Dopo una serie di ascolti alla cieca, non sono faticosi basta essere pigri e testardi e non aver voglia di aprire il cd e leggere le sempre più minuscole note di copertina (tra le altre cose una confezione bella al suo interno, con una quinta teatrale che si apre su un palcoscenico appena si estrae il CD), finalmente (ok sono un po’ tardo oltre che pigro e testardo) ho capito qualcosa. Ho capito cosa amavo e cosa mi sembrava fastidioso e sono riuscito anche a farmi piacere ciò che in un primo tempo mi infastidiva in questo ´The End Of The World´ dei The Real Tuesday Weld.
Il disco appare di difficile datazione. La mia copia segnala essere del 2007 ma le registrazioni (live?) sono attribuite ad un concerto per San Valentino nel 2008. Il locale dove il disco dovrebbe essere stato registrato è un improbabile club londinese di nome ´End Of The Word´. Girando per internet il disco è poi segnalato come essere uscito alla fine del 2009. In molte copie, e in alcune recensioni, pare addirittura che, ad alimentare il voluto e continuo gioco contorto di rimandi infiniti al concetto di verità/finzione, il disco risulti inciso nel 2012 ed esistano copie missate differentemente e senza pubblico!
Nella realtà questo è (ma ne siamo sicuri?) un finto (?) disco live e tutta questa opera di mascheramento della realtà è un abile gioco poetico di Stephen Coates, mente creativa dietro la quale si celano, oltre al nome della Band, anche lo pseudonimo di The Clerkenwell Kid (il cantante che l’annunciatore del concerto dichiara essere il performer a cui attribuire l’opera e le note di copertina la produzione). Ci è chiesto perciò di accettare fino in fondo tutto questo per amare queste canzoni solo apparentemente easy jazz; queste canzoni esageratamente e teatralmente ´finte´ di una finzione che, in parte, ricorda uno tra i più grandi sognatori (il più grande?) che in questi anni abbiamo amato: Tom Waits.
Non ci sono però vocioni e storie incredibili raccontate ´per crederci´ così da dirimerne, anche solo in parte, la distinzione tra realtà e follia poetica, ma continui tentativi di ridurre tutto ad un (in)credibile falso fino a raggiungere l’unica verità nel senso ultimo dei brani che stiamo ascoltando in questo momento, tra finti annunci, finti applausi e canzoni assolutamente vere.
E allora è un po’ inutile parlare delle singole canzoni e conviene immergersi in questa piccola opera (nemmeno trenta minuti) vagamente felliniana che ha la stessa forza di quei suoi film fatti di dialoghi appiccicati, con visionarietà, su bocche che in realtà elencavano ricette inventate o numeri casuali. Un disco solo per chi ancora vuole ancora credere ostinatamente alla (ir)realità del sogno.