Shannon. E ancora gli omaggi a Jean Genet dell’esotico sirtaki trasformato in polka infernale di Hell’s Ditch o le cronache piratesche dei metaforici canti marinareschi su melodie arabe di The Turkish Song of the Damned: la musica dei Pogues era folk contaminato al punto di diventare world music. Oggi, al momento del commiato da questo inquieto aedo della disperazione e della speranza – inattivo da anni per i danni dovuti a una vita di alcolismo e abuso di droghe – non possiamo che rassicurarlo sul suo contributo alla musica e alla cultura del secolo passato. Cantava, infatti, in Sea Shanty: “A man's ambition must indeed be small / To write his name upon a shithouse wall But before I die I'll add my regal scrawl / To show the world I'm left with sweet fuck all”.



Tradotto, quindi, questo potrebbe essere il suo commiato: 

L’ambizione di un uomo deve essere invero piccola

Per scrivere il proprio nome sul muro di un cagatoio

Ma prima di morire aggiungerò il mio regale scarabocchio

Per mostrare al mondo che me ne vado con un dolce vaffanculo”.