Toots And The Maytals Light your light
2007 - Fantasy
Giamaicani, hanno alle spalle quarant’anni e più di carriera, anche se il loro è un successo soprattutto a livello nazionale (giusto per ribadire quanto da Kingston e dintorni sia fatto uscire solo un certo tipo di reggae ormai noto). Il factotum della band è Toots Hibbert, un “rasta libero” che non si atteggia a predicatore di Jah o dei soliti valori, ma che impegna la sua voce in un soul colorato e vario.
Se da una parte infatti il suo progetto si distingue per una dinamicità, che gli deriva dall’energia della musica africana, dall’altra il buon Toots ha un’intensità vocale che discende da Otis Redding e Ray Charles. Nelle sue canzoni si sposano vocals in call & response, slanciate come gospel moderni, e andamenti che fanno molto Stax, soprattutto nelle parti dei fiati.
Questo disco, che raccoglie pezzi nuovi e alcune reincisioni dei brani più importanti della sua carriera, si distingue per la varietà e la gamma di colori che offre: la base di fondo reggae si sviluppa assumendo volentieri connotati rock, pop, soul e r&b.
Piacevole ma non troppo easy, luminoso ma non abbagliante, “Light your light” è un disco suonato al di sopra della media e lo dimostrano subito le prime due tracce, con ospiti del calibro di Derek Trucks (slide) e Bonnie Raitt (slide e voce).
Ogni traccia ha il groove giusto, vivace ma mai invasivo (a differenza di molto pseudo-reggae che si trova in giro), grazie all’apporto da polistrumentista dello stesso Toots e di una band che sa dosare anche i momenti più immediati come “Don’t bother me” (ben più gustosa dell’ultimo Manu Chao) o “Celia” (il pezzo che prende più aria con qualche tocco di programming).
Anche quando interpreta standard come “Pain in my heart” (Otis Redding) o “I gotta woman” (Ray Charles), Toots non si limita rincorrere l’originale. Tra le chicche da scoprire ci sono poi la presenza di Danny Thompson, lo ska di “Tribute to Coxson” in medley con il tema di “Guns of Navarone” e la bella idea di “Do you remember”, che parte su un reggae quasi minimale.
Logica la conclusione con la title-track, che chiama l’ascoltatore ad una partecipazione immediata per cogliere tutta l’energia di una proposta che dal vivo dovrebbe essere ancora più pimpante.
Per una volta un disco reggae che cattura ed interessa andando oltre i soliti motivi danzerecci.