Da ormai un quarto di secolo, ogni anno a Milano ai primi di Giugno, una manifestazione a nome ´Cannes e Dintorni´ permette, ad appassionati milanesi e non, di gustare un’ampia selezione di film provenienti dalle selezioni ufficiali del Festival cinematografico più importante e famoso al mondo e, integralmente, della sezione collaterale dedicata alle opere dei Nuovi Autori, la Quinzaine des Rèalisateurs. Inoltre, film fuori concorso e, da quest’anno, un paio di anteprime e i vincitori del Bergamo Film Meeting. Il tutto naturalmente in VOS (Versione Originale Sottotitolata) e con la sicurezza che meno di un quinto dei film avranno una distribuzione in Italia.
***Purtroppo quest’anno la Provincia di Milano, da sempre promotrice della manifestazione assieme all’Agis Lombardia, dopo avere preteso, con inconsueto e largo anticipo, le Trame dei Film, ha deciso di dimezzare il finanziamento alla manifestazione decretandone così, di fatto, l’impossibilità allo svolgimento. Un attacco alla cultura dal sapore censorio o un frutto della crisi? Naturalmente non è possibile saperlo ma è chiaro che togliere la possibilità, con 25 euro di tessera, di fare un viaggio nelle culture, non solo cinematografiche, di paesi dalle cinematografie più varie è sicuramente un impoverimento culturale non da poco. La Nuova Provincia di Milano ha, tra le altre cose, dopo 20 anni, di fatto cancellato la manifestazione Suoni & Visioni nella quale sono passati negli anni i più grandi musicisti di rock e avanguardia. Da Glass a Nyman; da David Byrne a John Cage, e poi Fugs, Fairport Conventions, Bregovic, Compay Segundo, Leningrad Cowboys, Balanescu 4tet, Angelique Kidjo, Brian Ferry, Marc Ribot con Los Cubanos Postizos, Archie Shepp, Steve Piccolo con Elliot Sharp, John Surman con De Jonette, Brian Eno, john Hassel, Manu Dibango con Ray Lena, Randy Newman, Meredith Monk, Antony & the Johnsons, Bobby Previte, Tuxedomoon, Adrian Beleve 6 Eugene Chadbourne, Diabate con Tinariwen Einaudi e Robert Plant, Trilo Gurtu, Natacha Atlas, Hector Zazou, Bill Laswell, Bettye LaVette, Tom Verlaine, Richard Thompson … e moltissi altri! Grazie ancora!Tornando a Cannes & Dintorni solo l’importante intervento economico (si parla di circa 40.000 euro) del Corriere della Sera ha permesso, in extremis, il recupero della manifestazione, non più con il comodo abbonamento ma con una macchinosa e meno economica prevendita
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La rassegna: Il Concorso***
Incominciamo dalla Palma d’Oro. Film per amanti di un fantastico quanto più lontano dal fantastico comunemente, e hollywoodianamente, inteso, UNCLE BOONMEE WHO CAN RECALL HIS PAST LIVES del tailandese A. Weerasethakul non sarà mai distribuito in Italia nonostante Tim Burton, presidente ´totalitario´ della giuria, abbia fatto di tutto per premiarlo. Epopea fantastica, diseguale e antinaturalistica, piena di personaggi mitologici e avvenimenti tra fiaba e incubo. Gli ultimi giorni di vita di un uomo diventano spunti per analizzare la metafisica della vita umana attraverso le allucinazioni del protagonista intersecate con una realtà che sa di sogno. ANOTHER YEARS di Mike Leigh, fino all’ultimo dato come sicuro vincitore, è invece uno (stra)ordinario e avvincente film sulla piccola borghesia di una coppia assolutamente ´normale´ nel suo autentico e (in)naturale equilibrio, e sulla sua vita vista attraverso lo spaccato di quattro fine settimane, ognuna in una stagione diversa dell’anno. Nella compagnia di amici e colleghi, le disillusioni della vita e gli eventi traumatici, quasi sempre mostrati come ´fuoricampo´, vengono stemperati e assumono una forma emotiva nuova nell’equilibrato rapporto della coppia con quanto (quanti) li circonda(no). Il film ha una specie di prologo spiazzante, con un’intensissima Imelda Staunton (Il Segreto Di Vera Drake), che serve a fare abbassare la guardia agli spettatori e a farli passare dal dramma delle vite alla quotidianità intensa e calda degli strepitosi Tom e Gerri (sì volutamente come i Tom e Jerry dei cartoni animati). DEGLI UOMINI E DEGLI DEI di Xavier Beauvois è il meritato Gran Premio della Giuria. 1996: partendo dai diari e dalle lettere dei monaci e dagli avvenimenti storici del periodo, si parla della comunità benedettina che da centinaia di anni viveva donandosi nei servizi, istruzione e salute prima di tutto, in pace con le comunità della zona sui monti dell’atlante algerino. Sono gli anni della nascita dei nuovi fondamentalismi islamici e della nuova jihad che seminerà morte nei villaggi rurali algerini. La lotta con un miope potere statale, che conosce solo la forza della repressione, e il confronto sempre più traumatico con una jihad che pian piano non riconosce più nei monaci dei fratelli nel nome del misticismo (che potrebbe mantenere aperti dei canali di comunicazione) ma dei Nemici Religiosi, sono i piani di prima e immediata lettura del racconto. Film su commissione, e di questo purtroppo a volte ne risente nella programmatica prevedibilità agiografica del racconto, ha i suoi punti più alti nel rapporto con gli abitanti del villaggio e nella descrizione delle dinamiche interne alla comunità religiosa. Il rapporto con la capacità di visione dell’altro, stato o jihad non è qui importante, è inesorabile nel mostrare quell’indurimento dei cuori che avrà, come unica conseguenza, l’abbandono di qualsiasi forma di dialogo a favore di uno scontro in cui gli unici sconfitti saranno la popolazione più umile e chi cercava di aiutarla.
Del ´nostro´ LA NOSTRA VITA di Daniele Luchetti molto se ne è parlato grazie al meritatissimo premio per la migliore interpretazione maschile a Elio Germano e per il discorso da lui fatto durante la premiazione. Luchetti finalmente abbandona la forma e la rigidità di una messa in scena sempre troppo intellettuale, troppo filtrata dal pensiero e dalla razionalità, a favore di un immergersi nel corpo attorale di Germano traendone una nuova carne filmica. Certo molti film luchettiani avevano un loro interesse, LA SCUOLA o IL PORTABORSE ad esempio, ma ormai da tempo si assisteva ad un cinema troppo ordinario e normalizzato, troppo politicamente corretto il cui abbandono si delineava già dal precedente ottimo MIO FRATELLO È FIGLIO UNICO. Chiaro è che questa eccedenza di corpo de LA NOSTRA VITA porta ad una visione in parte mostruosa di questa nostra ´nostra vita´. Un corpo eccedente e mostruoso scorretto politicamente e arroccato a propria esclusiva difesa.
È l’elogio del nazionalista italiano dei nostri giorni, che ama i propri bambini ma è incapace di differenziarsene, che sfrutta, volente o nolente, gli stranieri e che per riuscire a farcela si assoggetta a regole al limite della legalità e alla ´eccellenza´ dei lavoratori italiani. Nazionalista, fragile, testardo. Tutto famiglia lavoro e sregolatezza alla Vasco: sentore e ricordo di una adolescenza ribelle mai evoluta né in lotta né in proposta. Un ´italiano vero´ di cui seguire commossi la lotta per la sopravvivenza sperando e pregando, alla fine, di non essere come lui.
FUORI CONCORSO un Frears purtroppo non completamente convincente si dà alla trasposizione, via Black Comedy, della grafic novel TAMARA DREWE. Si ride, anche di gusto a volte, ma l’alchimia spesso manca pur essendoci alcuni personaggi che rimangono impressi (tutti, o quasi, gli abitanti della casa degli scrittori e le due studentesse adolescenti). Da dimenticare il batterista Rockstar il cui unico pregio è l’amore per il drumming dell’immensa Moe Tucker dei Velvet Underground.
***UN CERTAN REGARD*** è una sezione per quegli autori che continuano a fare film di nicchia e/o con opere sperimentali non in linea con il concorso principale. Quest’anno autori come Jean-Luc Godard o De Oliveira erano in questa prestigiosa sezione ma purtroppo le loro opere non erano presenti nella selezione milanese. Solo due infatti le opere in rassegna: il rumeno AURORA di Cristi Pulu, da me purtroppo non visto ma descrittomi come un lungo e angosciante pedinamento di un uomo armato nella periferia di Bucarest; e l’interessante CHATROOM di Hideo Nakata già regista del primo originale RINGU che gli americani cloneranno senza fantasia e inventiva come THE RING. Nakata parla del mondo delle chatroom raffigurandole come stanze reali abitate di volta in volta da persone reali che passano materialmente, o immaterialmente, da stanze vicine, nascoste o lontane con il loro carico di verità e finzione, debolezze vere o strumentali in cui chiunque può diventare il ´guru´ di qualcun altro e/o compiere atti sconvolgenti. Non tutto fila liscio ma la claustrofobia a volte emerge e la descrizione della realtà irreale dei ´luoghi chat´ è assolutamente affascinante e morbosa. Il racconto della fragilità adolescenziale vista dall’interno di una chat è comunque fortemente destabilizzante per un pubblico adulto di ´non utilizzatori´.
***QUINZAINE DES RÈALISATEURS***
Dei 14 i film di questa sezione solo 11 sono passati sotto i miei occhi e di questi almeno un paio di capolavori e molti film degni di nota. ANO BISESTO (Michael Rowe, Mexico, Camera D’oro per la Migliore Opera Prima) è un film crudo e drammatico in cui la solitudine di Laura, giornalista precaria di Mexico City, è riempita da bugie e rapporti sessuali occasionali in un crescendo di umiliazione e violenza ricercata come unica possibilità della protagonista di realizzare un contatto con l’altro fino alla richiesta più estrema. Film non per tutti e che ha bisogno, oltre che di uno stomaco forte per alcune sequenze, anche di una disponibilità dello spettatore a immedesimarsi con il vuoto o comunque di fare un’azione di amore o empatia con la protagonista affinché non abbia a vivere, oltre che alle umiliazioni che la vita e le scelte le danno con abbondanza, anche del nostro disprezzo di spettatori. Scandito ossessivamente dal suono dei timer (3 minuti di combattimento/allenamento e 1 minuto di pausa) BOXING GYM, del documentarista Frederick Wiseman, è il capolavoro della sezione. Ambientato in una palestra di un ex pugile professionista ad Austin (Texas), il film è uno spaccato (americano ma non solo) delle varie umanità che la frequentano: ex pugili e mamme con neonati al seguito; pensionati e ragazzini; militari ed esaltati militaristi; stimati professionisti e immigrati. Per tutti loro la palestra, e la Boxe in particolare, sono strumenti per la formazione di un’umanità in qualche modo migliore o almeno più efficiente che prima; E i luoghi del boxare diventano così il confessionale dei desideri e delle vite di tutti gli iscritti; E il timing continuo nelle orecchie scandisce i tempi del boxare e del crescere; E i timing vengono interiorizzati come momento di disciplina personale. Passione gioco arte e violenza: ´Chi vuole fare a botte per strada non viene qua, chi viene qua non va a fare a botte per strada perché se no si fa male alla mano e deve interrompere gli allenamenti´. Timing Gong Ciak Boxe Azione Vita…
L’irlandese ALL GOOD CHILDREN, racconto non riuscito sul delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza, e il danese EVERYTHING WILL BE FINE, confusa storia tra il dramma famigliare e il thriller politico in cui i troppi flashback appesantiscono e rendono incomprensibile il racconto, non convincono e anche ILLEGAL, premio dei registi e degli autori a Cannes, pur non essendo un brutto film, anzi, nonostante gli sforzi non riesce a uscire dallo schema dei film sull’immigrazione irregolare. Il tutto è però tratto da una storia vera e questo fa pensare che a volte anche una storia ´già vista´ possa comunque servire.
Due horror atipici e interessanti sono LA CASA MUDA (Gustavo Hernandez – Uruguay) e SOMOS LO QUE HAY (Jeorge Michel Grau – Mexico). La Casa Muta è un Horror girato in un unico piano sequenza in cui il suono e l’allucinazione ricostruiscono, attraverso la visione dell’atto trasfigurato nel pensiero allucinatorio della protagonista, una violenza subita. Almeno due momenti molto interessanti, la scena nella stanza buia in cui è utilizzato il flash per vedere e la scena nella cameretta in cui i corpi circondati dalla plastica restituiscono insieme il ´confuso´ del pensiero allucinatorio e il ´perturbante´ feticistico del corpo avvolto/sfiorato dalla plastica semitrasparente, o sarebbe meglio dire ´opaca´, come il pensiero della protagonista. Il film mexicano è invece una storia di una famiglia di cannibali cui muore il capo famiglia e che si trova davanti al doppio quesito di come riuscire a sopravvivere e di chi diverrà il leader tra i quattro famigliari rimasti. Film sulle angosce della sopravvivenza e sul disfacimento dei legami famigliari, ancor più che sulle angosce dello smembramento dei corpi, obbliga, come in Romero cui sembra debitore, a un pensiero su chi e cosa siamo, come individui e come nucleo famigliare più o meno allargato, all’interno di questa società dei consumi che fagocita ogni cosa in modo più disumano del fagocitare cannibale dei protagonisti.
Altro capolavoro è l’italiano LE QUATTRO VOLTE di quel Michelangelo Frammartino già autore dello splendido IL DONO. Un cinema antico e solo apparentemente semplice. La costruzione delle immagini e delle sequenze è sempre studiata e paradossalmente antinaturalistico. Frammartino fotografa una civiltà in estinzione che non comunica se non con i dati di fatto delle inevitabili conseguenze degli atti. La natura guida tutto senza che l’uomo possa fare altro che annotare, codificare e ritualizzare gli avvenimenti della vita. I quattro episodi parlano di un vecchio pastore e dei suoi ultimi giorni di vita, della nascita e del perdersi di un capretto, della vita di un abete nelle stagioni e del suo uso per una festa di paese, della trasformazione del tronco in minerale ad opera dei carbonai calabri (momento di una sacralità così intensamente filmata da lasciare attoniti e stupiti).
Ingenuo e colorato è il francese PIEDS NUS SUR LES LIMACES di Fabienne Berthaud. Lily è una bella ragazza con qualche problema di equilibrio mentale che improvvisamente si ritrova a vivere da sola dopo la morte della madre. Il confronto con la sorella, che si fa carico di lei abbandonando sicurezze e affetti, porterà le due a una scelta di vita libera e alternativa. Il film è, però troppo ingenuo e semplicistico e in alcuni momenti se ti fermi e pensare anche solo un attimo rischi un’irritazione senza fine!
L’israeliano THE WANDERER, opera prima del trentatreenne Avishai Sivan, è un film di una cupezza e pessimismo incredibile. Un ragazzo diventa uomo nella solitudine di rapporti di una famiglia di ebrei ortodossi poveri sia in senso materiale che relazionale nella loro ermetica chiusura al mondo e agli altri. La scoperta della propria sterilità lo porterà a vagabondare solitario per la sua città. L’incapacità di relazione lo porterà a bruciare in modo drammatico anche la miracolosa opportunità di conoscenza con una ragazza conosciuta in modo fortuito. È proprio la gestione di questa scena che fa emergere il talento drammaturgico del regista che improvvisamente, nel grigiore angoscioso del racconto, ci fa finalmente sorridere e sperare per poi annichilirci con la violenza inaspettata e gratuita del protagonista. In modo diverso un film che può ricordare ANO BISESTO ma che, con la sua violenza etero diretta, non permette alla fine nessun tipo di empatia che possa far amare o giustificare il protagonista.
Ultimo film di questa sezione è un film lontanissimo dall’essere un capolavoro ma che mi ha stregato al punto di pensarlo scriverne, suonarne, chiederne, con una continuità particolare: UN POISON VIOLENT (Katelll Quillevere, Francia).
Trascrivo dalla sinossi di Cannes e Dintorni: ´Anna è una ragazzina di 14 anni che ha lasciato il collegio per tornare a casa nel paesino natale. Li scopre che il padre sta chiedendo la separazione dalla madre mente il nonno sta pian piano morendo´. Il nonno, proprietario della casa è il padre del marito ed è convivente con la cognata, la mamma della protagonista. È difficile spiegare bene il plot ma la cosa importante è la (ir)rispettosa lotta tra la cupa e faticosa morale cattolica della madre e del sacerdote amico, e la leggerezza libertina e atea del nonno e del padre. In mezzo una ragazza che vive il proprio risveglio sensuale e che confronta i propri drammi con quelli della vita adulta. UN POISSON VIOLENT è alla fine un dolce inno alla sensualità e a come questa sia, assieme all’amore, e in modo spesso a esso slegato, la vera possibile azione rivoluzionaria a disposizione dell’uomo. Con la leggerezza e l’ironia di una canzone di Brassens Quillevere ci porta verso la morte del patriarca con una delle più belle e commuoventi scene degli ultimi anni contrappuntata da una lettura funebre di Anna che è un inno all’amore sensuale. Commuovente e rivitalizzante UN POISON VIOLENT (titolo di una splendida canzone di Giainsburg) riappacifica col mondo e con gli altri in virtù della rivoluzione operata dall’amore. Una speranza: che il film sia distribuito in Italia.
***DINTORNI E VINCITORI BERGAMO FILM FESTIVAL***
BRIGHT STAR. L’anteprima italiana del film presentato a Cannes 2009 da Jane Campion era all’interno della rassegna, ma questo film delicato e intenso meriterebbe più spazio. Non parlerò perciò dell’accecante bellezza delle immagini e della storia quanto della pessima prova offerta dai doppiatori italiani così interessati alla loro teatral/radiofonica bella voce da non riuscire MAI a rendere leggibile il senso della parola poetica vero punto di partenza e senso del film. Sfido chiunque a dirmi che è riuscito a capire e seguire il senso delle poesie recitate! Allo spettatore è posta solo una bella voce impostata e mai il senso delle parole. È questo ciò che vogliamo dal cinema? Chi può pensare che sia questo che voleva la Champion?
CITY ISLAND è una piacevole e divertente commedia sui rapporti interpersonali, sul doppio che tutti noi nascondiamo agli altri e sulle piccole e grandi menzogne di cui ci circondiamo. Splendida la scena della lezione di recitazione in cui è ridicolizzato il metodo (e le pause) di Marlon Brando e veramente sorprendente questa isola all’interno di New York che appare un’oasi di tranquillità inaspettata. THOMAS (di Miika Soini - Finlanda) è un gioiello pieno di silenzi, solitudini, incontri e sottile ironia (incredibile la finnica ironia della prima scena). Il tema della solitudine viene piano piano abbandonato a favore di un secco e incisivo confronto sul tema dell’eutanasia. Poche parole tra le ragioni del cuore e quelle della legge che non sono mai dette per portare lo spettatore da questa o quella parte. Da vedere.
Chiudo con due corti. TRE ORE è un corto italiano di 12 minuti di Annarita Zambrano. La storia dell’incontro tra un uomo carcerato per omicidio e sua figlia di 9 anni. La prima volta per entrambi durante il primo permesso dopo anni di detenzione. PETIT TAILLEUR (Louis Garrel – Francia 44’) è un film potenzialmente insopportabile. Bianco e nero e vezzi autoriali a scopiazzatura truffautiana e paterna. Borghesia ostentata da belli e dannati cui tutto andrà comunque bene. Amour fou e amori che si rincorrono in tutte le forme geometriche. Eppure inaspettatamente Garrel figlio trova comunque una grazia che rende il tutto non solo sopportabile ma anche interessante. Garrel fa parlare i suoi personaggi di e con una superiorità borghese che noi non riusciremmo e riusciremo mai a sfiorare. Solo apparentemente leggero e superficiale Garrel riesce in questo gioco soprattutto perche parla di cose che conosce benissimo. Sempre sulla sottile linea dell’indisponenza e dell’altezzosità borghese il francese gioca, rischia e vince sui nostri cuori.