Verbal Called war
2014 - Neverlab dischi
L'irriducibilità ideale contro la serie in catena e il lavoro in fabbrica, mutilante, leviatano e oppressivo, sembra essere la panacea, con riserva sia chiaro, dei Verbal, quintetto bergamasco che geograficamente si colloca curioso fra i progetti indie meno scontati. Uso il termine curioso per delineare un'eleganza nel mischiare e/o sovrapporre frammenti a immagini, operazione che, occhio, ha poco a che spartire con le solite strutture math o core (che, ed è una mia idea, bene che è sempre andato al Leviatano sociale hanno quasi sempre contrapposto un Leviatano musicale). La loro è invece più una visione d'insieme che trascende il genere. Siamo al secondo lavoro dopo il debutto omonimo, registrato due anni fa in presa diretta, e certo i tempi subiscono i famosi cambi di marcia repentini, ma i Verbal, che di mestiere vogliono stupire, a differenza di tanta bella gente che vuole murarlo il suono, preferiscono scrostarli i muri collocando inserti stoner-dark-rock nella title track e simpatiche grane di moog funk nei minuti finali di Disarmer. Le due tracce rimanenti sono imperlate di cut ambient, sulle prime a rammentare la lezione dada o senza andare troppo in là i placidi regni dei Ronin, con basi disomogenee di sample da campo che riecheggiano quasi cinematici - in più i Verbal ci mettono dei lamenti trip-hop - (MK). Il risultato è buono e come al solito potrebbe essere rivelatore di scenari futuri, azzardo: a mio parere il loro rock dovrebbe concedere più tempo alla destrutturazione glitch e al concretismo, a testimonianza di ciò una buona fetta della stessa Rearmer che si innerva proprio su quel solco di sperimentazione o giù di lì. Ma vale sempre la massima per cui le vie del rock sono infinite e non sta certo a noi indicarne la strada, semmai solo raccontarla.