Adrian Thaws al secolo Tricky, l’ex mente scontrosa dei Massive Attack, il genius creativo del Bristol Trip Hop, dopo cinque anni di eclisse passati in America alla ricerca di stimoli e nuovi approdi, torna e irrompe sulla scena discografica con un album fresco di stampa: “Knowle West Boy”, un album che sebbene “sprizzi” di qualcosa di meno pesante, uggioso, macchinoso in rapporto al passato, trapela sempre il tormento oscuro di un artista dallo spirito ferito, in eterno conflitto con le forze buie che battagliano nel suo essere.
Camaleontica icona maudit e adulata immagine di tabloid trandy, Tricky – definito dal Newsweek “la maschera dell’uomo ombra della solitudine digitale” – sembra alleggerirsi momentaneamente da tutta quella gravità claustrofobica schiacciante alla quale ci ha abituato; difatti in “Knowle West Boy” si toccano lame di luce che portano – e riportano in vita - suoni e stili fino a ieri “alieni” al suo modo di concepire la musica. Un disco che ha già suscitato scalpore e discussioni a non finire a riguardo di una troppa leggerezza commerciale di base, di una forma sonora altamente versata a canzonetta strofa-ritornello, di alto tradimento per la scelta effimera e pubblicitaria additata nella canzone “Slow” – dove Tricky ricanta Kylie Minogue -, ma forti del proverbiale “come la fai, la fai sempre corta”, lasciamo cadere le detrazioni a favore di un prodotto ottimo, tonico, contemporaneo, di un musicista che per una volta si posta fuori dal suo tipico cono d’ombra.
Per un momento Tricky cancella il passato con un atto magico e si mette a ballare lo ska revival alla moda dei The Selecter in “Council estate”, si inerpica nel post-punk e nell’hip-hop, va in equilibrio sulle funi sfilacciate dell’old Bristol sound di “Past mistake”, sorride timidamente nei tepori di “C’mon baby”, “Baligaga”, “Puppy toy”, ma all’ingranare di “Coalition”, la dannazione si riprende il tolto, il buio divora la luce.
Quando il disco si ferma al capolinea, la sensazione di aver ascoltato un “nuovo” Tricky rimane a lungo, ma si ha anche una palpabile certezza di precario, instabile, protempore, nella quale l’“Angelo maledetto di Bristol” pare stringere i denti nell’insofferenza nonostante il barlume giocoso, e che non tarderà – una volta esaurita la carica americana - a riprendersi quel Ragazzo della Knowle West zone annullandolo tra le braci, nel limbo del suo scavante tormento interiore, del suo musicare il torbido dell’anima. Un lavoro mutante, un artista complesso, un disco che vale la pena considerare.