The Rolling Stones Blue & Lonesome
2016 - Polydor
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Il tema è proprio il blues di Chicago: le tracce coprono un periodo che va dal 1955 al 1971, con un nucleo portante costruito intorno ai quattro brani riconducibili al catalogo di Little Walter, al secolo Walter Jacobs, armonicista della Louisiana morto a 38 anni, uno specie di bopper del suo strumento. Intorno c'è un suono potente e autorevole, che evita sia l'ennesima inutile replica accademica sia l'eccesso di reinterpretazione, guidato dalla voce e dall'armonica di Mick Jagger, protagonista assoluto di Blue & Lonesome. Accusato per troppo tempo di voler trascinare la band verso altri lidi, e corromperla con tentazioni commerciali, qui urla, si strugge, si lamenta (qualche volta pure un po' troppo, come su All Of Your Love) alla disperata ricerca dello spirito originario dei Padri. Ma è soprattutto il suo lavoro all'armonica a impressionare per qualità e varietà, sia quando corre e sferraglia all'impazzata sia quando costruisce gli assoli distillandoli nota per nota, toccando il top in Little Rain (Jimmy Reed).
Di sicuro non siamo di fronte a uno show chitarristico fine a sé stesso, come da tradizione nella storia degli Stones, anche se l'intreccio Richards-Wood (e i suoi augusti predecessori) è uno dei Sancta Sanctorum del rock tout-court, e ovviamente non manca nemmeno qui. Godersi il loro interplay intorni ai riff solidissimi e ostinati di Commit A Crime (Howlin' Wolf) e Hate To See You Go (Little Walter), o la cortina elettrica, sporca e vibrante, che allestiscono per Hoo Doo Blues (Lightnin' Slim), è un piacere da intenditori. C'è però anche Eric Clapton, impegnato in quegli stessi studi a rifinire il suo I Still I Do, ospite d'onore in Everybody Knows About My Good Thing di Little Johnny Taylor (con la slide) e nell'intramontabile I Can't Quite You Baby (Willie Dixon): la sua presenza aggiunge tatto, sapienza e un approccio più “dolce” rispetto all'irruenza programmatica delle Pietre. Charlie Watts ci mette il suo drumming leggero ed elegante, qui più variegato del solito e al massimo della concentrazione possibile; poi le onnipresenti tastiere dei fidi Chuck Leavell e Matt Clifford, a coaugulare il tutto.
Sobrio, istintivo, ispirato, Blue & Lonesome, tra uno shuffle e uno slow, è ricco di atmosfere diverse - grazie ancora soprattutto a Mick - ma si mostra compatto e consequenziale, dall'inizio alla fine. Difficile tirar fuori le carte migliori dal mazzo, ma qualche episodio brilla di una luce più intensa. Just Your Fool, riadattamento di Little Walter a partire da un brano di Buddy Johnson, fila via come un treno, disegnando i contorni di un'ossessione: I'm just your fool, can't help myself / I love you baby, and no one else / I ain't crazy, you are my baby / I'm just your fool… La title track vibra di una straziante anima soul, tirata allo spasimo e punteggiata dall'ossessivo controcanto delle chitarre, che non mollano un colpo. All Of Your Love (Magic Sam) sembra già un pezzo degli Stones in tutto per tutto, uno slow rilassato e godurioso, sorretto dalla ritmica jazzy di Watts e infiocchettato con un bell'assolo in tema di Chuck Leavell. Little Rain è forse la performance strumentale più convincente: dell'armonica si è già detto, mentre l'incedere sinistro e spettrale esalta il mood del brano originale.
Ma cos'è quindi questo Blue & Lonesome? Un parto estemporaneo e casuale? Un sentito ritorno alle origini, alle cover blues sparse qua e là nei loro esordi di più di cinquant'anni fa? Una furbata commerciale in sicurezza, che nasconde un vuoto di idee? Le risposte sono tutte valide, e alla fine poco importanti. Quel che è certo è che non si godeva così tanto dai tempi di Voodoo Lounge, o dai primi due dischi solisti di Richards, o forse da ancora prima. E questo basta e avanza a giustificare la metamorfosi della linguaccia, fattasi elettro-bluastra e malata di blues.