Se per caso non siete informati sulle nuove uscite discografiche e tra gli scaffali del vostro negozio di dischi preferito avete scorto il nome di Tim Robbins vi confermiamo che a fine settembre il nostro attore e regista ha esordito come songwriter in un disco che fa gli onori di casa alla sua madre patria, non escludendo alcun elemento della musica americana. Tutt´altro che un hobby Tim, cresciuto a pane e roots, il padre Gil era un noto folk singer: cresciuto nel Village newyorkese, la sua vita è sempre stata divisa a metà tra la militanza e il cinema, molto spesso prediligendo quello impegnato, anche in tempi recenti quando in America non era scontato essere schierati con un certo tipo di cose dai diritti umani, alla sostenibilità e a pacifismo; lui stesso ammette che in quel periodo essere se stessi significava anche essere messi da parte.
La musica per l´attore non è mai stata un elemento di contorno, nelle pellicole come in famiglia, e questo disco ha forse assunto il significato di devozione per cui con tali orecchie e cuore bisogna ascoltarlo. Non è facile approvare lo sconfinamento che taluni artisti fanno in territori altrui, ma bisogna anche considerare la via di fuga che spesso queste esperienze rappresentano. Fatta questa lunga premessa ed esaminate queste indicazioni non in modo giustificativo, il disco in questione non è un opera imprescindibile. Tim Robbins disegna un percorso dettagliato della musica americana, spesso l´attore musicista si diverte a mettersi nei panni di quei menestrelli che hanno fatto la storia, si cala completamente nella parte di un ´dylaniato´ qualsiasi, trasportando la sua arte recitativa nei personaggi musicali a cui si è votato. Ci sono tutti, messi in fila, uno dopo l´altro interpretati da questi brani autografi e questa voce che vale poco più di un esordiente o un cantautore mentre si esibisce in un qualsiasi bar della sterminata provincia americana.
Tim e la sua Rogues Gallery Band si sono divertiti facendo questo esperimento, hanno studiato a tavolino cosa includere nel disco e cosa escludere, i suoni vecchi e quelli nuovi, la suddivisione delle tracce, i suoni elettrici ben separati dalle ambientazioni più folk e radicali; mancano segmenti di questo bignami della storia del rock americano, ma quello che hanno rappresentato non esclude i dettagli sonori e i tagli di scalpello sono ben visibili in queste nove tracce e tutte significano rispetto.
Rimane da chiedersi quanti dischi di questo genere circolino nel mondo, quanti devoti della musica roots abbiamo incontrato, quanti raduni, quanti dilettanti giovani o meno si cimentano e quanti di questi hanno la possibilità di produrre e diffondere un disco così, su larga scala? Forse non importa avere una risposta, e forse nemmeno la domanda è pertinente, il disco in questione ci ha fatto sorridere e forse lo spirito di divertimento il buon Tim ce lo ha trasmesso, intanto lui rimane uno dei nostri attori preferiti e quindi: ´ci vediamo sul grane schermo Tim!´