The Last Coat of Pink Water`s Break
2023 - Caligola Records
Kathya West (voce), Alberto Dipace (piano) e Danilo Gallo (basso) formano un combo che già in passato ha proposto stimolanti avventure a cavallo tra l’underground, il rock e il jazz, caratterizzate da un sound scheletrico, a volte analitico, sempre comunque profondo per la capacità di mantenere l’essenza dei riferimenti che di volta in volta venivano scelti.
Come premesso, in questo caso di turno è Bjork. I dieci brani che compongono la scaletta sono estratti dai lavori più significativi della cantautrice, da Utopia (2017) a Medulla (2004), da Homogeneic (1998) a Vulnicura (2015) e un paio di altri.
Già qui emerge la prima cifra dell’approccio. Gli artisti hanno saputo pescare nel meglio dell’islandese, lasciando saggiamente da parte altri passaggi meno felici della sua carriera, più forzati e conditi con partecipazioni di classe spesso sprecate.
Se Bjork esprime un’attitudine indie virata al pop, arricchita (e qualche volta appesantita) da arrangiamenti e di tanto in tanto aperta a vaghi echi world, il gruppo parte dalla stessa matrice (indie), ma adotta canoni decisamente più acustici, cameristici e underground. Il risultato è rilevante per la conservazione dei minimi termini, quelli che contano.
West si dimostra performer di spessore, con una bella tenuta lunga delle note che in sostanza rispetta la tessitura degli originali, ma con sfumature più volte alla narrazione che all’effetto di primo impatto. La voce è posizionata su altezze un po’ più basse, ma nemmeno molto, del pentagramma rispetto a quelle dell’originale; questo favorisce un impatto più “spirituale”, decisamente meno mainstream.
Il piano di Dipace è leggerissimo, con una metrica che potrebbe arrivare da certe logiche di Satie; richiami, punteggiature, bordoni giocati su note più alte ad assumere un ruolo complementare nella coloritura dei brani.
Gallo segue la stessa logica giocando, ovviamente, sulle linee più basse. L’alternanza di pizzicati prolungati e l’uso dell’archetto creano un effetto ad elastico che tiene viva la base dei brani; pur con note estese, lente e prolungate la regia del retroterra ritmico è affascinante e permette di assaporare in tutti i dettagli le sfumature.
A titolo esemplificativo si può citare The Hunter, tratto da Homogeneic, forse il lavoro più importante di Bjork. I criteri di rielaborazione applicati dal gruppo emergono in tutta evidenza. Gli arrangiamenti e gli effetti sono eliminati a beneficio delle linee base, che comunque non distorcono la composizione originale. La riduzione è qui soprattutto evidente nella parte ritmica; l’andamento iniziale della versione di Bjork, a cavallo tra il White Rabbit dei Jefferson e il Bolero di Ravel, viene rallentato (anche se non abbandonato del tutto) proponendo poi uno sviluppo lineare e permettendo un leggero crescendo che conferisce un colore raffinato al pezzo.
Ancor più evidente è l’esempio di Where Is The Line, tratto da Medulla. Qui il trio elimina completamente post produzioni, cori di fondo e flauto, ma riesce comunque a conservare, nella sua essenzialità, il senso primordiale e tribale della composizione.
Per realizzare un lavoro del genere è necessario aver approfondito la lezione iniziale avendone colto il senso di fondo. Questo è il valore aggiunto generale del disco; nel rispetto della matrice originale emerge una gran personalità che merita tutta l’attenzione, consigliando anche di recuperare i lavori precedenti del gruppo.
Consigliato per chi ha interesse alla musica di qualità e sul serio indipendente.