The Rolling Stones Sticky Fingers (Deluxe Reissue Features Extensive Rare Bonus Material)
2015 - Universal
Uscì in Inghilterra il 23 aprile di 44 anni fa (negli States, il giorno della festa dei lavoratori) e se non siete immediati con l’aritmetica vi dico che era il 1971. Sticky Fingers portò nei suoi solchi un biennio di vita rollingstone style a dir poco pazzesco. È vero che la loro ultima fatica era stata un autentico masterpice della musica rock, album gorgeous come lo aveva definito la critica UK, quel Let It Bleed con cui, se c’era bisogno, la band aveva uncinato il primo posto del Who’s Who dell’universo musicale, non esclusivamente british. Ma la fine dei magici Sixties aveva già scaricato sulle spalle dei cinque non ancora linguacciuti musicisti due bestiali macigni rotolanti che avrebbero abbattuto un elefante: la morte del fondatore Brian Jones (o se non proprio del fondatore, di certo dell’ideatore del nome della band e anima centrale) e il tragico concerto di Altamont, il 6 dicembre, the day the innocence died (visto che il giorno in cui la musica morì si stava celebrando ormai da 10 anni).
Si erano quindi appena affacciati i Seventies. Il contratto con la Decca era scaduto e una grana che avrebbe impegnato la band per oltre un decennio era in agguato. L’attenzione degli agenti del fisco di Sua Maestà sui guadagni degli Stones stava ormai irritando Mick (e la decisione di esiliarsi in Francia era lì alle porte); a Keith ogni tanto tornava in mente la lista compilata dai critici musicali in cui si scommetteva sulla data di dipartita di musicisti borderline per stile di vita, ma solo perché mentre lui restava in pole position su quel foglietto a morire erano gli altri; l’altro Mick (Taylor) ancora non credeva ai suoi occhi per essere diventato la seconda chitarra degli Stones; mentre Charlie e Bill proseguivano il loro tempo in cui se pronunciavano un centinaio di parole al giorno è perché quella mattina si erano svegliati ciarlieri.
C’erano da aprire le porte della nuova decade con un disco degno. Un paio di take li avevano già pronti dall’Alabama. Ora bisognava completare l’album. Sessioni di registrazione per gran parte del 1970, completamento nel gennaio del 1971. Il mondo lo avrebbe conosciuto col titolo di Sticky Fingers, per chi scrive il loro vero capolavoro, disco leggendario, mesmerico e seminale. Un disco che alla musica aggiunse il botto di un design del tutto inutile da ricordare in queste righe, ma che cambiò la grafica applicata all’industria musicale. Si rivelò una miniera d’oro per gli Stones, tra 33 e 45 giri (Brown Sugar), nel linguaggio del tempo che è stato.
Ora quel disco esce in versione espansa, seguendo la linea tracciata qualche anno fa da Exile On Main St. e proseguita con Some Girls. Si contano dieci versioni tra differenti copie fisiche e digitali, se non è un record poco ci manca. Il corpo centrale è dato dalla remasterizzazione del disco originale, un secondo disco di versioni alternate e cinque pezzi live estratti dal concerto della Roundhouse di Londra e tredici dalla gig di Leeds nel marzo 1971 sempre di quell’anno. Non manca un dvd con estratti estratti live al mitico Marquee Club del 26 marzo sempre di quell’anno, un libro di 120 pagine con tanto di zip autentica, mentre per le altre diavolerie rimando ad altri siti, incominciando da quello ufficiale della band.
Tra tutto, la parte del leone è dei due documenti audio in studio. Parlare a distanza di così tanti anni del disco originale forse è pedissequo. Il godimento però di poter ascoltare le sue dieci tracce potenziate può rubricarsi alla voce genuine orgasm. L’attacco irresistible della chitarra sporca di Richards nell’opening Brown Sugar, scritta da Mick sul set del film Ned Kelly e battezzata proprio ad Altamont, un rock’n’roll sudicio e violento per sovrapporre narrativamente un tipo di eroina alla misera storia delle donne africane violentate e frustate dai loro masta; il poetico dialogo tra chitarre di un mondo sospeso che disegna Wild Horses, la cui lirica venne scritta da Richards per suo figlio Marlon appena nato, cancellata da Jagger salvo che per una strofa (Wild Horses couldn’t drag me away) e riscritta da capo (e sul mistero e la leggenda della genesi di questo memorabile pezzo si potrebbe scrivere un intero libro); lo sconfinamento nel niggest soul di Can’t You Hear Me Knocking in cui le seconde linee intervengono come un mediano a tuttocampo: il sax di Bobby Keyes (soprattutto), l’organo di Billy Preston, le percussioni di Jimmy Miller e le congas di Rocky Dijon; la conclusione della precedente Country Honk (o Honky Tonk Women che dir si voglia) nei solchi di Dead Flowers (Far Away Eyes sarebbe arrivata sette anni più tardi); le luride Bitch e Sister Morphine (quest’ultima con le parole di Marianne Faithfull), le assolate You Gotta Move e I Got The Blues (ma quante volte le avrà ascoltate Ry Cooder prima di certe sue colonne sonore?), l‘energica Sway e la chiusura in slow ballad con finale esploso di Moonlight Mile, brano incompiuto di Richards, completato da Taylor senza però che i futuri Glimmer Twins (sì, insomma quei due) avessero pensato di metterlo tra i credit. Insomma un bagno rock-blues-soul vivificato dalla chitarra pastosa di Keith, illuminato dalla voce mai così a lungo tirata di Mick e conincursioni di arrangiamenti orchestrali di Paul Buckmaster assolutamente sbalorditivi per come riescono a far cavalcare i fiati.
Il cd di bonus presenta una versione di Brown Sugar con alla chitarra Eric Clapton, coinvolgente ma non all’altezza dell’originale, Wild Horses in formato acustico (così solo a rafforzare il mito), alternate version di Can’t You Hear Me Knocking e Dead Flowers, un’estensione di Bitch e i live di Live With Me, Stray Cat Blues, Love In Vain, Midnight Rambler e Honky Tonk Women. Se non ci fosse il disco originale, una tracklist da cinque stelle.
Insomma, cercate di restare a galla tra le varie versioni offerte. Ma toglietevi dalla testa che le pietre rotolarono alla grande solo negli anni Sessanta. È una sciocchezza sesquipedale. Il rock aveva già cambiato pelle. I morti si era incominciato a contarli. Di lì a poco il punk avrebbe detto che niente valeva qualcosa. Jagger e Richards avevano scavallato la sinistra e infausta meta dei 27 anni giusto nel 1970. To sink or to swim dicono in Inghilterra. Si misero a volare.
Corrado Ori Tanzi lo trovi anche su:
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