Toumani DiabatÉ The mandè variations
2008 - World Circuit
Questo disco è figlio di quelle sessions: registrato nello stesso hotel di Bamako, ne recupera alcune forme e soprattutto lo spirito, continuando quello che è il cammino di una musica pura, immacolata.
A noi occidentali, poco allenati alla musica africana e molto affascinati invece da ciò che sa di esotico-etnico, un disco per sola kora potrebbe suonare come un flusso di note vagamente spirituali, buone da tenere in sottofondo per illuminare la giornata. Invece in queste otto tracce ci sono molta storia, molta tecnica e molta ispirazione.
Diabatè – non lo scopriamo certo oggi – è uno dei musicisti più importanti dell’Africa intera: si è esibito in tutto il mondo in varie formazioni, la più recente con la sua Symmetric Orchestra, ha suonato con artisti moderni come Bjork (era sul suo ultimo “Volta”) e già aveva pubblicato un disco di sola kora vent’anni fa (“Kaira”, 1988).
Meno blues di Tourè, con un passo più astratto, Toumani avanza sul percorso dei grandi suonatori di kora (il padre era uno dei “re della kora” e svolse un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’identità musicale indigena del Mali). Quello che ad un primo ascolto pare un semplice suono di arpa (la kora in fondo è una West African harp), in realtà è molto più di un incanto armonioso: sfruttando un’accordatura, denominata “Egyptian tuning”, e una kora modificata, da lui battezzata “machine head”, i brani avanzano su improvvisazioni che ampliano le capacità dello strumento e la portata della tradizione.
Con un grado di raccoglimento meditativo, che non ha nulla di new-age ed è sempre molto teso sugli arrangiamenti, Diabatè fa scorrere nelle sue composizioni inserti di musica indiana, di flamenco, di blues, di richiami al mondo arabo e ovviamente di tanta griot music. Per quanto il risultato sia affatto dissonante, in più di un’occasione i pezzi suonano free, con intricate parti virtuose e con un effetto accorato, garantito dall’accompagnamento delle note basse.
Splendide sono le preghiere dedicate ad “Ali Farka Toure” e ad “Ismael Drame”, quest’ultimo guida spirituale dell’autore, ma ogni brano è una sorpresa, con chicche che guardano anche all’occidente (la londinese “Elyne Road” è ispirata agli UB40, mentre “Cantelowes” cita “Il buono, il brutto e il cattivo”).
Alla fine è quasi riduttivo considerare “The Mandè variations” un disco di “sola” kora.