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Angelina Mango La rondine e la gabbianella: riflessioni sulla vittoria a Sanremo 2024
Una gabbianella che ha imparato a volare: nata per stare sul palco, la giovane rondine nata a Maratea (PZ) nel 2001, a detta di alcuni, potrebbe candidarsi in futuro a star del latin-pop, ma sa anche raccontarsi in modo spietato, spogliandosi in parte dell'immagine che le stanno costruendo. Dovra' insomma decidere con attenzione la sua rotta; intanto volera' in Svezia sul palco dell'ESC.
“Ma che canzone canto?”: correva l’anno 2007 quando Mango portò Chissà se nevica al Festival di Sanremo, proponendo anche un emozionante duetto con la moglie Laura Valente (ex Matia Bazar). Proprio quest’ultima, in un’intervista di Pippo Baudo, affermava che Angelina, che allora aveva meno di sei anni, era contenta di questa partecipazione dei genitori a Sanremo, ma sarebbe voluta andare anche lei alle prove del Festival ed esibirsi su quel palco, per cui si era domandata quale pezzo portare. Dopo 17 anni, con il numero 17 nel televoto della quinta e ultima serata di Sanremo 2024, Angelina Mango non solo ha cantato, ma si è portata a casa la palma della vittoria, giungendo a un traguardo che nessuno dei due genitori aveva mai raggiunto. Tra le affermazioni ricorrenti su di lei, già acclamata come vincitrice in pectore fin dalle pagelle pre-sanremesi dai professionisti che ne avevano ascoltato il pezzo in anteprima, questi giorni ci sono state “Si mangia il palco”, o “Ha potenzialità enormi”. Allora non si è premiata la canzone, ma l’artista? Beh, La noia, composta con Madame e Dardust, ha una struttura e linea melodica non scontata: non a caso ha consentito ad Angelina Mango di portarsi a casa anche il Premio Giancarlo Bigazzi assegnato dall’Orchestra alla migliore composizione musicale, oltre che il Premio Lucio Dalla, attribuito dai giornalisti radio, tv e web accreditati al Palafiori; grazie anche a un intenso momento a cappella, il brano ha consentito alla giovane artista di mettere in evidenza le sue doti vocali. La noia poi non è la solita canzone d’amore, ma un pezzo sulle inquietudini, dove la noia, a cui pure nelle interviste la cantante e cantautrice ha attribuito un valore positivo come momento da dedicare a sé stessi, diventa il vuoto da riempire ed esorcizzare, cambiando città, ridendo, facendo festa, in una sorta di horror vacui. Non è allegria, non è quella sofferenza che fa “le gioie più grandi”, è sentirsi ingrigire e morire dentro ogni giorno in un quotidiano anonimo, pur senza morire, è l’abisso che inghiotte, sono i sogni che tanti giovani come lei osservano impazienti nei loro “disegni”, che tardano a realizzarsi e a “prendere vita”.Invece il sogno di questa ragazza, che reputa la noia la spinta a non crogiolarsi nell’autocommiserazione diffusa e ad autorealizzarsi e rinascere, si è realizzato dopo un anno, il 2023, in cui è brillata come una supernova: il rischio sarebbe quello di bruciarsi presto, ma, come si diceva, in tanti hanno visto in lei quella stoffa che potrebbe portarla a diventare una vera star. È risultato così ben chiaro a tanti professionisti del settore, musicisti e appassionati di musica che Angelina non sembra (e già non fosse) una “one-hit wonder”, che non pare destinata a essere solo un fuoco di paglia festivaliero post-Amici, come un Valerio Scanu o un Marco Carta. La cantante comunque non ha dietro una major, come altri nomi in gara al Festival (ADA Music Italy, del gruppo Warner, si occupa solo della distribuzione), ma è sotto contratto con LaTarma, realtà indipendente nata solo nel 2022 con tre divisioni (Records, Entertainment e Managament) e fondata però da una manager di successo come Marta Donà (al fianco di nomi come Marco Mengoni e che per quattro anni ha seguito i Måneskin).
Qualcuno ha citato Rosalía come possibile punto di riferimento per la carriera di Angelina e quindi come artista internazionale di cui cercare pian piano di eguagliare i trionfi, obiettivo che sarebbe logicamente molto ambizioso: sicuramente con una versione in castigliano di questo brano già latin la cantante potrebbe puntare al mercato di lingua spagnola; inoltre, magari con una coreografia importante, a supportare la sua verve trascinante, potrebbe giocarsi bene la carta dell’Eurovision Song Contest per proiettarsi in un contesto appunto internazionale, che vinca o meno nella prossima competizione in Svezia. Però c’è da augurarsi che rifletta ora, o comunque nel tempo, sulla direzione da prendere, cercandone una che la rispecchi pienamente, anche pensando alla storia musicale del padre: Mango ha avuto il suo successo con alcune potenti, curate e convincenti hit, ma è stato probabilmente troppo spesso sottovalutato. In Italia viene apprezzato come cantautore per eccellenza un De André impegnato e riflessivo, o in generale nel cantautorato italiano si è sempre data un’importanza rilevante soprattutto ai testi, e non si sono premiati e valorizzati davvero i talenti di un artista vocalmente fuori dal comune (con estensione di tre ottave, coperte con voce piena o in un semi-falsetto), di un professionista e musicista impeccabile (diventato autore di versi solo con l’album Disincanto del 2002, dopo aver collaborato con il fratello Armando, Mogol, Alberto Salerno, Pasquale Panella, ecc.), di uno sperimentatore di ritmi e alchimie sonore, laddove per sperimentazione non intendiamo certe formule sofisticate ed elitarie, che è quasi un dovere elogiare e che giustamente colpiscono la critica, imponendo alcuni dischi in qualunque classifica di esperti o meno del settore (che magari poi non riascoltano più un certo album: straordinario, innovativo, sbalorditivo quel disco, ma sta bene in una teca, se lo trovi su supporto fisico. Non so agli altri, ma a me succede di esaltare un album per motivi soprattutto tecnici, ma poi di non riascoltarlo spesso). Qui per sperimentazione non intendiamo una rivoluzione che abbia cambiato la storia della musica, ma l’inesausta volontà di non accomodarsi sugli allori, di continuare a misurarsi con nuovi arrangiamenti e a mescolare i generi, dal synth-pop e dalla new-wave alla musica etnica o dal pop-rock, con un’attenzione raffinata alla melodia e focus su una voce notevole ed emozionante e su esibizioni che travolgevano in un turbinio di ritmi e interpretazioni passionali. Però purtroppo Mango non è stato spesso incluso nel Gotha dei grandi cantautori italiani, ma relegato “solo” al rango di autore pop, anche quando ha puntato su un’intensità “nuda” di espressione, concentrandosi su sonorità più minimali e acustiche. Quanti conoscono un brano delicato piano e voce come Io ti vorrei parlare (dall’album Ti porto in Africa del 2004), che contiene versi come questi?
Io ti vorrei parlare
Per capire qual è il tuo senso delle cose
Se quel vuoto ricresce già con nuove frasi
Dette come da sempre
A ribaltare il niente, io, io ti vorrei parlare
Sottovoce non far sentire al cuore se un bisogno è un bacio
Quel ti amo sospeso a sospirarne dieci
Io ti vorrei parlare
Prima che il vento porti via le foglie
Prima che un gesto poi non serva a niente
La coerenza è un destino incerto per ognuno
Prima che sia più forte, più del tuo profumo
Prima che il tempo passi a un altro amore
Prima che il gioco sia di non partire
Al di là dei discorsi fatti e della gente
Anche prima di avere fretta, fretta come sempre
Forse che fra cent'anni e mille amanti
Ti prenderò per mano
Io soltanto
Quanti conoscono il duetto di Pino Mango del 2008 con Franco Battiato sulle note de La stagione dell’amore? Quando il Premio Tenco, che poi nel tempo si sarebbe trasformato per pigrizia di tanti critici in una succursale del Festival di Sanremo e in una rincorsa dei gusti popolari, gli ha riservato l’attenzione che avrebbe potuto meritare? Evidentemente i critici che lo stimavano in quell’ambito erano troppo pochi; in più, molti dei suoi ultimi dischi attirarono meno le attenzioni mediatiche, le vetrine televisive negli ultimi anni lo accoglievano in poche occasioni rispetto al passato e in particolare proprio la Rai non gli ha riservato nessun tributo degno di questo nome, dopo la sua morte, anche se si ricorda con piacere un’ottima e ben documentata puntata monografica di Techetechetè, a cura di Massimiliano Cané, andata in onda nell’estate 2023. Ha dovuto pensarci Angelina, nel timore che fosse la sua unica occasione per farlo all’Ariston, a omaggiare come si deve il padre, in una versione minimale, rallentata e in punta di piedi de La rondine nella serata delle cover di Sanremo 2024.
Tuttavia, no, non si vuole spostare l’attenzione da questo giovane e promettente talento, classe 2001, all’“ingombrante” e illustre genitore, ma sottolineare quanto sarebbe importante che non si facesse ingabbiare in qualche stereotipo commerciale, sacrificando le sue molteplici potenzialità. Ad Amici non aveva sbancato nella categoria dei cantanti sulle orme paterne: tutti sapevano chi fosse (e Arisa, tra l’altro ultima vincitrice donna all’Ariston 10 anni fa, l’avesse subito “spoilerato”, spinta anche da un “orgoglio lucano” e un debito verso il più grande artista della sua terra), ma, senza cognome, si era cimentata con una pluralità di generi e stili, passando agevolmente nelle cover da Crudelia di Marracash a Se telefonando e Let It Be, da Dancing di Elisa a I’ll Never Love Again di Lady Gaga, fino a una Tammurriata nera apprezzata anche da Fiorello a Viva Rai2! e a una versione di Nove maggio di Liberato, incisa anche nell’EP Voglia di vivere.
È vero, Angelina Mango ha proseguito poi proprio sulla strada di queste due canzoni con l’hit estiva Che t’o dico a fa’, tra Napoli e roboanti ritmi arabeggianti ai limiti del kitsch, e con la vocazione latin pop de La noia, proprio perché questo percorso le ha dato più successo finora rispetto a pezzi più intimi e personali, comunque sulla scia dell’urban odierno. Però Angelina Mango è già stata ed è anche oggi altro. Innanzitutto, non ha cominciato la sua carriera con Amici, ma canta fin da piccola e fin da adolescente ha cantato in varie formazioni con il fratello batterista Filippo; aveva duettato con il padre in Get Back, nell’ultimo album di Pino L’amore è invisibile (2014), e ha pubblicato il suo primo singolo (Va tutto bene) ed EP (Monolocale, pubblicato dall'etichetta indipendente di famiglia, la Disincanto) nel 2020. Aveva battuto già altre strade, che non l’avevano ancora portata ad avere grande visibilità, ma aveva anche mostrato una certa qualità di scrittura nel singolo, composto interamente da lei, Formica (2022), in cui, appena ventenne, aveva mostrato una sincerità e un coraggio “spietati” nel mettersi a nudo e presentarsi icasticamente come “l’orfana reale” e la “principessa di un castello caduto in rovina” e nel raccontare che, “selvatica come il capo del branco”, ha “sbranato a sangue freddo le emozioni più forti, prima del tempo” e che conosce bene “a che punto entra in gioco l’autodistruzione”. E nel ritornello trascriveva pure il rimprovero che qualcuno, a lei vicino, le avrà fatto di non essere partita da “un pezzo piano e voce”, ma di essersi buttata “nel vuoto” parlando di sé.
Anche a dicembre 2023 ha presentato un pezzo in cui si addentra in un’autenticità senza veli, anziché cavalcare qualche trend: si tratta del singolo Fila indiana, che aveva debuttato il 29 novembre nella seconda puntata della serie televisiva Rai e teen drama sci-fi Noi siamo leggenda, un’altra canzone “coraggiosa”, in cui è riuscita a rievocare nel dettaglio i dettagli del rituale ipocrita e stordente di un funerale (quello paterno, ovviamente) e il clima di scarsa empatia, di veleni e persino sospetti che caratterizzò quel momento, con un accenno sotto traccia a quella lunga e dolorosa controversia che portò gli eredi di Mango in tribunale. “Ho la tavola imbandita coi bastardi di Natale / Io ero un essere speciale, ma non hanno avuto cura di me”, canta Angelina in questo brano, anche in questo caso composto da lei sola.
Insomma, quest'artista non sa solo ballare, cantare tormentoni scritti con altri per cucirle addosso un’immagine che funzioni in radio e su TikTok, o vestirsi in modo eccentrico e colorato, con l’entusiasmo della sua età, che esorcizza la paura del silenzio, della morte, di una vita in cui non accade nulla, o in cui accade troppo e lascia i segni nelle “bambine incasinate con i traumi”. Sa cantare, sa scrivere, sa scavare dentro i dolori e le traversie che la vita le ha riservato troppo presto, facendola crescere in fretta, sta imparando a volersi bene e a credere in sé stessa; porta sul palco quell’educazione che l’ha portata a dire “Scusate” per essere inciampata alla finalissima sanremese, in nome di quell’estremo rispetto per il pubblico che il padre ha dimostrato persino mentre stava morendo, porta in scena quella passione che ha dentro fin da piccola, porta con sé e mostra con nonchalance (nonostante sia timida e saltelli appena può, per scaricare la tensione) delle capacità notevoli da performer trascinante, da autentico animale da palcoscenico, poiché letteralmente nata per calcarne le assi, e sfodera un talento innato, a cui ha il dovere morale di rendere onore e che si auspica sappia coltivare bene, mettendo a frutto doti vocali, sensibilità e una certa visceralità, che ogni tanto fa capolino dalle pieghe più profonde della sua anima. Sul palco più famoso di Italia d’altronde dichiara di aver portato “tutto”, tutta sé stessa, di aver lasciato niente a casa.
Speriamo che la piccola rondine, figlia minore dell’Usignolo di Lagonegro, che non ha bisogno di raccomandazioni, ma fa già onore alla memoria di un padre eccellente e rende orgogliosa una grande cantante come la mamma, possa volare in alto. Come la gabbianella di Sepulveda, ha imparato a volare da sola e le si augura che questa vittoria sia solo una tappa per un lungo viaggio.
Ad maiora, Nina.
Con sincero affetto.