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Stella Burns Il video di Another Call Is What I'm Waiting For con intervista!
#Stella Burns#Rock Internazionale#Folk #Blues #Indie-rock #Songwriting
Folk, blues, sonorità cinematiche, eleganti, delicate ed avvolgenti nel primo album da solista come Stella Burns di Gianluca Maria Sorace, leader degli Hollowblue. Il suo nuovo video, tra attesa immobile nello scorrere delle stagioni e svelamento autoironico dei trucchi di scena casalinghi, la sua musica, i suoi album preferiti, la sua chitarra Stella e tanto altro.
Sonorità acustiche “calde”, rigorosamente vintage, una voce suadente che strizza l’occhio all’eleganza di Bowie, alle tonalità dense di malinconia di Morrissey o a certe atmosfere agrodolci, raffinate e vintage dei Divine Comedy: cowboy e crooner, o cowboy glam, come spesso viene definito, Gianluca Maria Sorace, leader degli Hollowblue, ha pubblicato un album da solista sotto il moniker Stella Burns, intitolato Stella Burns Loves You, in cui emerge pienamente una personalità artistica fascinosa e originale, che fonde e alterna il folk e il blues a un sound cinematico delicato, emozionante ed avvolgente. Vi presentiamo in anteprima il suo nuovo video realizzato per un brano dell’album, Another Call Is What I’m Waiting For, che casualmente è proprio la canzone che avevamo scelto per la nostra compilation di San Valentino Dritti & Rovesci.Proprio nel nostro special Gianluca aveva così presentato la canzone:
Un’altra telefonata è quello che sto aspettando” è una canzone su un amore sospeso. In attesa di una risposta. “Non posso negare quello che ho avuto, ma un'altra telefonata è quello che sto aspettando. Cosa ho fatto? Non posso sognare e scegliere di mentire contemporaneamente. Verresti tra le mie braccia? Come la corrente tra le sponde del fiume, il mio desiderio.”
Nel video l’artista, palermitano di nascita, ma livornese d’adozione, è immerso nell’interpretazione della sua canzone e canta in “spazio astratto, senza punti di riferimento”, senza connotazioni particolari, ma mentre resta sempre uguale e vive la tensione spasmodica dell’attesa, attorno a lui le stagioni si avvicendano, tra pioggia, neve, il rifiorire della natura e il frinire delle cicale. Ma non è che un effetto speciale homemage: l’inquadratura si allarga e l’incanto si spezza. Si butta la maschera e si scopre il dietro le quinte, con persone che da una scala fanno piovere acqua e polistirolo. Si tratta di un video low-budget che sfuma l’atmosfera malinconica del brano, smitizzandone la sacralità della realizzazione in chiave autoironica, eppure ne esalta per contrasto l’emozione. E poi…quando un’esibizione finisce, non resta come un nodo in gola per quel che è finito? In attesa del prossimo concerto, ovviamente…
Abbiamo approfittato dell’occasione per intervistare Stella Burns; polistrumentista autodidatta (chitarra, banjo, pianoforte, violoncello…), ha alle spalle tre album con gli Hollowblue, con riscontri positivi in Italia e all’estero come il premio al miglior video al 3D Film Festival di Hollywood, collaborazioni con Anthony Reynolds, Sukie Smith, Lara Martelli, Luca Faggella, Dan Fante e in questo disco ha ospitato Emma Morton, Filippo Ceccarini (Bobo Rondelli), Giampiero Sanzari (Sursumcorda), “Reverendo” Migliussi, Ellie Young e altri ancora, oltre a Giancarlo Russo e Davide Malito Lenti degli Hollowblue. Gli abbiamo chiesto come si è sviluppata la tua estetica e poetica musicale, gli abbiamo domandato di album preferiti, esperienze internazionali, cinema e tanto altro. E ovviamente del nuovo videoclip, girato al Teatro Officina Refugio.
Buona visione, buon ascolto e buona lettura!
"Un grazie di cuore ai ragazzi del Teatro Officina Refugio che, senza che fosse veramente pianificato, si sono prestati al gioco."
Stella Burns
Soggetto: Mario Franceschi
Regia: Michele Faliani
Mescalina:Gianluca, partiamo da Stella, la tua chitarra: da quanti anni ti accompagna e cosa ti affascina in particolare del suo suono?
Gianluca: La mia Stella della Harmony è una chitarra americana del 1970. Contrariamente a quanto si pensi il mio nome è nato prima di aver trovato e scoperto questa chitarra. Il marchio Stella nacque nel 1899. I blues man che non potevano permettersi strumenti costosi le suonavano e con il loro suono sferragliante hanno caratterizzato parte del suono del blues delle origini. Quello che mi piace di questi strumenti, perché non ho solo la Stella ma altre chitarre vintage “povere” dagli anni 30 ai 70, è che spesso hanno un unico suono. Non sono molto versatili, ma al tempo stesso, proprio per questo, hanno un gran carattere riconoscibile che finisce per influenzare il tuo modo di scrivere. Tra le mani puoi “sentire” posti e tempi lontani ed è una sensazione che non ti lascia indifferente.
Mescalina: Stella non è un caso isolato: le tue canzoni possiedono e diffondono un calore analogico, sia perché si tratta di brani ben rodati on the road, sia perché sono molto “suonati” e comprendono anche volutamente alcuni strumenti o effetti vintage. Quanto c’è stato di puramente naturale e spontaneo nello sviluppo della tua musica e quanto invece la tua estetica musicale è oggetto di una scelta consapevole di una strumentazione e quindi di una ben precisa direzione?
Gianluca: Mentre scrivevo alcune di queste canzoni, che all'inizio non sapevo che destinazione e forma finale avrebbero avuto, mi sono imbattuto sulla rete in alcune chitarre americane degli anni ‘50/’60.
In modo molto naturale ho cominciato ad associare quello che stavo scrivendo a questa crescente fascinazione vintage.
Nel frattempo stavo anche ascoltando molto Anna Calvi e Gemma Ray che si rifanno a sonorità del passato. Coincidenze, ma anche scelta consapevole, da un certo punto in poi, di volere andare a fondo in tutto questo. Ho cominciato così a cercare alcuni strumenti, non solamente vecchi, ma che anche appartenessero a generi che non avevo mai esplorato prima, il banjo e l'autoharp ad esempio, o il mandolino e diversi microfoni dal suono non certo pulito, un eco a nastro.. e così via. Tutta strumentazione talvolta limitata perché molto economica, ma che mi ha indirizzato verso un percorso ben preciso.
Ci tengo a precisare però che non nutro nessuna nostalgia verso periodi che non ho vissuto. Tutto questo immaginario e suono vintage alla fine l'ho utilizzato all'interno del mio modo personale di far musica, senza assolutamente volere essere didascalico.
Mescalina: L’ambiente sonoro in cui le tue canzoni si muovono ha un forte sapore folk e blues, grazie a trame di banjo, mandolino e cigar box guitar; però il tuo cantato risente molto di modelli glam come quello di Bowie: come è nata questa tua identità musicale composita? Quali dischi ti hanno influenzato maggiormente?
Gianluca: Con l'altro mio progetto, il gruppo Hollowblue con il quale ho fatto tre dischi e sto lavorando al quarto, le influenze sono sempre state forse più inglesi che americane. Solo recentemente mi sono avvicinato al blues o per meglio dire ad una attitudine blues e folk, proprio grazie all'uso di quegli strumenti. Ma la mia prima e grande influenza è stata proprio David Bowie. Non solo dal punto di vista musicale ma nel dare importanza al binomio musica/immagine.
Non avendo venti anni però e quindi nel tempo avendo ascoltato moltissime cose, è normale che mi ritrovi con un bagaglio molto più ricco rispetto a quando sono partito.
Se penso ai dischi che mi hanno influenzato molto c'è sicuramente Heroes di Bowie, the Black Light dei Calexico, No More Shall We Part di Nick Cave, Regeneration dei Divine Comedy, When di Vincent Gallo, El gallo colorado di Miguel Aceves Meja e Opel di Syd Barrett.
Mescalina: Oltre alle sonorità acustiche, nel disco troviamo anche linee di piano struggenti e cinematiche: quali canzoni e/o artisti credi ti abbiano maggiormente ispirato in questo senso?
Gianluca: Ti dico alcuni brani e musicisti:
Almost Blue cantata da Baker, Lost Property dei Divine Comedy, Pari intervallo di Arvo Pärt, No More Shall We Part di Nick Cave, Between the Bars di Elliott Smith, River Man di Nick Drake, Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me degli Smiths, My World Versus Your World dei Jack di Anthony Reynolds, Some Are di David Bowie, Berlin di Lou Reed, More You Becomes You di Plush, The Endless Plain of Fortune di John Cale, Bloodflow dei Calexico... e potrei andare avanti ancora per molto.
Mescalina: A proposito di suoni cinematici, c’è anche tanto cinema nella tua musica, vero? Quali sono i film che hanno lasciato segni più evidenti e duraturi nel tuo immaginario di musicista?
Gianluca: Tutti i film di David Lynch che sono sempre più dei sogni ad occhi aperti dove la musica e gli effetti sonori hanno un gran rilievo. Ma anche Buffalo '66 di Vincent Gallo o The Man Who Fell to Heart con protagonista Bowie. Non ci avevo mai veramente pensato, ma la musica in effetti, in modo diretto o indiretto, è sempre molto presente anche nei film che più mi piacciono.
O anche la sua totale assenza, come nei film di Bergman che ho divorato negli anni dell'adolescenza. Altro film che mi ha segnato molto è stato Stalker di Tarkovskij, la ricerca e la paura della felicità e di quello a cui davvero aspiriamo.
Ma così sembra che voglia fare l'intellettuale e invece adoro anche l'Uomo Ragno.
Mescalina: Com’è nata l’idea del video di Another Call Is What I’m Waiting For? Con i cambi di stagione homemade si voleva dare l’idea del passare del tempo, puntando l’accento sull’attesa?
Gianluca: L'idea è di Mario Franceschi, caro amico e musicista che mi accompagna nei concerti. Michele Faliani, il regista, ha tradotto l'idea in immagini. Molto semplici appunto. Volevamo che non fosse un video sofisticato. In fondo è la scelta di base che accompagna la realizzazione di tutti i video usciti finora. Abbiamo pensato soprattutto all'andamento musicale della canzone più che al testo.
L'arpeggio è delicato ma insistente e non sembra andare da nessuna parte. Fino a quando la canzone si apre nel finale. Sembrava giusto che io fossi statico in un non luogo e che le stagioni entrassero nell'inquadratura senza preavviso. Che io subissi pioggia e neve fino a quando si apre l'inquadratura ed è come se dicessimo: “guardate abbiamo scherzato. E' un gioco, torniamocene adesso tutti a casa”.
Mescalina: Mostrare i marchingegni casalinghi dietro gli “effetti speciali” dovrebbe avere un effetto (auto)ironico e so che vi siete divertiti molto nel realizzare il video; però personalmente trovo anche che aprire una finestra allo spettatore sul dietro le quinte e sul “dopo” rispetto al temporaneo incanto di una ripresa suggestiva possa anche enfatizzare il lato malinconico del brano: permette infatti di riflettere su quanto un video, una canzone, un concerto siano un momento di meraviglia “rinnovabile”, ma comunque “finito” nel tempo. Poi si smonta il palco, si lascia la chitarra, ci si tolgono gli abiti di scena e si torna alla vita di tutti i giorni… È inevitabile che sia così, ma non è un po’ triste, come quando termina un live importante ed atteso e ti resta in bocca un sapore agrodolce, che tu sia musicista o spettatore?
Gianluca: La parola più giusta credo sia felice malinconia. Alla fine è quello che cerco spesso nelle mie canzoni, quella sensazione, di felicità mista alla malinconia appunto. Per qualcosa che è stato bello e che è finito. La traccia nascosta Piano Finale è la sintesi di questo, un brano musicale da fine avventura, da cowboy al crepuscolo. Però domani saremo di nuovo tutti sul palco o spettatori a cercare di rinnovare l'emozione.
Mescalina: La tua vita personale e di musicista è felicemente “nomade” e “apolide”: sei nato in Sicilia, ma vivi a Livorno, il disco ha debuttato in un concerto a Parigi ed è stato finanziato su una piattaforma internazionale, il mastering dell’album è stato effettuato da Jim Blackwood che a Tucson lavora abitualmente con Calexico, Giant Sand, ecc. Che differenze noti nell’approccio alla musica, ai concerti e a determinati generi in musicali in altri paesi?
Gianluca: Non voglio sembrar drastico, ma la musica al momento in Italia è finita. Ma non perché non ci siano belle cose, a volte stupende, ma perché ci siamo chiusi a riccio a contemplare il nostro orticello per paura che nel confronto con gli altri ci si renda conto che forse qualcosina di più per migliorarlo andrebbe fatto. Sembra che si sia assopito lo spirito di avventura, la curiosità, il mettersi in gioco. E per mettersi in gioco intendo confrontarsi idealmente con i propri idoli. Non imitarli, ma ambire a fare meglio.
Non ha senso non cercare di avere una visione più ampia, non provare con più forza e convinzione a esportare quello che facciamo.
Questo senso di poca avventura lo vedo frequentemente nei musicisti, nelle case discografiche, piccole o grandi che siano, e negli spettatori.
Con Luca Faggella a Livorno curo una rassegna che si chiama Folk Aurora. Stiamo portando molti bei nomi , da Hugo Race a Barzin, Emma Tricca, Willard Grant Conspiracy e tanti altri. Il pubblico scarseggia, non ha voglia, preferisce stare a casa, perdendosi così una esperienza, quella del concerto, che è unica.
Come Stella Burns ho debuttato a Parigi. Completamente sconosciuto, eppure ho ricevuto tantissima attenzione, curiosità e interesse. Fuori da qui hai la percezione che la musica potrebbe diventare un lavoro a cui dedicarti a tempo pieno. In Italia invece siamo ancora a sentirci chiedere quale altro vero lavoro fai oltre al musicista. Come mi capita di dire spesso, per fare il musicista in Italia a quarant'anni o sei ricco di famiglia o sei matto. E io ricco di famiglia non sono.
Mescalina: In che rapporto sei ora con gli Hollowblue? Hai cominciato un tuo percorso personale come solista, ma continuano a suonare con te: se normalmente si paragona la vita di una band a quella matrimoniale, possiamo dire che in questo caso invece vivete una sorta di relazione aperta?
Relazione aperta, sì. Con gli Hollowblue, come dicevo, stiamo preparando il quarto disco e quando possibile mi accompagnano nei live di Stella Burns. Una grande famiglia insomma in cui però nel progetto solista le responsabilità sono concentrate su un solo paio di spalle, le mie. Ma il rischiare in prima persona è una delle cose che più mi piace di questa esperienza come Stella Burns. Comunque ho davvero la fortuna di aver con me persone con cui c'è una grande sintonia artistica e umana.
Mescalina: Come sono nate le altre collaborazioni del disco?
Gianluca: I demo li ho registrati a casa, praticamente suonando e scrivendo tutte le linee.
Quando ho capito che il disco lo avrei pubblicato davvero, perché nel frattempo la Twelve Records si era dimostrata con non poco coraggio molto interessata, mi sono preoccupato di chiamare gli amici e musicisti che più stimo. Ecco così che sul disco oltre agli Hollowblue ci sono molti altri musicisti di talento con i quali già avevo fatto molto in passato.
Emma Morton invece l'ho trovata sul web. Non ci conoscevamo, ma mi piaceva molto la sua voce e ho provato a chiederle se avesse voglia di duettare con me su A little piece of blue. Lei è scozzese ma abita in Toscana: il mondo è piccolo.
Mescalina: Con chi ti piacerebbe collaborare invece in futuro?
Gianluca: Ti faccio alcuni nomi senza dirti con quali di questi c'è buona probabilità che collabori davvero: Barzin, Howe Gelb, Emma Tricca, David Lynch, Calexico, Gemma Ray, Mick harvey.
Mescalina: Il tuo album in un solo aggettivo.
Gianluca: Passionale
Info:
http://www.stellaburnslovesyou.com/
https://www.facebook.com/stellaburnslovesyou?fref=ts
https://www.facebook.com/pages/Stella-Burns-loves-you/229488323756829
Si ringrazia Chiara Caporicci – Sfera Cubica.