The Sideshow Tragedy Capital
2015 - Continental Song City / IRD
#The Sideshow Tragedy#Americana#Rock #Rock blues #Indie #duo
Introdotto da una citazione di Paul Éluard, poeta surrealista francese, che incita alla conoscenza e alla trasformazione (socialista) del mondo, Capital, dei texani The Sideshow Tragedy, sfida l'ascoltatore a confidare una volta di più nel sacro principio che il valore della musica non si “conta” e nemmeno si “pesa”: solo 35 minuti per 9 pezzi. Una sfida vinta solo in parte da questo duo chitarra-batteria, attivo da più di 10 anni e con due dischi già pubblicati. Nathan Singleton imbraccia la chitarra resofonica (National resonator guitar), di cui il padre è un esperto collezionista, e questo spiega in parte la spruzzata “campagnola” e folkie che si avverte qua e là in Capital, che invece mantiene in primo piano sonorità corpose e roboanti. A sostenerlo, senza troppi voli pindarici e tecnicismi, c'è il batterista Jeremy Harrell, co-autore di tutti i pezzi.
Il risultato è un lavoro discreto, basato su uno scarno collage di riff chitarristici che prova a far convivere generi diversi, dal blues al rock blues all'hard rock. Il riferimento più immediato (e superficiale) è ai Black Keys, con cui però i Sideshow Tragedy non condividono le forti radici soul e la personalità, o ai White Stripes, per un certa influenza indie. La voce potente di Singleton non riesce a suscitare una vera empatia e, come il suono, rischia di risultare abbastanza anonima, senza “scavare” davvero. Si tira dritto, con povertà di approfondimenti e rifiniture, fin dall'iniziale Number One: un riff ossessivo e angosciante accompagna il racconto di scenari di povertà e decadenza nelle grandi periferie metropolitane americane. Il “piano-partita” resta invariato fino alla fine, a volte virando verso il rock (Keys To The Kingdom, accompagnata da un efficace trapestìo dei tamburi di Harrell), a volte verso una specie di hard-blues, come in Two Guns, che si dispiega tra un'incalzante slide e un cantato rabbioso.
Più interessanti e coinvolgenti i brani atipici rispetto al copione generale, quelli più meditati e acustici. The Winning Side è un pezzo a radici e cadenze folk, suonato e interpretato a velocità supersonica, con corollario di urlacci in sottofondo. Animal Song rallenta il ritmo e segna una pausa: un lento che carbura piano pian e non sfigura pur nel suo evidente archetipo indie. In Plow Song emerge finalmente l'arpeggio della resofonica e torna l'ispirazione roots e folk, in un brano che a metà strada cambia mood e si fa cupo e drammatico. Questa presenza di elementi rootsy è certamente l'aspetto più accattivante del duo e forse il miglior viatico per trovare la giusta alchimia del suono futuro. Per ora siamo a un livello accettabile e a un'onesta rilettura di stili altrui, senza infamia e senza lode.