Vinicio Capossela Tredici canzoni urgenti
2023 - La Cupa / Parlophone / Warner Music Italy
E quando riusciamo a dare spazio alle cose davvero necessarie, dopo averle colte, comprese, e distinte da quelle solo urgenti?
Pensare. Prendere posizione. Prendere carta e penna, e scrivere. Aprire il pianoforte, o la custodia della chitarra, e comporre. Accendere un qualunque supporto, il piatto di un giradischi, il lettore di CD, lo smartphone. Ascoltare. E tornare a pensare. Queste, sono azioni urgenti, e necessarie. Che danno respiro, fermano il tempo, fanno crescere, e vivere.
Urgente, e necessario, è Tredici canzoni urgenti, l'ultimo disco di Vinicio Capossela, per chi conosce il significato di urgenza, ma sa aggiungervi quello di necessità, nel senso latino del termine: canzoni che urgono dal profondo dell'anima, e sono inevitabili, non possono non nascere, qui e ora, in un presente attuale, che ci interroga e chiede risposte.
L'autore, in questo lavoro urgente e necessario, ha voluto coinvolgere tutti gli aspetti dell'esistenza contemporanea, dalla nascita alla morte, dal pubblico al privato, dal passato al futuro, per costruire un discorso coerente, coeso, ma poliedrico, in cui i testi si uniscono in modo miracoloso alle melodie, grazie a un'opera di produzione in stato di grazia. Non solo Capossela, ma anche, in qualche brano, Don Antonio Gramentieri, grandiosa chitarra, fra l'altro, in All you can eat, Cesare Malfatti, che porta i suoi intonarumori in molte tracce, fra cui Gloria all'Archibugio, FiloQ (sua la programmazione de Il divano occidentale), Andrea Lamacchia, Alessandro Asso Stefana, e ancora Raffaele Tiseo e Enrico Gabrielli come arrangiatori, oltre a Taketo Gohara al missaggio: un gruppo di musicisti veri, di amici ispirati, al servizio di un'opera potente. E inoltre, collaborazioni nei singoli brani, in sostanza il meglio della vita musicale non solo italiana - e sarebbe lunghissimo nominare tutti - ma che danno, tutti, un po' della propria anima, e si sente.
Tutti sulle spalle di giganti del passato, cifra distintiva del cantautore, che dissemina, nei testi, citazioni dei propri maestri, da Céline (ne Il bene rifugio, c'è la suggestione del certificato di eterno legame dello scrittore francese con sua moglie Lucette) a Cohen (ne Il tempo dei regali l’artista canta "è solo la crepa che libera la luce / solo con la crepa la grazia ci ricuce!"), da Ariosto (in ben due pezzi - Gloria all’archibugio e Ariosto Governatore - troviamo citazioni testuali dal Furioso) a Tacito (sempre in Gloria all'archibugio, ecco "fare un deserto e chiamarlo pace", citazione dal discorso antimperialista di Calgaco), e poi Brecht (La parte del torto e La crociata dei bambini), Kant (Minorità), Goethe (Il divano occidentale), a sottolineare l'importanza di una cultura attiva, mai esibita, ma assimilata fino a farla divenire parte sostanziale dell'essere.
L'insegnamento di Renzo Fantini, il grande produttore e manager (Conte, Guccini, Dalla) che lo scoprì ("cerco di fare buona musica pensando ai miei figli"), è raccolto dal suo discepolo con convinzione e rispetto: e queste tredici canzoni sono proprio l'eredità migliore che la sua generazione (che è anche la mia...) possa lasciare ai figli, un'eredità fatta di dubbi e disincanti, ma anche di quel Principio speranza di cui scrive Ernst Bloch, in un saggio imprescindibile di decenni fa.
Lo sguardo dell'autore spazia, con lucidità feroce, con tenera partecipazione, con sarcasmo pungente, con dolente resistenza, all'interno dei falsi miti di progresso che ci ammorbano, ma, ogni volta, dopo una pars destruens, ne propone una construens, invitandoci ad alzarci dal nostro Divano occidentale e dalla nostra "mollezza a domicilio / corpo inerte nel mobilio", per smascherare le ambiguità del nostro quieto vivere, stanandoci e spingendoci a resistere davvero, come le nostre madri, zie, o nonne, che seppero sognare per noi la libertà, in quel lontano, ma sempre attuale, 1945. "Questa è la libertà: azione e responsabilità", si canta in Staffette in bicicletta, in cui la dolcissima voce di Mara Redeghieri (Üstmamò) celebra le ragazze staffette partigiane di Scandiano (RE), dai nomi desueti ("Emma, Zaira, Alma, Corina, Vincenzina, Desdemona, Lina"), a cui "non sembra d’aver fatto granché", ma che invece devono passare il testimone, per recuperare "la libertà: azione e responsabilità" e insegnarla a noi.
Attorno al cantautore, si muove una società "tutto basso istinto, nella legge del piu' forte" (La parte del torto), in cui prevale un subumano "gastrolatra digerente in mezzo alla gente / cefalopode nella mente", che mangia perché ha smesso di pensare (All you can eat), che sa imprigionare un proprio simile, comminandogli "una pena che non sa cambiare ma solo consumare" (Minorità), che parcheggia il proprio figlio "buono e mimetico dimenticato chiuso sul Game Boy con Super Mario Bros", mentre questo vorrebbe essere libero di sperimentare col proprio corpo (Cha cha chaf della pozzanghera), o che, davanti a un femminicidio, non ascolta la voce della donna - qui con l'intensità di quella di Margherita Vicario - che ricorda mesta "Son stati i secoli di fischio al gatto / È stato il corpo esposto e nascosto / Son stati i secoli di cattiva educazione e di prigione, del corpo offeso dall’amore".
Del resto, "se tanto è tutto uguale - se non conta più studiare - se non conta più sapere" (All you can eat) e se "d’ora in poi / Non bocceremo piu' / Noi che da noi e per voi / Aboliremo l’ignoranza / noi della scuola faremo scorciatoia" (La parte del torto), sembra perfino scontato che nel nostro mondo imperino l'indifferenza, la dismissione di valori non negoziabili, la superficialità.
In questa società, fra guerrafondai, "detassati e ignoranti, egoisti, opportunisti", è forte il rischio di pensare che "l’opera e il successo materiale / non ripara dal male sociale: veder perire ciò che vale", come Ariosto confinato a fare il governatore in Garfagnana, che non può "offrire che parole". Allora, è urgente comporre splendida musica, testi ficcanti e poetici, e, "con i tasti che ci abbiamo, Con quelli comporremo / Con i sogni che sogniamo / Con quelli sogneremo".
Uno sguardo maturo abbraccia nella propria iride la luce e l'ombra, il passato e il futuro, i regali dati e ricevuti ("E se tutto è stato un regalo...Quel che conta è solo regalar"), e spazia nei suoni di una vita, dalle ballate in cui piano e voce si rincorrono, magari sostenute da archi e contrabbasso, come in Con i tasti che c'abbiamo, con Raffaele Tiseo a violini e viole, Daniela Savoldi ai violoncelli, Greg Cohen al contrabbasso, mentre John Convertino suona batteria e vibrafono con arco, alle sperimentazioni futuribili de Il divano occidentale, alle aperture orchestrali de La crociata dei bambini, al Cha Cha Chaf, al jive di All you can eat, alla banda de Il tempo dei regali, arricchita dai fiati di Alessandro de Carolis al flauto, Mauro Ottolini a trombone, tromba, tuba, ed Enrico Gabrielli al clarinetto.
Un simile amalgama di suoni e parole è raro, in tempi avari di emozioni; chi lo compone compie un atto di fede nei propri simili, nella nostra capacità di recuperare, con i mezzi che abbiamo, la forza per vivere davvero. E "di un limite faremo / Una possibilità".
Nell'ultimo verso dell'ultima canzone, prima che la musica si spenga, la voce canta: "Con il cuore che ho, con quello Ti amerò".
Necessario, e urgente, ogni tanto, sentirselo dire.