Valerian Swing Liminal
2024 - Pax Aeternum
#Valerian Swing#Rock Internazionale#Alternative #Math Rock #synth-rock #post - rock
Di Liminal non ingannino l’artwork sci-fi vagamente FW14 di Christian Rich, o i suoi fumi al neon synthwave/vaporwave che fan tanto Kavinsky o scuderia Italians Do It Better.
Dietro quella “maschera” si cela piuttosto un’anima prepotentemente heavy, che dagli esordi di matrice simil-doom non si affranca affatto, suggerendo anzi, in arricchimento, innesti di germogli smaccatamente math, post-rock ed electro.
Di questi ultimi, in particolare, colpiscono per esuberanza quelli con cui l’opening track trae profitto dalla superband Apparatjik, ospitando anche sferragliate analog bass di memoria Principleasure, in un andirivieni di rullate irregolari e sincopate quasi a strizzare l’occhio ad un delizioso ibrido jazz/drum ‘n’ bass.
È un po’ quello che accade anche in The Ritual, qui però in forma più dilatata e con sponde rock a ricordare il trio francese Korto, in un intrigante spettro sonoro al vetriolo e violente saturazioni sintetiche che agitano le acque.
Saliscendi fragorosi in chiave prog/math ancora protagonisti nello slot numero due (Atacama I), intervallati persino (poco prima dell’irrequieto finale) dal barbaglio di una chitarra acustica in modalità calma apparente (illusione rielaborata poi, in confezione sonora differente, nell’episodio con Giovanna Cacciola degli Uzeda alla voce). E che mai come in Badman assistono una pesante marzialità synth/post-rock dai tratti quasi metal, tellurica reminiscenza dei lavori precedenti.
A chiusura lavori, buona parte degli elementi del disco convergono nel più evocativo degli impasti, dapprima con l’irruzione raffinata della tromba di Paolo Raineri, assoluta padrona in Pond Riddim di un muro del suono sapientemente eretto sul finire; poi, in Home, per mezzo di un ineffabile plot in mutazione, pregno di spasmi digitali e percussivi, a decretarne una devastazione di scenario disturbante e seducente.