Trailhead BODIES IN THE BASEMENT
2012 - Cannery Row Records
Un paio di anni fa aveva già pubblicato The Road To Salamanca, un album piacevole che già ci mostrava un autore con le idee chiare e buone capacità espressive. Canzoni ben strutturate, tonalità calde e pastosamente concilianti, che già definivano un’attenzione e una cura attenta per armonie delicate e sonorità malleabili. Equilibrate atmosfere armoniose che ritroviamo anche in questa sua ultima fatica; un lavoro, Bodies In The Basement, che palesa una maturità e una sicurezza compositiva incrementata dall’esperienza live sui piccoli palchi dei locali dell’Europa del nord, delle coffe-house o delle librerie dove si incrociano le vivaci intelligenze della cultura giovanile (iniziative quest’ultime pressoché sconosciute nella nostra arida italietta, ma abbastanza comuni nei paesi nordici).
Le sue influenze fanno capolino qua e là, il suo background formativo comprende tutti i classici della west coast e della canzone d’autore a stelle & strisce, da Jackson Browne a Neil Young, da Townes Van Zandt a Gordon Lightfoot, dai Crowed House a Gillian Welch. Quelle di Bodies In The Basement sono songs che hanno una forma mentis riflessiva in cui si intrecciano un fingerpicking morbido e malinconia on the road, countryesque folk e adattamenti armonici pop. L’intro spoglio di Ladybird precede una più strutturata Down The Drain dall’incisivo ritornello, la title track Bodies In The Basement ha il sapore della California early ’70; in Emmanuelle Beart annusiamo umori beatlesiani mentre Ride sparpaglia fantasmi countrycash; la gradevole To The Sea ha un piglio elettrico un po’ alla Wilco.
Ci sono poi le intimità di Moon Overhead; le piacevolezze westcoastiane di Yours And Mine e di Sun Upon My Neck; le suggestioni In This Place e la confortante amabile tenuità di Maps And Charts e di Something’s Always Coming Up.