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Berlinale Giorni 1 e 2 - Ventotto film in sette giorni: la Berlinale vista da Giovanna Mentasti

05/03/2025 di Giovanna Mentasti

#Berlinale #Emergenti#Alternative

Seguire il programma di un Festival cinematografico ricco e interessante come la Berlinale è impresa titanica...ma la nostra Giovanna Mentasti, armata di passione, energia e pazienza, ce l'ha fatta. Ecco il suo diario, giorno per giorno...buona lettura!

Giorno 1 – 16/02

MICKEY 17 (Bong Joon-Ho)

Pur di salire sulla navicella spaziale del magnate e politico fallito Marshall, in missione per la colonizzazione di un nuovo pianeta, Mickey Barnes accetta di prestare il proprio corpo per esami e test che finiscono inevitabilmente con la sua morte... e la sua rinascita. Una nuova tecnologia è infatti capace di scansionare e memorizzare i parametri vitali delle persone, per poi stamparle all'occorrenza; almeno finché un imprevisto che coinvolge Mickey numero 17 non mette in crisi i suoi valori morali, quelli dell'equipaggio, e del suo potente ma incompetente comandante. Bong Joon Ho torna sei anni dopo il pluripremiato Parasite con una satira politica e sociale alla Snowpiercer che non risparmia nulla: Trump, le sperimentazioni sugli animali, la colonizzazione genocida di stampo capitalistico e il valore della vita umana sono solo alcuni dei temi affrontati in un contesto che si rifà tanto alla realtà, quanto alla fantascienza. I numerosi rinvii rispetto alla data d’uscita originale non solo l’hanno reso uno dei titoli più attesi della stagione, ma hanno chiaramente contribuito ad affinarlo e a definirne l’identità e la pertinenza all’attualità.

In sala dal 6 marzo.

LA TOUR DE GLACE (Lucile Hadzihalilovic)

Una giovane orfana si trova coinvolta nella produzione di un adattamento cinematografico della fiaba della Regina delle Nevi, e rimane profondamente affascinata dall' enigmatica attrice protagonista. Ma i confini della favola presto sfumano, e la Regina svela il suo lato oscuro. Un film dall'estetica glaciale che mantiene una certa freddezza anche nella narrazione. L'idea della fiaba e del mistero che la avvolge, così come il parallelismo tra la storia e la realtà, sono ben restituiti dalle immagini caleidoscopiche e a tratti visivamente impeccabili, per cui appare proprio un peccato che lo sviluppo dell'intreccio sia al contrario molto lento e inconcludente.


PETER HUJAR’S DAY (Ira Sachs)

La messinscena della trascrizione della registrazione di un'intervista avvenuta a New York nel 1974, tra la giornalista Linda Rosenkrantz e il fotografo Peter Hujar; il racconto di una giornata qualunque diventa il pretesto per parlare di arte e vita, in un gioco di rimandi e riflessioni. Così mondano e al tempo stesso unico, l'ultimo lavoro di Ira Sachs restituisce l'intimità di ogni nostro gesto quotidiano e della condivisione tra individui. Per 75 minuti i personaggi percorrono lo spazio dell'appartamento rivivendo, attraverso le sue parole, la giornata del fotografo, vivida ma al tempo stesso astratta, e lasciando che il tempo scorra libero, nella gioia di stare insieme senza fare nulla. Ma forse, in fondo, basterebbe fermarsi un momento per accorgersi della pienezza e ricchezza della vita, anche quando sembra statica.


Giorno 2 – 17/02

OLMO (Fernando Eimbcke)

Olmo ha 14 anni e vorrebbe solo divertirsi con il suo migliore amico senza dovere fare da badante al padre tetraplegico. Quando si presenta l'occasione di partecipare ad una festa, invitato peraltro dalla sua vicina di casa per cui ha una cotta, il ragazzo deve trovare un compromesso tra la propria libertà e la cura dei suoi familiari. Datemi una commedia con protagonisti degli adolescenti imbranati, un'avventura caotica, un paio di battute sulla cacca e un rapporto genitori-figli ben sviluppato, e solleverò il mondo. Il bene che voglio a questo tipo di film va ben oltre i soliti parametri qualitativi perché si percepisce tutto il divertimento e il cuore che viene messo dalle persone coinvolte. Questo è il cinema indipendente che mi piace di più: libero da presunzioni, che gioca con stili e canoni, e in perfetto equilibrio tra l’importanza dei suoi temi e l’ironia con cui li affronta.


DREAMS (Michel Franco)

Un giovane ballerino messicano attraversa illegalmente il confine statunitense per ricongiungersi con la sua amante, una donna ricca e sofisticata che gestisce una fondazione che supporta immigrati messicani. Ma arrivato a San Francisco, si trova a doversi confrontare con la realtà dei fatti, e a mettere in discussione il loro rapporto e le proprie ambizioni. La feticizzazione dello straniero, la speranza di un futuro migliore e le varie facce del potere si intrecciano in un dramma che nella prima parte punta molto sulla componente erotica del rapporto tra i due personaggi, per poi prendere una deriva completamente differente nella sua conclusione, che è il suo punto più debole. Uno spunto di partenza in teoria interessante, tuttavia affrontato per cliché e per provocazioni fini a loro stesse.

THE THING WITH FEATHERS (Dylan Southern)

Dopo la morte della moglie, un uomo (Benedict Cumberbatch) e i suoi due figli piccoli si trovano ad affrontare un periodo di doloroso lutto, incarnato da un onnipresente corvo che veglia su di loro. Tratto dal racconto "Grief is the thing with feathers", pur senza avere letto la storia originale, ho la sensazione che il film possa averla trasposta fedelmente per la sua mancanza di una vera linea narrativa, se non quella dell'attraversamento di tutti gli stadi del dolore, uno dopo l'altro, accuratamente riportati nel rapporto tra i protagonisti e l’onirico animale. Negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione vengono mostrati in modo fisico e grafico, attraverso delle soluzioni visive forti che restituiscono quella che altrimenti sarebbe una sofferenza invisibile.


IF I HAD LEGS, I’D KICK YOU (Mary Bronstein)⁸

Tutto inizia con una voragine nel soffitto della sua camera da letto e il trasferimento in un motel. Suo marito esiste solo come voce al telefono, e non è in grado di aiutarla a gestire l'inspiegabile malattia della figlia, che non riesce a mangiare. Oltretutto, a lavoro, una sua paziente scompare durante una seduta di terapia, abbandonando il proprio figlio neonato. Ma questa per Linda è la normalità. O quantomeno deve esserlo, perché l'unica altra scelta sarebbe impazzire. Un abisso terrificante di angosce e preoccupazioni inghiotte e rigetta a ripetizione la protagonista, costretta a navigare gli orrori della maternità con la disperazione di chi è costretto a mantenere il controllo. Un incubo tanto carico di tensione quanto ipnotico, per il sollievo di sapere che non sta accadendo a noi personalmente e che è circoscritto alle due ore in cui si manifesta sullo schermo, ma non per questo meno travolgente.