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Berlinale Giorni 5, 6 , 7 - Ventotto film in sette giorni: la Berlinale vista da Giovanna Mentasti

05/03/2025 di Giovanna Mentasti

#Berlinale #Emergenti#Alternative

Seguire il programma di un Festival cinematografico ricco e interessante come la Berlinale è impresa titanica...ma la nostra Giovanna Mentasti, armata di passione, energia e pazienza, ce l'ha fatta. Ecco il suo diario, giorno per giorno...buona lettura!

Giorno 5 – 20/02


L’INCROYABLE FEMME DES NEIGES (Sébastien Betbeder)


La vita di Coline è sempre stata un'avventura: irresistibilmente attratta dalla Groenlandia, ha trascorso lì un lungo periodo vivendo con gli inuit, combattendo orsi e sopportando bufere di neve. Ma nulla di tutto ciò l'ha preparata a una drammatica diagnosi, e soprattutto a rivedere i suoi fratelli e familiari dopo oltre dieci anni. Una dramedy francese che affronta tante tematiche differenti – la famiglia, la malattia, l'indipendenza, l'identità – , che per me hanno complicato la narrazione più del dovuto senza darmi veramente il tempo necessario per empatizzare con la protagonista. Una signora seduta accanto a me però alla fine si stava asciugando le lacrime, quindi magari il problema riguardava piuttosto me e la mia personale stanchezza.



WHAT DOES THAT NATURE SAY TO YOU (Hong Sang-soo)


Dopo tre anni di relazione, è giunto il temibile momento per Jun-hee di presentare il suo ragazzo ai genitori e alla sorella. Quella che appare inizialmente come una giornata serena fatta di chiacchiere conviviali, prende lentamente una piega sempre più imbarazzante, man mano che l'alcool scorre e fa emergere alcuni aspetti della vita del giovane, soprattutto fatto che sia un poeta mediocre con le spalle coperte dal padre, cosa che lo infastidisce molto. Filmato su una camera digitale di bassissima qualità video, con lunghe inquadrature fisse su dialoghi eterni, nonostante possa comprendere le intenzioni della storia, la dicotomia vecchio/nuovo, la questione sociale e classista etc etc., l'ho trovato così poco coinvolgente e visivamente stimolante da rimanerne completamente indifferente. Peccato davvero perché ha dei momenti comici che funzionano, e mi spiace che un film con questo potenziale anche d’intrattenimento sia confezionato in un’estetica e narrazione simile.


QUEERPANORAMA (Jun Li)


Un ragazzo gay impersona gli uomini con cui ha fatto sesso e porta con sé questo nuovo personaggio al suo prossimo incontro. Solo fingendo di essere qualcun altro può finalmente ritrovare se stesso. Se non fossi stata particolarmente stanca sono sicura mi sarebbe piaciuto ancora di più. L’aspect ratio stretto e la fotografia curata in bianco e nero incorniciano i personaggi in uno spazio che pare essere già in sé cinematografico, eppure le loro connessioni non potrebbero essere più reali. La cosa più esplicita di queste immagini non sono tanto i corpi intrecciati tra di loro (comunque mostrati in tutta la loro trasparenza), quanto l'intimità e la vulnerabilità che questi uomini condividono, mettendosi a nudo fisicamente e soprattutto emotivamente.


EL MENSAJE (Iván Fund)


Anika è una bambina con un dono particolare: comunicare con gli animali e capire i loro bisogni.

Almeno questo è quello che viene pubblicizzato dai suoi nonni, che viaggiano con lei per l'Argentina offrendo consulenze ai padroni di vari animali domestici; quella di Anika però potrebbe davvero non essere solo una fantasia. Un film dolce ma assolutamente immemorabile oltre la sua premessa, se non per avere regalato un’inspiegabilmente stupenda inquadratura di un capybara in controluce e in bianco e nero con in sottofondo una sontuosa sinfonia di trombe.


Giorno 6 – 21/02


LESBIAN SPACE PRINCESS (Leela Varghese, Emma Hough Hobbs)


La principessa Saira del pianeta Clitopolis viene costantemente derisa per la sua insicurezza e timidezza, ma quando dovrà salvare la sua ex ragazza dagli Straight White Maliens si troverà a vivere un'avventura che la porterà a conoscere il proprio valore. She's a lesbian! She's in space! And she's a princess! (oh and she's also very sad!) Nonsense come ce lo si potrebbe immaginare e proprio per questo motivo altrettanto iconico, il cinema d'animazione va celebrato sempre e comunque, ma soprattutto quando racconta storie originali e divertenti, e ancora di più quando prende in giro i maschietti cisetero. Il fatto che lo stile grafico ricordi quello di Rick e Morty, serie tv di animazione per adulti baluardo di una certa mentalità maschile, è un ulteriore livello di ironia in un film interamente basato sull’ironia.


LATE SHIFT (Petra Biondina Volpe)


Una tipica giornata nella vita di Floria, infermiera incaricata di ricoprire il turno serale nel reparto di chirurgia di un ospedale svizzero. Solo che di tipico, per noi spettatori dall'altra parte della barricata, non c'è nulla: l'umanità che la donna dimostra, a fronte di mansioni emotivamente impegnative e costantemente oltre le sue capacità, dato il personale ridotto della struttura, ha dell'incredibile. Eppure, questa è la quotidianità per tutti coloro che si sacrificano per avere cura di chi ne ha bisogno. Dopo 10 minuti di film ho iniziato a sentire un vuoto nello stomaco che non mi ha abbandonata fino alla fine: non dovrebbe esserci cosa più importante della salute dei propri cittadini, eppure i governi (e il fatto che il film sia ambientato in Svizzera ha un impatto ben preciso) continuano a tagliare i fondi della sanità pubblica e a rendere impossibile praticarla, nei limiti della propria salute fisica e mentale, anche agli stessi medici e infermieri. Solo disgusto per chi marcia sulla salute altrui, e un immenso rispetto per queste figure professionali indispensabili.


HOT MILK (Rebecca Lenkiewicz)


Nella cornice di una stupenda località di mare spagnola, Sofia accompagna la madre, costretta su una carrozzina da quando la ragazza era piccola, da un medico che dovrebbe essere in grado di dare una spiegazione alla misteriosa infermità della donna. In questa atmosfera idilliaca però sarà piuttosto Sofia a trovare delle risposte riguardo la propria identità, e a riprendersi l'indipendenza che le è stata negata. Alcuni elementi della storia sono interessanti, ma sono sviluppati in una sceneggiatura che non prende mai una direzione precisa: ho trovato la dinamica sentimentale tra la protagonista e la donna con cui ha una relazione molto superficiale, e il rapporto madre/figlia, che è in fondo la parte più consistente, lascia troppi non detti e non spiegati. È tratto da un libro, che non ho avuto modo di leggere, quindi non saprei dire se il problema sia l'adattamento o il materiale di partenza.


LURKER (Alex Russell)


Simulando un iniziale disinteresse, in realtà perfettamente calcolato, un commesso di un negozio di abbigliamento si infiltra nell'entourage di un cantante in ascesa, facendo tutto il possibile per rendersi indispensabile e sfruttarne il successo. Quando in un festival becco quel film, quello che mi fa stare sul bordo della poltrona con un sorriso idiota stampato in faccia e le farfalle nello stomaco dall'eccitazione, mi dico che anche i film peggiori hanno avuto un senso perché mi hanno portato a quel momento. Lurker non è un capolavoro, né vuole esserlo, ma è un esordio indipendente con una trama originale, capace di parlare della e alla nostra contemporaneità in modo puntuale e competente, ha un ritmo pazzesco, è fatto con un gran cuore e soprattutto ti prende e non ti molla fino alla fine.

Voglio un bene immenso a film di questo tipo perché sono la conferma che il futuro del cinema è indipendente. Dopo il successo al Sundance Film Festival e alla Berlinale, gli auguro una buona distribuzione; tenetelo d’occhio.



MAGIC FARM (Amalia Ulman)


La disorganizzata troupe di una web serie documentaria un po' edgy si trova per errore in un remoto paese in Argentina ed è costretta a reinventare - e inventare - il proprio reportage coinvolgendo la gente del posto. Un film da Gen Z per antonomasia, in senso sia positivo sia negativo: estetica low budget, montaggio caotico, grafiche molto anni 2000, personaggi completamente egoisti ed egocentrici, ma nella misura in cui tutti pensano al proprio benessere e in qualche modo si bilanciano perfettamente. Non posso dire sia proprio my cup of tea, ma alcuni momenti comici se li gioca bene ed è abbastanza assurdo e nonsense da scivolare via senza intoppi.


Giorno 7 – 22/02


TALES FROM THE MAGIC GARDEN (Jean-Claude Rozec, Patrik Pašš, Leon Vidmar, David Súkup)


Dopo la morte di sua nonna, che era solita raccontare storie, una bambina continua questa tradizione per aiutare se stessa, i suoi fratellini e il loro nonno a elaborare il lutto e confortarsi a vicenda.

Dopo cinque minuti, ho proprio pensato "oh no", perché non ero minimamente pronta a un’imboscata emotiva di questo tipo. La narrazione era di tipo antologico, articolata attraverso tre storie; purtroppo, all’ultimo giorno di festival, il sonno ha avuto la meglio, e dopo un primo racconto molto bello e triste, mi sono persa completamente il secondo, riprendendomi infine solo all’inizio di quello finale. Il film aveva pure un voiceover live in tedesco perché era una proiezione della sezione Generation, pensata appositamente per bambini e ragazzi, e alla fine alcuni bimbi si sono messi a saltare e ballare sul palco durante i titoli di coda. Mi spiace non averlo seguito bene, ma almeno il mio onore ne è uscito intatto (non ho pianto davanti ai pischelli).


PAUL (Denis Côté)


Per combattere la depressione e l'ansia sociale, Paul si dedica alla pulizia delle case di alcune dominatrici (sì, nel senso BDSM del termine). La condivisione della sua insolita routine sui social media e il rapporto che sviluppa con queste donne gli permettono infatti di farsi forza rispetto alle sue difficoltà e combattere la solitudine e l'insicurezza. Un documentario che definire intimo è un eufemismo: nel seguire la quotidianità di Paul abbiamo modo come spettatori di avere accesso alle parti più personali della sua vita, e l'opportunità di scoprire un mondo che se non ci si è dentro raramente si vede, figuriamoci con questa delicatezza e rispetto. Più volte mi sono anche emozionata nel percepire la cura e lo sguardo privo di giudizio con cui vengono riprese certe situazioni, e anche se alcuni momenti possono d'istinto apparire imbarazzanti, viene tutto subito ridimensionato dalla sincerità con cui il protagonista esprime i propri pensieri e trova conforto nelle proprie attività.



LETTERS FROM WOLF STREET (Arujn Talwar)


Il regista indiano Arjun Talwar, da anni emigrato in Polonia, realizza un documentario sulla strada dove vive, Wolf Street. Usando lo spazio limitato come punto di partenza e di confine, e interagendo con le persone che lo abitano, ciò che ne deriva è un caleidoscopio multietnico e un ritratto tanto personale quanto di un'intera popolazione. La questione documentaria legata all'immigrazione e all'inclusione è in realtà in parte un pretesto per il regista per parlare di un suo caro amico, con cui era immigrato in Polonia dall'India, recentemente scomparso. Rimasto solo a portare avanti i loro sogni, Talwar vuole così al tempo stesso ricordarlo e omaggiarlo, e trovare il modo di resistere anche per lui, nonostante le difficoltà del vivere di arte in un Paese che non è la propria patria, e che ancora non lo riconosce completamente come suo cittadino. Un altro film che se solo fossi stata meno stanca mi sarebbe piaciuto sicuramente molto di più e spero sinceramente di recuperare ancora in futuro.


ARI (Léonor Serraille)


In seguito a un crollo fisico ed emotivo, il ventisettenne Ari si licenzia dal proprio lavoro come insegnante in una scuola primaria; deluso e arrabbiato da questo fallimento, il padre lo caccia di casa. Il ragazzo si trova così a vagare per Lille e incontra alcuni amici che non vedeva da tempo, rendendosi conto che forse anche le loro vite non sono così perfette come credeva, e nemmeno come loro stessi credono. Chiudere il festival così, pochi giorni dopo avere consegnato la tesi e ritrovarmi in qualche modo sulla stessa barca di Ari (che è poi la stessa barca della maggior parte dei miei coetanei)

è stato l'equivalente di un abbraccio cinematografico. E solo un momento: Ari ne esce, ne usciremo tutti, e convincerci che le cose stanno andando come vogliamo quando non è vero non giova a nessuno. Saranno la sincerità e il supporto reciproco a salvarci, non certo l'iper performanza e l'illusione di dovere vivere una vita perfetta, con obiettivi sempre precisi e calcolati. Rivendichiamo senza vergogna il diritto a fermarci, a riprendere il fiato, e a ripartire sereni.


AL PROSSIMO ANNO, BERLINO!