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Franco Battiato La vocalita' di Battiato: in un soffio far risuonare cio' che l'urlo non puo' esprimere
Un approfondimento sulla voce del cantautore
IN UN SOFFIO FAR RISUONARE CIÒ CHE L’URLO NON PUÒ ESPRIMEREIn questa frase, emersa durante la chiaccherata con il didatta e cantante Giorgio Pinardi che ha dato contenuto a questo articolo, si potrebbe racchiudere l’essenza di molto del ragionare fatto in questi giorni sulla musica e sulla voce di Franco Battiato.
In questi giorni tanti hanno parlato delle canzoni e dell’uomo Franco Battiato. Tanti si sono avventurati in spiegazioni emozionali musicali o mistico/filosofiche. Tante parti di un talento multiforme.
Ma cosa ci faceva incantare nelle sue canzoni? Da dove arrivava la fascinazione e la credibilità di quelle parole? Cosa faceva sì che, pur evocando mondi lontanissimi, il testo rimanesse comunque credibile e arrivasse in maniera così forte al pubblico?
Il canto di Battiato era un canto calmo, vellutato, quasi falsettato, né sussurrato né urlato anche quando utilizzava una emissione più canonica. Un canto di buona estensione soprattutto sugli acuti e in cui, anche dal vivo, tutte le note tendevano ad avere la stessa intensità. Un canto, solo in apparenza, “naturale”; un canto che rifuggiva le forzature.
Qualcosa che doveva molto al canto sacro di varie parti del mondo, facendolo proprio con un linguaggio personale senza mai clonarlo. Aveva a che fare con il gregoriano e il canto antico europeo così come il canto sufi e dell’estremo est; col canto mediorientale, della penisola arabica e soprattutto con il canto di origine persiana. Un canto in qualche modo arcaico. Un canto mai di citazione o improvvisato, ma frutto di un grande lavoro di rifinitura probabilmente svolto a partire da metà degli anni ‘70.
Il lavoro di Battiato verso una autenticità espressiva piena d’amore per la voce lo portò verso uno studio personale e consapevole anche alle lingue mediorientali, ma soprattutto lo portò ad interrogarsi sull’uso prezioso del silenzio e delle pause facendo del suo canto un esempio unico non solo nel pop italiano.
Altra caratteristica della voce di Battiato fu quella di una grana vocale che evidenziava una consapevole Fragilità, che diventava delicatezza capace di esprimere infinite sfaccettature. Una voce che, soprattutto nei primi anni “pop”, e soprattutto dal vivo, era spesso accusata di essere brutta, stonata. “Battiato, non sai cantare” gli veniva detto andando così a fare buona compagnia a gente come Jannacci e Battisti spesso anche loro accusati di “essere stonati”. Il timbro in realtà era delicato e raffinato; capace di trasmettere anche una autoironia, uno sguardo disincantato sulle cose; un saper giocare ad essere quasi indifferente alla realtà pur essendone grandissimo osservatore.
La Fragilità permise a Battiato di usare un apparente difetto come punto di forza facendola passare attraverso la consapevolezza e lo studio sino a farla diventare propria cifra stilistica, esaltando tutta la Fragilità, la dolcezza e il proprio limite come fondamenta nella costruzione di una precisa identità vocale/sonora. Cosa ne sarebbe di un brano come La Cura senza quella voce così consapevolmente “Fragile”? Cosa ne sarebbe stato di un brano come La Cura nelle mani di un cantante dotato di una tecnica eccezionale, di un suono pazzesco o una grande capacità virtuosa?
Insomma: Battiato, nella sua arte, usa un apparente difetto come costituente la sua cifra stilistica e quello che dice, e soprattutto come lo dice, diventa il riflesso della sua forza!
Essendo Battiato attento alla propria voce e alla propria espressione vocale non poteva che essere attratto e innamorarsi di quelle voci che avessero sia grande capacità tecnica che grande capacità espressiva. La collaborazione con una voce come quella di una Giuni Russo (o come quelle di Alice e Milva) fu un po’ come andare a lavorare sul desiderio vocale dell’artista siciliano. Come se Battiato fosse stato in qualche modo completato da queste straordinarie voci (senza contare quanto l’amore per il “femmineo” potrebbe essere uno dei frutti di quel legame per la madre che gli fece affermare “non ho una famiglia perché sono ancora figlio”).
Ma il desiderio e la fascinazione per le “belle voci” si evidenzia anche nell’uso delle voci e dei cori di stampo belcantistico che spesso troviamo come contraltare alla sua in molti brani della discografia. Voci che spesso sembrano sottolineare enigmaticamente testi e ritornelli in un continuo dilemma tra l’apparente serietà e la sottointesa ironia.
Resta da ragionare sulla collaborazione con Anthony and the Johnson. L’anima che lega questi due artisti così diversi sembra essere proprio la voce. La voce di Anthony è fragilità incarnata esattamente come quella di Battiato!
Due personalità vocali non legate al virtuosismo, ma sfaccettate di una personalità unica e “autorale” irripetibile. Voci piene di espedienti, trucchi ed “errori reiterati” che diventano virtù e cifra stilistica.
La voce di Battiato è riflesso di un pensiero filosofico quanto sonoro: senso delle pause e del fraseggio; omogeneità del suono; senso della misura finalizzato a ciò che serve, a ciò che si deve dire. Mai eccedendo. Mai sforando. Sempre contenendo il proprio ego vocale. Con un lavoro “a togliere” mirato a una semplicità e naturalezza in realtà artificiosa perché la semplicità artistica non è frutto del caso, ma di scelte. Di esercizio e lavoro; di scarnificazione fatto con perizia e pensiero. Un lavoro a togliere, ad asciugare, lasciando l’impronta della densità e profondità del lavoro fatto.
La voce di Battiato andava a toccare corde emotive profonde senza andare a lavorare in maniera banale sull’emotività della voce. Anzi, mantenendola quasi neutra con uno studiatissimo uso minimo della dinamica; rifiutando la “semplificazione” del “grido” senza farne sentire la mancanza; ottenendo una completezza espressiva figlia di una omogeneità timbrica e di un controllo dinamico pacato e misurato frutto unico della sua cultura classica, dello studio e della conoscenza della musica e della mistica orientale adattata magnificamente alla sua voce senza mai farla diventare citazione.
Ringrazio ancora Giorgio Pinardi e Liliana Ronchetti per il prezioso apporto a queste righe.