Sanremo 2022

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Sanremo 2022 Un divano per cinque: bilanci finali

06/02/2022 di Autori vari

#Sanremo 2022#Italiana#Pop

Il divano si e' allargato e per i bilanci finali accoglie ben cinque penne di Mescalina, Barbara Bottoli, Arianna Marsico, Paolo Ronchetti, Sara Velardo e Ambrosia J. S. Imbornone, tra voti, annotazioni critiche, aspettative, risultati e qualche appunto.

Barbara Bottoli


Il Festival di Sanremo fin dalla sua nascita nel 1951 è sempre stato un’istantanea non solo musicale, ma un vero e proprio spaccato sociale, eppure, anche in questo 2022 al fronte di numeri di audience elevati sembra impossibile trovare persone che ne ammettano la visione: perché?! Sembra che decidere di tradire Netflix per la Rai comporti conseguenze che partono dal semplice sberleffo fino alle crisi di coppia, dovute alle lunghe serate in stanze separate perché le puntate hanno come certezza solo l’orario di inizio. Chiariamoci: decidere di seguire il Festival non esclude il poter ascoltare altro negli altri 360 giorni solari, come non danneggia l’udito o la reputazione; fidatevi che esistono cose peggiori.


La vittoria dei Maneskin allo scorso Eurovision ha, indubbiamente, modificato le scelte del direttore artistico, puntando ai suoni più che ai testi, ma tra suoni e musica c’è un’immensa differenza, e, ogni anno, mi stupisco di come non si sfrutti interamente l’orchestra: alcuni di questi partecipanti non avranno mai più la possibilità di un palco così importante e di una serie di musicisti che possono abbellire anche il testo più insipido. E’ anche evidente come l’impatto visivo del gruppo romano abbia influenzato alcuni protagonisti, ma mi viene da pensare che il vecchio proverbio dell’abito che non fa il monaco sia applicabile anche al cantante, ma soprattutto che non è un abito che identifica la libertà o anche più ipocritamente il riconoscimento di diritti, ottenendo l’effetto opposto. Per citare un brano presentato durante la quarta serata delle cover “magari poi vestirmi come un fesso e fare il deficiente nei concerti” dovrebbe essere ricordato, come ben insegna Drusilla Foer: la discrezione, il buongusto, la classe dialogano maggiormente e ad un pubblico più ampio, oppure per restare nell’ambito delle conduttrici Maria Chiara Giannetta mostra come la semplicità sia il fendente più potente e con essa si possa trasmettere l’empatia dei messaggi positivi.


Dopo due anni di emergenza, di isolamento il bisogno attuale è quello di evadere in quella quotidianità, anche banale, che prima avremmo voluto abbandonare, stupirsi per gli abbracci, per una vicinanza eccessiva, per un bacio ed emozionarsi per delle belle canzoni (volutamente la frase è semplice perché, forse, si cercava quello) misto allo spettacolo.


Non si è ancora accennato a nessun brano perché è stato così anche durante la kermesse: davanti agli occhi e dritto al cuore ci è passato un testo che avrebbe dovuto essere evidenziato, almeno da quei “dosaggi esatti degli esperti”, ma, pur avendo vinto il Premio Lunezia prima del Festival, non si è ricordato il valore di un racconto che si compone nell’immaginazione come un film vissuto, reale e romantico, confermando Giovanni Truppi con la sua Tuo padre, mia madre, Lucia un fuoriclasse, coerente e da apprezzare dedicandogli la dovuta attenzione.



Questo 2022 è uno dei pochi anni in cui il podio era già assegnato e, ahimè, lo si è percepito durante la proclamazione; infatti se Mahmood e Blanco nelle esibizioni erano stati complici, goliardici e trasmettevano il loro credere in Brividi che, fin da subito, si immaginava a Torino a maggio, si sono raffreddati sul finale: un vero peccato perché fino a venerdì potevano diventare una coppia su cui puntare, regalando l’originalità che serviva.


La scelta degli artisti è stata, chiaramente, elaborata in modo da accontentare chiunque, avvicinando ancora di più al Festival i giovani, propinando una serie infinita di personaggi nati dai talent, facilmente riconoscibili da come sono saliti in classifica e da come si sono posti sul palco, cioè con un’interpretazione forzata, un’emotività eccessiva che poi si è tradotta nell’occhio lucido marchio di fabbrica del programma che ne ha visti i natali. L’altra scelta è stata, credo, effettuata in vista dell’Eurovision di maggio, a Torino, e dopo la vittoria dei Maneskin era chiaro si volesse bissare l’esperienza, dandone la possibilità a una coppia giovane di impatto, facilmente recepibile e radiofonica.


Si conferma che Sanremo è puro costume anche per chi ancora oggi si vanta di non guardarlo, salvo poi saperne più di chi lo ha seguito, leggendo articoli e partendo con la critica distruttiva a priori, invece andrebbe davvero visto per capire in che direzione si muove l’industria musicale – che è ben diversa dall’arte musicale – e quali sono i temi della contemporaneità; io ho capito che il nostro Paese è un Paese per “vecchi”: dopo la prosecuzione del Presidente della Repubblica che rispetta il proprio ruolo, in queste sere popolari poter vedere l’emozione di Morandi, Ranieri e Zanicchi, vissuta in modi diversi, ma con la stessa professionalità nel calcare le scene, dovrebbe essere un esempio per chi crede che basti creare due basi o un singolo di successo per restare dell’Olimpo della Musica.


Gianni Morandi con la sua Apri tutte le porte, ha calato un Jovanotti che lo ha accompagnato dritto dritto alla vittoria nella serata cover, ma l’impatto della prima serata col palco è stato uno dei momenti da salvare di questa edizione; analogamente Massimo Ranieri con Lettera di là dal mare ha riconsegnato al Festival quel forte aumentare di pathos vocale e musicale delle storiche edizioni sanremesi. Sebbene l’impatto col pubblico lo abbia deviato dalla perfezione, la sua interpretazione resta naturale ed onesta, come quella di Iva Zanicchi che a 80 anni calca la scena con la grinta che trasmette anche con la sua voce; forse la vocalità dell’Aquila di Ligonchio supera quella di chi ha scambiato la capacità con l’urlo.


La tradizione dice che al Festival di Sanremo vince il brano che si canticchia la mattina seguente, quindi Ciao Ciao de La Rappresentante di Lista, che risente dei problemi di audio nella prima esibizione, li trasforma in incontenibili col procedere delle serate, con quella capacità di calcare il palco che li caratterizza (alzi la mano chi non l’ha canticchiata o postata sui social con tanto di accenni dance).


Se vogliamo riconoscere un merito a questa edizione è quello di portarci alla memoria quel pre2020, forse, anche grazie all’isolamento dei partecipanti, che dovendo passare tempo tra di loro, senza contatti con l’esterno, hanno creato un gruppo di lavoro che è stato traslato nello spettacolo.


Ora sì che chi vuole può tornare ad ascoltare la propria musica in disparte, ed è inutile confrontarla con quella di questi giorni perché bisognerebbe ricordarsi che il Festival è spettacolo, un evento nazional popolar e non ha la presunzione di voler essere seguito da tutti, anzi si basa sull’adagio pubblicitario del “bene o male l’importante è che se ne parli”.




Arianna Marsico 


Amadeus al suo terzo Festival per certi versi rischia di meno (e anticipa leggermente la fine del sequestro degli spettatori). Scelte come Noemi ed Emma garantiscono ascolto senza fatica.

Se dalla direzione artistica di Claudio Baglioni in poi si era affermato il mix (in proporzioni variabili) tra vecchie glorie, mainstream e cosiddetta scena indipendente quest'anno quest'ultima componente è stata ridotta al lumicino. Rimangono sostanzialmente La Rappresentante di Lista e Giovanni Truppi. Dato che la prima con Ciao Ciao si è probabilmente votata a qualcosa di più commerciale in modo definitivo (e la cover di Be My Baby risulta molto più convincente), si può dire che il cantautore napoletano sia rimasto l'unico vero outsider. Con Tuo padre, mia madre, Lucia ci ha regalato una perla di amore autentico, non da foto a favore di social. Per non parlare della versione di Nella mia ora di libertà di Faber con Vinicio Capossela Mauro Pagani veramente intensa.

Questa edizione del Festival di Sanremo conferma che i nomi storici sono in grandissimo spolvero. Gianni MorandiIva Zanicchi e Massimo Ranieri senza snaturarsi e forzarsi riescono a mostrare tutta la loro professionalità. Il primo poi fa ballare tutto l'Ariston con Apri tutte le porte, deliziosamente arrangiata, e soprattutto con il riuscito medley con Jovanotti (e infatti vince la serata delle cover).

Di fronte a questi fasti bisogna dire che il pop e dintorni da classifica "giovane" (passatemi il termine) o giù di lì spesso non ne esce benissimo. Ad esempio Ana MenaSangiovanniIrama Giusy Ferreri, Le Vibrazioni Fabrizio Moro propongono inediti senza mordente e originalità e decisamente bruttini. Anche Achille Lauro perde smalto, Domenica sembra la versione simil-gospel di Rolls Royce e Sei bellissima è al di sopra delle possibilità delle sue corde vocali, Loredana Bertè lo surclassa. Rkomi con Insuperabile è monocorde e riesce anche a sprecare la presenza dei Calibro 35, al suo fianco nel medley di Vasco Rossi.

Meglio sorvolare anche sulle cover de La Bambola fatta da Dargen D'Amico e di Mi sono innamorato di te rivisitata da Highsnob e Hu (stanno partecipando di nuovo i Coma Cose e non ce lo ha detto nessuno?) con Mr Rain. E anche sull'omaggio a Franco Battiato senza fare sentire La Cura per intero.

Fortuna che si sono Elisa Mahmood e Blanco. Se la cantautrice friulana è stata una conferma della sua bravura in ogni cosa che fa, e O forse sei tu è essenziale e dolcissima, devo ammettere che sul duetto tra gli altri due avevo le mie perplessità. Temevo un brano "sintetico" (soprattutto visti i trascorsi di Blanco) invece Brividi è riuscita ad emozionarmi.

Una menzione se la merita Ditonellapiaga, che porta una ventata di freschezza e che con Rettore forma una coppia davvero affiatata.

I premi "speciali" nella serata finale lasciano in qualche caso, almeno quello del testo a Fabrizio Moro, perplessi.

Il podio Elisa - Gianni Morandi (che prende con estrema classe il terzo posto) - Mahmood e Blanco era ampiamente prevedibile dopo il primo giro di ascolti, considerando tutte le variabili sanremesi. Vincono questi ultimi e chissà che la cosa non porti anche una qual certa "maturità" per la "scena" da cui provengono. Certo, Mahmood, con due partecipazioni al Festival e due primi posti, dimostra di avere un ottimo fiuto per la vittoria e lo spirito del tempo, nonché una versatilità vocale non comune. Chissà che ora all'Eurovision non faccia un bis...

PS ma quanto è tenero Blanco che corre dai genitori?

PPS Se vale la consuetudine che sembra essersi affermata negli ultimi anni, ossia che si esordisce a Sanremo come ospiti nelle cover e l'anno dopo come concorrenti, potremmo sognare un Sanremo 2023 con i Calibro 35...



Paolo Ronchetti


Cosa rimane di questo Sanremo 2022?


Sicuramente tanta mediocrità che non staro a citare ma che, inaspettatamente (e vergognosamente), è capace di prendersi anche premi prestigiosi come succede al, come sempre pessimo, Fabrizio Moro (4). La sua vittoria del premio “Sergio Bardotti” è una sconfitta bruciante della commissione musicale (1). C’erano almeno venti canzoni migliori e alcune di tanto!


Una segnalazione va per Iva Zanicchi (7) che a 82 anni tiene il palco in maniera splendida. Se in Italia ci fossero ancora produttori e arrangiatori con i fiocchi, la sua canzone avrebbe potuto essere molto, ma molto più leggera e avrebbe enfatizzato la voce di Iva. Invece siamo in Italia e se non siamo tronfi di suono senza misura non siamo contenti!


Molte (troppe?) le canzoni tirate a bomba più o meno riuscite e, soprattutto, più o meno furbe. E ti accorgi della furbizia eccessiva magari nella scelta delle cover: e allora pessima Ana Mena (3, ma qui ci si era accorti subito); troppo furbo e autoreferenziale Dargen D’Amico (7) anche se ha una canzone potente; irritante Tananai (4) con un brano per quarantenni in crisi di mezza età; furbissimo, ma gigantesco, Morandi (7,5) che, con una canzone così così, riempie il palco col suo carisma e vince facile con le cover fatte assieme a Jovanotti; splendide Ditonellapiaga (8) e Rettore (7) soprattutto nel loro brano; potentissimi La Rappresentante Di Lista (8), anche se un po’ deludono tutti i loro tifosi.


E poi ci sono le cose migliori: quattro canzoni splendide cantate in maniera meravigliosa e arrangiate benissimo. Partiamo da Elisa (7,5 e sempre brava) con una canzone che, stranamente, si sgonfia un pizzico ad ogni ascolto ma che c’entra, nella seconda metà, un corettino alla Enya che non se ne va via dalle orecchie. Truppi (8) con una canzone dal testo straordinario e dalla scrittura raffinata. Unico difetto? I troppi “stop and go” del brano che diventa alla fine un po’ troppo costruito perdendo in fluidità. Massimo Ranieri (8,5) migliora di serata in serata e arriva alla serata finale con una esecuzione fantastica di una canzone che per raffinatezza di scrittura, arrangiamento e testo è una mosca bianca del repertorio leggero italiano degli ultimi anni. Un racconto che in qualche modo ricorda alcune cose preziose prodotte da Tosca negli ultimi anni.


E poi loro: Mahmood e Blanco (9). Eterei e fisici, complici e capaci individualmente. Una coppia in cui Blanco sorprende e Mahmood meraviglia sempre nelle sue mille sfumature interpretative. Una canzone tradizionale nonostante le apparenze; una canzone moderna nella vocalità, nei passaggi del canto e nei suoni. E poi fanno una cover bella e difficile. Prendono un brano di una semplicità e bellezza disarmante e riescono ad arrangiarlo, senza farti venire voglia di cambiare canale e lasciandoti ammirato per le piccole sorprese della loro esecuzione. Una vittoria meritata!


Nota a parte:


Achille Lauro. Sempre più banale e sempre più mortifero! Sempre più attaccato a una celebrazione sterile (in quanto incapace di pro/creare qualsiasi tipo di senso) dei miti in una unica cover della vita e dell’arte degli altri; incapace di essere sé stesso se non in qualcosa di già visto e di già fatto. Anche le sue canzoni, così uguali a sé stesse, esprimono lo stesso concetto di infinita coverizzazione della propria vita. E non tiriamo in ballo il citazionismo postmoderno! Qui, nel corpo, nella voce e negli atti di Achille Lauro, non si vede, e non rimane, che una caricatura, una parodia inutile, un ectoplasma del Mito formato biografilm da prima serata. Un santino irreale sbiadito e necrofilo. 2


Poi, l’ultima sera, Lauro si ricorda che è lì sul palco al servizio di una canzone e va dritto all’interpretazione senza inutili svolazzi: e tutto funziona al meglio. 7


 


Sara Velardo


Sanremo con il pubblico, un pubblico che non riesce a stare seduto, un’esplosione di gioia riflessa negli occhi degli artisti in gara che in quella gioia si tuffano e saltano e ridono e ci fanno sentire quanto ne abbiamo bisogno, tutti, di questa cosa qui.


Sanremo con un cast che accontenta tre, generazioni: i soliti oldies, le nuove leve di Tik Tok, gli habitué del festival, i soliti sconosciuti che da quel palco arriveranno al grande pubblico.


Sanremo dei sei autori per un brano perché c’è crisi e ci si aiuta come si può.


Sanremo senza gara perché il podio era scritto dal primo giorno, quando quei due sono saliti sul palco e hanno riempito il teatro di classe, eleganza e dolcezza, un brano del tutto inaspettato, sanremese, ma con il linguaggio moderno e due ragazzi che piacciono a (quasi) tutti, scritto bene e cantato altrettanto divinamente.


Sanremo dei messaggi sociali per forza anche da parte di chi non ha gli strumenti per farlo, di Morandi che si commuove e ci fa commuovere, di Truppi che con meno parole ci sarebbe entrato meglio nel cuore, delle fragilità messe a nudo, della voglia di condivisione, del FantaSanremo, delle standing ovation, di brani così brutti da non sembrare veri, ma che piaceranno a qualcuno che penserà “questo brano è scritto per me”, di polemiche di 24 ore, di canzoni che forse dureranno un giorno o un'eternità.


Sanremo che ci unisce in un momento in cui abbiamo disperatamente bisogno di un sorriso, di un’emozione, di una canzone. Verso più bello del festival “amare è credere che che quello che sarò, sarà con te”.


Cinque giorni fuori dalla realtà come alla gita delle superiori, dove fai tardi la sera, dormi poco, ti affezioni a tutti e poi torni alla tua vita pensando "ci rivediamo l’anno prossimo".





Ambrosia J. S. Imbornone - Conclusioni e polemichette 


Diciamolo, di base Sanremo si è festivalbarizzato: c’è stato un momento in cui lo scollamento rispetto al pubblico più giovane e alle classifiche era tangibile. Gli outsider poco sanremesi ci sono sempre stati (che fossero i Quintorigo, i Bluvertigo, gli Afterhours, Daniele Silvestri, ecc.), ma il resto erano fenomeni festivalieri, tra vecchie glorie e nomi che non facevano un concerto neanche a pagare il pubblico, scongelati solo in qualche febbraio. Ora i tormentoni estivi hanno cambiato stagione e alla fine il palco del Festival non scopre (quasi) nulla, mette la firma su successi già annunciati ed è un’occasione come un’altra per il Sangiovanni di turno per lanciare il nuovo singolo e farsi ascoltare su Spotify. Insomma, i brani di Sanremo oggi funzionano in radio e sul web, ma appunto siamo al Festivalbar, per cui alla fine neanche ci deve stupire che un pezzo non sembri nuovo. Al Festivalbar non si cantavano inediti, ma le hit del momento, per cui che i pezzi suonino nuovi, o piuttosto riciclati, fa poca differenza. Però forse proprio per questo hanno colpito nel segno le canzoni più melodiche, che almeno potessero spiccare per intensità.


Anche Brividi di Mahmood (lui sì vera scoperta del Festival, anche se a fuoco lento) e Blanco (classe 2003, per una combinazione già vincente sulla carta), infatti, alla fine è una ballad, ma aggiornata al 2022, come il confronto amichevole sulle proprie fragilità, ben evidente anche nel video con le due storie parallele dei protagonisti, entrambi incapaci di esprimere ciò che sentono davvero e a rischio di rovinare tutto in una relazione. Quella vulnerabilità malcelata è la chiave dei nostri tempi, dove spesso capita di non sentirsi all’altezza di essere amati e di amare, complice anche la mancanza di un’educazione sentimentale che aiuti a parlare di ciò che si sente. Il duo, tra stile, bellezza, eleganza e complicità, è stato celebrato come icona genderless, tra la gonna della finalissima di Mahmood e mantelli e trasparenze di Blanco, ma l’entourage non mi sembra così d’accordo: l’impressione, magari sbagliata, è che abbia messo dei paletti alla loro spontaneità. Gli “occhi da vipera” di una lei e appunto il doppio binario (il termine non è casuale) della narrazione del video sembrano servire anche a precisare, a scanso di equivoci, l’identità cishet di Blanco; d’altronde, per quanto sia piuttosto discreto, il diciottenne ha ricordato anche di recente di essere fidanzato con la Giulia salutata dal palco dell’Ariston il 5 febbraio. E' la verità, ok, ma importano ancora cose del genere? Cosa cambia se invece Luca è gay e adesso sta con lui? Ci riguarda? Se due persone cantano insieme, ci dobbiamo ancora chiedere se siano una coppia, con un consueto o desueto pizzico di malizia voyeuristica? Sappiamo che Tiziano Ferro era costretto persino a cambiare abito in aeroporto, per la paura che potesse “sembrare” gay…e sicuramente molti leoni da tastiera si sbizzarriscono ancora in attacchi omofobi, ma alla fine il timore, che ci si augura infondato, che sia ancora necessario, anacronisticamente, dichiarare o rimarcare un orientamento sessuale, per evitare di incorrere in facili sfottò e allusioni, riempie di tristezza: speriamo sia davvero la volta buona per infrangere stupidi tabù, con buona pace dei minuscoliadinolfi che, seguendo un copione prevedibile più della vittoria, accusano il mostro mitologico dell'ideologia gender (?). Comunque Mahmood (che si era dovuto beccare anche battute di pessimo gusto sul padre egiziano, il colore della pelle, varie ed eventuali ai tempi dell’incendio del grattacielo milanese della Torre dei Moro) ha una voce straordinaria che vale tutto il pezzo, Blanco fa il suo, rappresentando gusti e generazioni più giovani, e il pezzo, che sta già diventando un nuovo classico, suona quindi molto contemporaneo, con venature black e soul.



Molto sanremese anche O forse sei tu di Elisa, anche troppo; si regge soprattutto sulla sua interpretazione intensa, complice una voce che resta a suo modo sempre peculiare e originale. Il pezzo appare elegante e ben costruito, soprattutto nel condurre alla suggestiva apertura del ritornello e nei violini dell’orchestra; nei versi emerge l’importanza dei piccoli momenti di felicità, ma a chi si rivolgono? A un amore, una sorella, un’amica? Mah.


Tra le canzoni in cui la melodia trionfa maggiormente, ci sarebbe anche quella di Massimo Ranieri, Lettera di là dal mare, un brano molto tradizionale nei suoni, ma anche ispirato e su un tema sociale come l’emigrazione, significativo tra tanti testi “leggeri”; peccato che la prima serata l’emozione e forse gli In Ear Monitor gli abbiano giocato un brutto scherzo, ma poi è tornato all’altezza della sua storia, calandosi con sensibilità nel testo e nel ritornello struggente. Il Premio della Critica Mia Martini ci sta anche come riconoscimento a una carriera e a una storia.


La canzone di maggiore spessore è stata comunque probabilmente la meno orecchiabile, quella di Giovanni Truppi, scritta con una squadra di autori che comprende anche Pacifico e Niccolò Contessa dei Cani. L’alternanza di parlato e cantato non è piacevolissima a tratti, ma il brano è un’ottima rappresentazione dell’amore nei suoi aspetti più realistici, come cammino a due in cui si deve fare i conti non solo con i momenti felici, ma con malinconie, tristezze, preoccupazioni, amarezza e collera. Memorabili i versi “quello che vogliamo fare noi un per cento è amore e tutto il resto è stringere i denti”.


Eppure, Truppi non si è aggiudicato nessun premio speciale (a parte il Premio Lunezia per Sanremo 2022, che è pur sempre un Festival a sé stante). Perché? L’outsider all’epoca del FestivalSanremoBar deve stare lontano anche dai premi degli addetti ai lavori? O forse perché sarebbe ora di farsi due domande sulla pigrizia e competenza di chi spesso fa parte di queste giurie? Per le Targhe Tenco si accusa spesso la giuria di voler sanremizzare la manifestazione, ma, posso testimoniarlo, non c’è nessun accordo segreto per rendere più popolare il Tenco: il punto è cosa ascoltano in un anno alcuni giurati e se preferiscono seguire passivamente l’andazzo di Sanremo, che già non scopre più (quasi) nessuno, per non sforzarsi di scovare artisti veramente da scoprire.


Truppi intanto è incorso in molte critiche per le sue canottiere, perché si parla tanto di superare stereotipi e barriere, ma nei fatti puoi cantare a petto nudo (se hai gli addominali scolpiti, altrimenti "devi" mettere una bellissima voce in un sacco come Yuman) o con una camicia trasparente, meno male, però con una canotta no, perché sarebbe poco rispettoso, a giudizio di tanti. Non si può peccare contro il santo glamour, neanche per coerenza con sé stessi, perché alla fine questa è sempre una vetrina e bisogna mettersi in mostra, con costumi mirabolanti da superstar che forse gioca e interpreta una parte, o forse ormai ha dimenticato la gavetta e i club, presentando purtroppo, nonostante le potenzialità, deludenti canzoni dal testo imbarazzante (dove sono gli autori di pregio quando servirebbero?), spacciato come finemente ironico e ciaociao. Che poi non basta a qualche atteso ospite gridare un ambientalista “Stop greenwashing” sul palco, per cancellare figure orrende del passato, come commenti contro la presunta dittatura del pensiero unico (?) all’epoca degli insulti omofobi contro Perfume Genius al ToDays festival.


A proposito di discriminazioni, nei monologhi si è percepita spesso retorica e soprattutto un’ombra di malafede (della kermesse, non dei singoli): si parla di razzismo, “diversità”/unicità e disabilità all’Ariston, ma si nota puzza di calcolo, non autentica equality, quando ancora non si sa bene chi "possa" (?) ricevere fiori, quando le presentatrici vere e propria nella storia della kermesse si contano sulle dita, quando Lorena Cesarini ha recitato (neanche bene) solo il ruolo della comparsa e la tanto elogiata Drusilla Foer, sempre elegantissima, sagace e pungente, è pur sempre un personaggio interpretato da un uomo en travesti. Al Festival, a talent e reality show c’è una “quota” ormai destinata a personaggi con cui non si intende mostrare davvero un atteggiamento inclusivo e accogliente, che diffonda il messaggio di una reale parità e uguaglianza, ma si vuole attirare l’attenzione mediatica e trasformare il malcapitato in piccolafiammiferaia (con discorso in tasca per banalizzare e commuovere oggi, che tanto domani tutto resterà com'è, gattopardescamente) e fenomeno da baraccone.


È quello che è successo anche a Gianluca Grignani, che hanno mandato in onda abbastanza allo sbaraglio, esponendolo deliberatamente al pubblico ludibrio dei bulletti della rete come il Morgan di turno: ha sbagliato chi, dimenticandone il valore, l’ha sbeffeggiato in modo molto prevenuto, ma cosa dire di chi l’ha sfruttato per scatenare i fotografi e i creatori di meme? Se volete aiutare un artista, fatelo dietro le quinte, non resuscitandolo solo a un Capodanno o a un Sanremo, non buttandolo sul palco in qualunque condizione, per la gioia delle gogne del web: fatelo lavorare come autore, scrivete una canzone con lui, aiutatelo a finire, pubblicare e promuovere un nuovo disco. Se volete aiutare la musica, fatelo ogni giorno: siate curiosi, scoprite, ascoltate, leggete, osservate, approfondite. Sarà molto più utile che sparare a zero su chi fa tanti sacrifici perché ritiene valga ancora la pena scrivere di musica, underground, indipendente, poco nota, ma, guardate un po’, vuole sentirsi libero anche di vedere Sanremo, senza sorbirsi prediche non richieste e spesso da quattro soldi.


Se volete cambiare davvero la televisione e la società, date spazio reale alle donne, che non hanno bisogno di fare da vallette in abito lungo sulla scalinata, di essere compagne di viaggio o pazienti badanti, ma possono prendersi tutta la scena. Senza stare accanto o un "passo indietro". Date spazio reale (non solo angoli, siparietti e monologhi) a qualunque identità e unicità senza avere pregiudizi, a curriculum e talenti in base al merito, trattando tutti alla stessa maniera, evitando domande pruriginose o allusioni veterocabarettistiche a cosa ci sia sotto una gonna, senza storie di brasiliani necessariamente trans e senza pulpiti compassionevoli, perché si è persone, non esemplari curiosi da osservare e da comprendere. Non è più tempo di "pat pat" sulla spalla: lasciate piuttosto il campo libero a tutti. 


E...Papalina!