Jazz Reloaded, anni 1990

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Jazz Reloaded, anni 1990 Trent'anni nel segno del cambiamento

13/03/2021 di Paolo Ronchetti

#Jazz Reloaded, anni 1990

30 anni di Jazz visto dalla prospettiva non scontata. Un viaggio temporale nel quale sarete accompagnati dai 3 Kings of Jazz della redazione. Questa la prima puntata.
Jazz Reloaded 1990 - 2000 - 2010 trent'anni nel segno del cambiamento

Il jazz è morto? Vexata quaestio sulla quale molti si accaniscono con pollice verso. Nulla è arrivato dopo Duke, Satchmo, Bird, Miles e Coltrane; tutto è già stato detto. Per noi di Mescalina questo è un grosso abbaglio, una valutazione superficiale frutto di ignoranza e ammuffita spocchia generazionale. Per testimoniare la ricchezza del jazz contemporaneo la redazione ha deciso di proporre questo speciale relativo all’ultimo trentennio, periodo molto poco trattato nella letteratura corrente. Certo, siamo ancora nella cronaca e non nella storia, ma i sintomi della vitalità ci sono tutti. Il lavoro riporta quindici titoli per ogni decennio con l’obiettivo non tanto di un'impossibile esaustività ma piuttosto di un invito alla scoperta. La ricerca si è orientata a individuare opere significative per la formazione di nuovi sentieri e sinceramente crediamo di aver offerto un buon contributo, utile per favorire una visione aggiornata del genere. Ovviamente si potrà obiettare che all’appello mancano molti riferimenti, ma ogni scelta presuppone una rinuncia senza tuttavia compromettere ulteriori aperture. Buona lettura e soprattutto buon ascolto a chi deciderà di sondare almeno qualcuna delle traiettorie presentate. (Redazione Jazz)

Sommario

DECADE 1990 

 

Kenny Wheeler

Music For Large & Small Ensembles

ECM (1990) 



Per Kenny Wheeler (1930, trombettista e compositore canadese) gli anni 90 iniziano con un doppio cd ambizioso e riuscito. The Sweet Time Suite è una lunga composizione in otto movimenti in cui la sapienza di Wheeler come autore e orchestratore emerge con straordinaria naturalezza. Sono temi, solo apparentemente semplici, su cui i 19 membri dell’orchestra trovano la possibilità di esprimersi in un grande equilibrio tra parti solistiche e scrittura orchestrale. Bravissima è poi Norma Winstone che con la voce contrappunta le parti dei fiati in modo straordinario. Il secondo cd si divide tra brani per Large Ensemble (con un gigantesco Evan Parker nel secondo brano) e brani per duo, trio e quintetto (Small Ensemble) che esplorano possibilità che saranno fondamentali per la produzione di capolavori come Angel Song (96). “Cerco di applicarmi e di insegnare al mio cuore a cantare. Affronterò l'inconoscibile e costruirò un mondo tutto mio” (Be Myself).

 

John Zorn Naked City

Naked City

Elektra Nonesuch (1990)



Il nome di John Zorn circolava ormai da anni. Jazzista e sperimentatore già raccoglieva intorno a sé la crema dei musicisti Downtown New York senza preclusione di genere o attitudine. La Elektra Nonesuch gli fece un bel contratto e si trovò tra le mani: il game piece/hard-boiled Spillane (88); Spy vs Spy (con Tim Berne in doppio trio sulle musiche di O. Coleman 89); un disco di colonne sonore per film (molto) indipendenti (92). Ma prima delle, contrattualmente fatali, colonne sonore Zorn produsse un album violento e spiazzante che univa tutte le sue ossessioni: Carl Stalling e le musiche dei cartoni animati, l’hardcore punk, il noise, il jazz, cut up, l’improvvisazione radicale, la capacità di comporre a tema, le colonne sonore di Mancini e Morricone, la violenza, il Giappone, Coleman, la morte, S&M. Ben 26 brani in 55 minuti con fulminei cambi di tempo e forma ogni pochi secondi. Naked City fu il primo di sette spiazzanti album e Naked City era il nome di questa incredibile band composta da: John Zorn, Bill Frisell, Fred Frith, Wayne Horvitz, Joey Baron, Yamatsuka Eye.

 

Charlie Haden And the Liberation Music Orchestra

Dream Keeper

Blue Note (1990) 



Charlie Haden è nel pieno della maturità artistica quando esce Dream Keeper, terzo capitolo a nome della Liberation Music Orchestra. Carla Bley arrangia al meglio cinque brani per un ensemble rodato che proviene in parti uguali dalla sua orchestra come dalle frequentazioni storiche del band leader. Il suono è più popolare e meno free rispetto ai lavori precedenti ma intatta è la bellezza e il profondo valore politico di ogni singola nota. Gli iniziali 16 minuti di Dream Keeper sono costruiti da una serie di brani popolari di origine ispano/americana legati da una complessa struttura scritta della Bley. I dieci minuti di Nkosi Sikelel’I Africa lasciano senza parole per l’equilibrio dell’alternanza tra soli, parti scritte e il canto dell’inno sudafricano. Sandino e Spiritual chiudono il disco con due dei migliori temi scritti da Haden. In Sandino il solo di Harrel stordisce per l’intensità; in Spiritual l’eco del lavoro di Lester Bowie incontra una tensione mistica che ritroveremo intatta tre anni dopo nell’intimo duo con Hank Jones in Steal Away.



Bill Frisell

Have A Little Faith 

Elektra Nonesuch (1992)



La qualità di quest’opera sorprese tutti. Che Frisell fosse un chitarrista eclettico e capace lo si era visto nei suoi lavori solistici come nel trio di Motian o assieme a Zorn. Quello che nessuno poteva aspettarsi era l’arrivo di un disco che aspirasse a diventare una antologia musicale del 900 americano. Partendo da Billy the Kid di Aaron Copland Frisell esplora (e spesso reinventa) brani di Charles Ives, Bob Dylan, Madonna, Sonny Rollins, Stephen Foster, John Phillip Sousa e John Hiatt.

Con l’aiuto di Joey Baron e Kermit Driscoll alla ritmica, Guy Klucevsek alla Fisarmonica e Don Byron ai Clarinetti Frisell organizza un suono prezioso e dal grande senso orchestrale in cui si inseriscono momenti solistici di assoluta libertà. Frisell tratta ogni materiale in una forma cosi “perfetta” e giocosa da lasciare esterefatti e ci consegna uno dei dischi più belli non solo del decennio. Produzione di Wayne Horvitz in stato di grazia e copertina di indimenticabile e gioiosa bellezza.
 

Marc Ribot

Requiem for What's-His-Name

Les Disques Du Crepuscule (1992) 



Quando uscì questo secondo album da band leader Marc Ribot si era già fatto notare come uno dei musicisti più importanti della sua generazione. Già con Lounge Lizards, il Costello di Spike, Marianne Faithfull (come nello straordinario Blazing Away) Ribot era stato soprattutto uno degli artefici degli arrangiamenti e dell’andamento ritmicamente zoppicante di uno dei capolavori di Tom Waits: Rain Dogs! Ma il Ribot solista non si accontenta e procede nel suo viaggio selvaggio e pieno di passione che trae ispirazione da Albert Ayler come da Hendrix. Come per il suo quasi coetaneo Bill Frisell il suo suono non ha confini: tradizionali come Motherless Child e standard come Caravan subiscono lo stesso “oltraggioso” e rivitalizzante trattamento dei brani autografi. In una rincorsa folle e selvaggia piena di ironia che lo porteranno a diventare una stella della magica corte di John Zorn.

 

Gianluigi Trovesi Octet

From G to G

Soul Note (1992)



A fine ‘92 risale l’uscita di questo bellissimo From G to G con cui Trovesi riuscirà a farsi apprezzare a livello internazionale. Forte di una cultura popolare e jazzistica unica nel suo genere il Maestro Trovesi scrive e arrangia sette temi in cui musica antica, folklore, improvvisazione, musica colta e jazz diventano linguaggio e patrimonio comune per i musicisti coinvolti come per gli ascoltatori. Ritmiche bulgare, fraseggi colemaniani e arie rinascimentali si susseguono, assieme ad altri mille ingredienti, senza soluzione di continuità e a far da collante, oltre alla bravura degli interpreti c’è una scrittura precisa con sprazzi di irriverente ironia come nella splendida Now I Can. Come ad una festa di paese con interpreti di prima grandezza, From G To G è una delle vette del Jazz non solo italiano.

 

Paul Motian Trio con Bill Frisell, Joe Lovano (Dewey Redman nel brano 8)

Trio i sm

JTM (1993)



Paul Motian, già alla corte di Bill Evans nel trio con Scott La Faro e di Jarrett nei dischi dell’American Quartet, trova la sua più grande realizzazione nel corpus degli album incisi al fianco di Bill Frisell e Joe Lovano per ECM, JMT e Soul Note. Con ospiti come Charlie Haden, Lee Konitz, Marc Johnson il trio costruisce un suono nuovo e rivoluzionario sia nel modo di trattare gli standard che nel procedere nei brani autografi. In questo Trio i sm il suono raggiunge una essenzialità priva di compiacimento. Piena di un sublime gusto per una asimmetria ritmica (spesso dal groove inaspettato) che trova la giusta tensione tra gli spazi delle note di Lovano e i loop e le frasi implose e piene di distorsioni di Frisell. Calorosamente consigliati tutti i dischi pubblicati dal trio a partire dai tre capitoli dedicati alla musica di Broadway.

 

Henry Threadgill

Too Much Sugar for a Dime 

Axiom (1993)

 

Pubblicato da una delle label più particolari degli anni 90 (la Axiom di Bill Laswell) l’album segue di pochi anni un altro capolavoro di Treadgill (Very Very Circus - Black Saint 91) ampliando possibilità compositive ed espressive. Threadgill sperimenta ancora con i Very Very Circus (settetto con doppia tuba e doppia chitarra a cui si aggiungono il sax del leader, corno francese e batteria) un suono fortemente orchestrale che prevede il raddoppio delle voci strumentali creando una sovrapposizione di line solo apparentemente caotica. In realtà armonizzazioni precise sostenute da ritmiche potenti come nella travolgente Try Some Ammonia. Ad aumentare la sensazione di straniamento Threadgill utilizza, in Better Wrapped /Better Unwrapped, l’alternanza di due temi - uno suonato dai Very Very Circus e l’altro da una formazione cubana - in maniera netta e radicale obbligando l’ascoltatore a operare una riscrittura personale che ridefinisce magicamente la bellezza del brano. In questa scelta, come nel risalto dato alle ritmiche del disco, la mano di Laswell alla produzione risulta vincente.


Cassandra Wilson

Blue Light Til Dawn 

Blue Note (1993) 



Dal Mississippi al Free Funk- Jazz newyorkese del movimento M-Base sino al ritorno alla palude del blues: Blue Light segnò il repentino passaggio della Wilson dalle atmosfere sperimentali cariche di groove della M-Base di casa JTM al suono più paludoso e cool di casa Blue Note. Con la sua voce profonda la cantante di Jackson si cucì addosso repertorio e modalità interpretative, dilatando i suoni e appoggiandosene morbidamente con i toni caldi della sua voce. La Wilson gioca con sapienza su arrangiamenti scarni e allo stesso tempo pieni di intensità. Questo le permette di scegliere un repertorio personale e vario fatto di nobili brani pop/rock (J. Mitchell e Van Morrison), di recupero delle origini del blues (R Johnson), di soul (Ann Peebles), brani autografi, standard dimenticati e invenzioni di musicisti ospiti come Ciro Baptista. Il successivo New Moon Daughter raffinerà il gioco, ma questo Blue Light Til Down fu il primo inaspettato colpo per le orecchie e il cuore.


Myra Melford Extended Ensemble

Even he Sound Shine

hatART (1995)

 

Nella luce del giorno anche i suoni brillano…

Io ho desiderato come i suoni non essere le cose ma viverle... (Fernando Pessoa).

Parte da questa poesia e dalla trascrizione del canto degli uccelli nella primavera austriaca questo primo lavoro della pianista Myra Melford nel tentativo di ampliare l’esperienza del suo trio. A Lindsey Horner e Reggie Nicholson (Basso e Batteria) la Melford affianca due dei nomi più prestigiosi di quei giorni: il sax di Marty Ehrlich e la tromba enciclopedica di Dave Douglas. Il tentativo è quello di concretizzare una specie di quintetto cameristico con cui lavorare su vari aspetti: il ruolo di accompagnatore e solista, i concetti di densità e trasparenza della musica, il tema del dualismo tra caos e struttura. In questo senso l’organizzazione sonora viaggia continuamente tra duetti, trii e momenti in cui il quintetto suona al completo. Il tutto con grandissima consapevolezza. Rimane il ruolo della band leader che spesso non si pone al centro dell’attenzione ma lavora di preziosa e indispensabile tessitura tra e sulle parti.


Thomas Chapin trio

Sky Piece

Knitting Factory (1996)



Se si pensa ad un musicista scomparso proprio mentre la sua bravura stava emergendo con potenza Thomas Chaplin è un nome che viene in mente tra i primi.

Nel luglio 1996 il Thomas Chapin Trio (Mario Pavone al Basso e Michael Sarin alla batteria) sconvolse chiunque si trovava davanti a loro: resident band a Umbria Jazz. Si ricorda l’eccitazione, il passarsi la voce tra appassionati, le code per entrare nel club per il concerto di mezzanotte. Un trio che viaggiava su un interplay solfureo, potente, pieno di idee e di tecnica. Un suono che sapeva di free, punk, soul e, soprattutto, del più puro jazz. Il trio, tornato negli USA, registrò subito questo Sky Piece che li fotografa in stato di grazia assoluta. Sin dal primo omonimo brano emerge una scrittura straordinariamente raffinata e un suono al flauto basso che lascia senza fiato. La qualità del trio è pazzesca sia sulle ballad che sui tempi più serrati o nei brani dal sapore più etnico. Nel gennaio 1997 la dura diagnosi di leucemia; un anno dopo, a 40 anni, la morte prematura.



Lee Konitz, Brad Mehldau & Charlie Haden

Alone Together

Blue Note (1997)



Tre generazioni e tre maestri a confronto: le sghembe (e bianchissime) architetture sonore del settantenne Lee Konitz; la profondità delle note e del suono di Haden (60 anni); il ventisettenne Brad Mehldau, osannato dalla critica e nel pieno della ricerca di un suo pianismo personale. Difficile lavorare, ancora una volta, su standards usurati da milioni di versioni, eppure l’ascolto, il rispetto e la personalità dei tre fanno sì che questi standards sembrino, miracolosamente, quasi nuovi. Il suono si sospende senza mai rincorrersi se non per piccole “fughe” a due o a tre suonate con piglio più cameristico che da jazz-club. Il risultato è però quello di un album potentemente jazz in cui è bello perdersi.
 


Michel Petrucciani

Au theatre des Champs-Elysees

Dreyfuss (1995) 



Chiaramente una scelta opinabile. Perché non scegliere “Marvelous” con Tony Williams, Dave Holland e il quartetto d’archi? Oppure il duo piano organo con Eddy Louiss? Petrucciani fu visto da chi scrive molte volte e con molte splendide formazioni a partire dalla sua seconda esibizione italiana al Teatro Ciak Milano nel novembre 1984. Ma l’energia che Petrucciani sprigionava dei suoi live in solo è una cosa difficilmente raccontabile. Innanzi tutto il suono del suo piano: nessun pianista è stato così riconoscibile sin dal primo tocco e con un suono così identico a sé stesso in 15 anni di concerti e centinaia di pianoforti usati. Questo live poi è gioia pura per le orecchie. I 45 minuti di medley che aprono il primo disco in un fiato solo dicono di un piacere unico nel condividere la propria passione tra invenzioni pirotecniche e scavo, giocoso ma mai sterile, nei meandri delle composizioni originali. Ecco, questo disco trasuda di tutta la voracità e amore di cui Petrucciani era capace! Purtroppo, anche lui ci lasciò presto: nel gennaio 1999 a soli 37 anni.
 

Tomasz Stanko Septet plays the music of Krzysztof Komeda

Litania

ECM (1997)  

 

Il polacco Krzysztof Komeda fu figura fondamentale per il nuovo jazz europeo. Sua fu una delle prime formazioni di Free Jazz in tutta Europa. Intimo amico di Polanski venne da lui invitato a scrivere la colonna sonora del suo film d’esordio. Da allora divenne autore richiestissimo sino alla sua prematura scomparsa durante una lite “per gioco” ad un party ad Hollywood nel 1969 dopo la registrazione dello score di Rosemary’s Baby. Il trombettista Tomasz Stanko costruisce un prezioso sestetto di musicisti che in qualche modo avevano avuto a che fare con Komeda e realizza un omaggio potentemente orchestrale (spesso anche nella gestione dei soli) dalle oscure, rarefatte e talvolta oniriche atmosfere. I brani provengono dal repertorio jazz come da quello di autore di colonne sonore e hanno una qualità di scrittura, arrangiamento e di esecuzione che affascina in ogni traccia.


Masada 4tet

Masada Live in Middelheim 1999

Tzadik (1999) 



La storia del songbook Masada è la storia di uno dei più affascinanti e complessi progetti musicali degli ultimi quarant’anni. Un impressionate corpus di composizioni (ad oggi più di seicento brani) nati per ripensare nuovi sviluppi per la musica ebraica. L’inizio nel 1993 proprio con questo quartetto formato da Zorn, Duglas, Cohen e Baron. La musica è quanto di più eccitante si possa ascoltare: tra Coleman, scale ebraiche e un approccio quasi punk. Ma non ci sono trucchi e vederli dal vivo è ogni volta un’esperienza straordinaria con i quattro attaccati uno all’altro per sentirsi senza bisogno di monitor. Si va dal lirismo più puro ad un suono sulfureo sempre mantenendo altissimo ascolto e interplay. E poi ci sono temi che entrano nelle orecchie e la capacità di Zorn di “condurre” i suoi progetti nella maniera più intensa e dinamica possibile. Dieci album in studio e infiniti straordinari progetti collaterali come il doppio The Circle Maker (Tzadik 1998) con il Masada String Trio e il Bar Kokhba Sextet. Musica per il corpo e per l’anima.