Sanremo 2020

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Sanremo 2020 Una poltrone per due: commenti finali su Sanremo 2020

09/02/2020 di Ambrosia J. S. Imbornone

#Sanremo 2020#Italiana#Canzone d`autore

I nostri prodi Barbara Bottoli e Paolo Ronchetti tracciano un bilancio finale del Festival di Sanremo 2020, appena conclusosi.
Il commento finale di Barbara Bottoli

Sabato 08-02-2020 si è conclusa la Settantesima edizione del Festival di Sanremo diretta da Amadeus con la partecipazione di talmente tanti co-presentatori, ospiti ed intermezzi studiati che non vale la pena ricordare, anche perché elencarli tutti sarebbe impossibile e sono stati elementi che hanno sovrastato il vero significato della kermesse italiana, risultato ridondanti e soporiferi.

LESS IS MORE

Balza subito agli occhi, e alle orecchie, l'enorme differenza di esperienza tra il direttore artistico del 2020 e Baglioni che lo aveva preceduto, ponendo al centro la musica, la propria compresa, ma il fulcro restava la canzone, come da mandato; Amadeus, di diverso background, sicuramente più radiofonico e da preserale, sembra aver puntato al non fare scelte, nel vano tentativo di accontentare tutti, mescolando generi di intrattenimento, accoppiando i partecipanti (Elettra Lamborghini : Achille Lauro = Anastasio : Rancore = Pelù : Irene Grandi … ) seguendo metaforicamente regole matematiche che nella musica non dovrebbero servire con un risultato che ha premiato in termini di share, ma che lascia con l'amaro in bocca.

Il Festival, ogni anno, è una cartina al tornasole del Paese, spesso vale più di una serie di indagini Istat perché in cinque serate fotografa immediatamente la nostra realtà, a partire dalla Sezione Giovani Proposte che si è sminuita riproponendo un duello stile talent con un vincitore già certo: Leo Gassman con Vai bene così che pare ogni volta voler evitare i riferimenti al cognome, ma sono insiti nella presentazione, quindi si potrebbe ipotizzare che, nel 2020, la famiglia faccia la differenza? E che l'immagine valga più della sostanza? Forse è un pensiero azzardato, tuttavia confermato nel vedere assegnato a Tecla il premio Lucio Dalla per il brano 8 marzo che ha immediatamente riportato alla mente un misto tra Gigliola Cinquetti e l'ennesima ragazza di periferia che intimorita si pone come portavoce di una situazione, ma così giovane risulta poco credibile, nonostante la volontà. Sicuramente si può affermare che i Giovani che si sono alternati sul Palco ligure in queste serate non sono il campione rappresentativo di una generazione, capace di esprimersi andando ben oltre al singolo radiofonico, anche perché i brani erano in rotazione da mesi quindi si poteva dimostrare che di proposte originali ce ne sono, dedicando più tempo all'ascolto.

 Un argomento dibattuto prima e durante la kermesse è stato il tema femminile, nel corso dello spettacolo è stato chiaramente dimostrato che le donne sono intercambiabili, a differenza dei conduttori, tornando ad essere un'esibizione fisica e atte a pronunciare solo qualche parola già scritta, ma come sempre è stato più facile innescare polemiche giudicanti sugli abiti di Achille Lauro. Il trapper si ripresentava anche in questa edizione sanremese, con un brano intitolato Me ne frego e piace pensare che quello che ha rappresentato sul palco non fosse un'operazione di marketing, ma un vero percorso dimostrativo che è valso più di qualsiasi campagna sociale sponsorizzante: Lauro ha mostrato l'asessualità artistica, la provocazione vera, silenziosa, ha elogiato le donne, ha mostrato la libertà di genere, ma soprattutto ha dimostrato che Gli uomini non cambiano, in quanto uomo ha saputo immedesimarsi nello spirito femminile, palesando la superficialità di giudizio (pregiudizio), ma fregandosene, appunto, in una metamorfosi di ruoli, potere tra estremi di negazione ed esibizione interiore. Se Achille Lauro è la perla rara metaforica di questo Festival, consapevole del proprio dover puntare ad altro, la grande delusione è giunta da Morgan che ci ha regalato una delle pagini più deplorevoli della manifestazione, screditando la collaborazione artistica con Bugo, la persona, e la musica, ma ritenendo che sia l'ennesimo tentativo del cantautore lombardo di far parlare di sé, c'è la speranza che non riempia troppe pagine dei giornali, in quanto in pochi secondi ha distrutto l'idea che per anni ci si è illusi custodisse: di divulgatore musicale, innamorato del mondo cantautorale.

 Lo spazio dedicato alla musica è stato marginale, dimenticando il vero significato di questa manifestazione che è stata un carrozzone itinerante tra generi e obiettivi, ma che sul finale ha messo d'accordo tutti col vincitore: Diodato col suo brano Fai rumore, facendo spiccare il garbo, l'educazione, la capacità interpretativa, l'emozione e la verità, con un brano che ha colpito sin dalla prima esibizione, dimostrando le enormi capacità del pugliese che ha dedicato a Taranto il premio, doti già confermate anche nella serata cover, interpretando 24mila baci con Nina Zilli. Al secondo posto si posiziona Francesco Gabbani con Viceversa, grazie al testo di Pacifico, si disintossica da Occidentali's Karma, con un brano tipicamente sanremese, cioè quello che si canticchia il giorno dopo, secondo la regola non scritta dell'evento, sebbene il rischio sia di essere ricordato per una dizione caricaturale nella “esse” che potrebbe averlo penalizzato; inatteso il terzo posto in classifica de I Pinguini Tattici Nucleari con Ringo Starr che scavalcano canzoni più meritevoli, prima tra tutti Ho amato tutto di Tosca, teatrale, intensa e assolutamente perfetta sul palco, un tutt'uno vocale e musicale, capace di riportare alla mente la vena pulsante che dovrebbe essere questo spettacolo annuale. Attesi, sperati e, per lo più, adeguati negli anni, l'assegnazione dei premi speciali: Premio Mia Martini e Lucio Dalla a Fai rumore, Premio Bigazzi (orchestra) a Ho amato tutto di Tosca ed arrangiamento a Rancore che col brano Eden ha indubbiamente rischiato, presentando il testo migliore di questa edizione, ma estremamente complesso per tre soli ascolti, contenendo l'analisi cronologica del significato della mela dal tradimento al potere, dalla forza al codice in pieno stile personale, con una capacità scenica, interpretativa capaci di rendere Rancore uno dei migliori nella scena italiana; ha dimostrato la propria “maestosità” nella serata cover con Dardust e La rappresentante di lista riproponendo Luce di Elisa, culminato in un gioco di sguardi che sono il momento migliore di questo Festival, al termine di una sfida tra luce/buio, luna/terra, in un'apoteosi di bellezza e potenza.

Ben pochi i momenti da salvare nei ricordi di questa edizione sanremese che si è trasformata in una ricerca di momenti musicali che, simbolicamente, potrebbe essere analizzata in modo più approfondito, ma la stanchezza e l'attenzione dissipate sono giustificate dalle lungaggini che sarebbero state più consone ad un varietà del sabato sera, quindi ben lontano dalle aspettative poste dagli spettatori annuali sanremesi che attendono un carico intenso di nuovi brani. La vittoria di Diodato dimostra il bisogno di verità e di semplicità, di quelle emozioni che arrivano immediate e che si meritano uno spazio in ogni persona, ampliando la speranza che questo sia un bisogno sempre più soddisfatto e universale.

 

Il commento di Paolo Ronchetti

È sempre difficile fare un consultivo finale di un’operazione di dimensioni così sovradimensionate com’è stato questo Sanremo 2020.

Partirei proprio da questa ipertrofia per leggere il senso di vuoto e stanchezza che mi ha colto, e so di non essere il solo, durante questa edizione sanremese a firma Amadeus. Ridurre gli spettatori allo stremo riempiendo il contenitore di continue – spesso inutili - interruzioni, una sera dietro l’altra, non ha fatto bene alla gara; forse ha fatto bene all’audience ma non al cuore della trasmissione. In una gara dedicata alla canzone italiana avere mediamente, a puntata, tre “superospiti” ITALIANI fuori concorso (virgolette necessarie) è poi una cosa che assolutamente non ha senso! Poco senso ha anche il continuare a sentire l’obbligo di continui sketches da parte di chiunque. Questo, assieme alla direzione artistica, sono stati i punti dolenti di Sanremo 2020. Ma non tutto è andato male, e non tutto il male viene per nuocere!

Sulla conduzione devo dire che Amadeus se l’è cavata molto meglio di quanto mi potessi immaginare. Grazie al fraterno aiuto di Fiorello le puntate hanno avuto i punti di migliore qualità e divertimento proprio nei momenti in cui i due manifestavano, attraverso tormentoni e trovate, una intimità amicale e complice leggera e trascinante. Unico, grande, neo la sbracatura dell’ultima mezz’ora di trasmissione in cui il delirio e il caos hanno preso in mano la trasmissione con il povero Amadeus che correva zoppicando tra palco e retropalco per velocizzare e dare un minimo di ordine al tutto. Erano le 2,30 di notte e tutti i pubblici, in teatro e a casa, erano qualcosa in più che stanchi e spazientiti.

Ma un pregio, questa ipertrofia, l’ha avuto. Annegando il Festival di canzoni si è riusciti, per una volta senza polemiche, ad individuare (e far vincere), in maniera trasversale tra pubblico e critica, una canzone che piacesse veramente a tanti. Una canzone di qualità, non urlata, cantata benissimo, con un bel testo e senza polemiche esterne al suo essere “solo” una “bella canzone italiana”. Da quanto tempo ciò non succedeva? Era mai successo? È stato effetto secondario della scelta di affogare il festival in “troppe canzoni, troppo futuro troppe illusioni e amori digitali”? È stato risultato consapevole o casuale? Comunque Amadeus in questo è riuscito: ha recuperato un senso di nobile canzone italiana di qualità (finalmente) vincitrice ed accettata da quasi tutti. Complimenti.

Ed ora una veloce carrellata su cosa, in fondo, c’è da salvare o no delle altre 23 canzoni di quest’anno.

La canzone che si è potentemente elevata sopra le altre, grazie ad una scrittura superiore ed a una interpretazione da cantante top al mondo (sì, non solo italica; qui si sta parlando di una cosa che le mie orecchie hanno realmente sentito raramente nel mondo della musica Pop) è Ho amato tutto di Tosca. Si tratta di gioiello puro che vorrei rimanesse negli annali e nei ricordi di tutti, o almeno di chi ama quella cosa chiamata “musica leggera”. E ciò vale per la scrittura come, ed ancor di più, per la interpretazione.

Di indubbia qualità, ma a debita distanza, oltre alla bella canzone vincitrice, abbiamo il Tiki bom bom di Levante, autrice comunque sempre personale e riconoscibile anche nel momento in cui evidenzia il suo lato più pop.

Discorso a parte va fatto per due personaggi a cui, in maniera diversa ma non opposta, la definizione di “cantante” va sicuramente stretta: Achille Lauro e Elettra Lamborghini. Due personaggi che, in maniera completamente diversa per finalità artistiche o commerciali, in qualche modo non vendono canzoni ma PRODOTTI. Ambedue sono interessati, intenzionalmente, a una visibilità che va al di là di una semplice canzone sanremese. In qualche modo la loro autorialità si manifesta nel loro essere volutamente e inevitabilmente MARCHIO da cui aspettarsi qualcosa. Certamente dal punto di vista artistico, tra i due vince Achille Lauro; ma dal punto di vista PRODOTTO la Lamborghini, che è “solo” prodotto e non è cantante, dà punti a tutti!

Appena sopra la linea di galleggiamento della mediocrità troviamo cantanti diversi, ma a cui va riconosciuta almeno un po’ di talento e un pizzico di sincerità. Parliamo di Rancore e Paolo Jannacci e mi sarebbe piaciuto parlare anche di Bugo e Morgan.

Anastasio, Elodie, Gualazzi e Vibrazioni annaspano cercando una loro strada e il resto…

E il resto è qualcosa di più che noia! È qualcosa che spesso gioca troppo sporco con il pubblico.

“Artisti” tristi senza qualità. Una pletora di persone spremute o da spremere e che dovrebbero spremere le ultime gocce dell’agonizzante mercato della musica leggera non solo italiana. 

Ma ripeto: non tutto il male viene per nuocere. È sopra questo grigiore notturno da fine dei tempi (quelli della discografia come la abbiamo conosciuta in questo ultimo secolo) che riconosciamo stelle luminose che danno speranza.