Tranchant PAP Tranchant
2024 - Verve
Questa improbabile elucubrazione è in realtà pertinente al caso in questione più di quanto si possa pensare. Il trio Tranchant PAP, formato da Pablo Montagne (chitarra), Andrea Gallo (basso elettrico) e Pierluigi Villani (batteria) esprime infatti una realtà estremamente organica che, per quanto si possa analizzare e scomporre, manifesta un’unità solida e decifrabile.
Il sound espresso in Tranchant, tra jazz e post-rock anni ’90, non gioca sulla classica geometria di solismi - accompagnamento né di uno scontato interplay; tutti i passaggi sono condotti dai tre artisti che si sovrappongono in livelli strettamente intrecciati, dando vita a un corpo sonoro unico continuamente ribollente, generando un effetto quasi polifonico, approccio che si consiglia per l’ascolto del lavoro. Non ci si trova di fronte al classico "power trio", la realtà è ben più raffinata.
La chitarra di Montagne è principalmente accordale, ricordando come si diceva l’approccio di certi “dropout” degli anni ’90, che suggerivano melodie improbabili tramite linee più verticali che orizzontali.
Il basso di Gallo gioca come legante apparentemente sotterraneo, tuttavia sempre presente; è come un regista che non si vede, ma, qualora mancasse, se ne sentirebbe la mancanza. Il suo basso suona quasi come una seconda chitarra anche se più inerziale.
Il drumming di Villani resta vivace, con un eccellente controllo delle rullate e dei passaggi fluidi, nella miglior sintesi del suo spirito partenopeo arricchito da influenze del jazz made in USA. Nel rispetto della coralità le pelli non si impongono mai, preferendo un’intelligente dinamica controllata. La metrica, sovente dispari anche se molto dispersa, introduce poi un effetto di “instabilità” che conferisce ai brani un carattere tutt’altro che scontato.
Le strutture inoltre appaiono aperte, lineari, ben lontane dal classico schema tema – chorus – tema (meccanismo sovente trito e ritrito), preferendo un’evoluzione collegiale del brano.
La logica delle composizioni, tutte originali grazie alla penna di Montagne, ricorda altri ensemble come i COD di Gabriele Corsi, in equilibrio tra la sintesi e la ricerca di sonorità particolari.
Il lavoro si articola su di una scaletta la cui successione appare più come una suite che come una sequenza di pezzi distinti; in questo senso si possono rilevare echi di quella sensibilità prog degli anni ’70 che tendeva a dilatare la scrittura, offrendo un tragitto unitario, quasi un sentiero da percorrere dall’inzio alla fine.
Diventa quindi difficile individuare episodi specifici esemplificativi del disco, data la caratteristica non aneddotica dello stesso. In questo senso può essere interessante notare la continuità tra Little Box e Calma Apparente, due pezzi distanti nella scaletta, ma coerenti nel mosaico complessivo.
Un disco che interessa e unisce sensibilità molteplici, restituendo un risultato figlio dei giorni nostri grazie a discendenze importanti.
Da gustare in tutte le sue sfumature, sia storiche sia creative.