The Kentucky Headhunters Live at the Ramblin` Man Fair
2018 - Alligator / IRD
The Kentucky Headhunters hanno pubblicato Pickin' on Nashville, il loro primo disco, nel 1989. I fratelli Fred (batteria) e Richard Young (chitarra ritmica) suonavano, tuttavia, insieme al cugino Greg Martin (chitarra solista), già alla fine degli anni Sessanta in una band chiamata Itchy Brother. Dopo svariate vicissitudini e cambi di organico, i tre si sono rimessi insieme nel 1986, dando vita con Doug Phelps (basso e voce) alla formazione che tutt'oggi li contraddistingue. In trent'anni di musica hanno sfornato, prima di questo Live at the Ramblin' Man Fair ed escludendo le compilation, nove album in studio, dei quali quelli che hanno raggiunto il maggior successo di vendite e di considerazione critica sono stati i primi due (il già citato Pickin' on Nashville ed Electric Barnyard, del 1991).
Il loro è rock and roll senza pretese, sicuramente apprezzato nei tanti locali country and western battuti nella loro pluridecennale carriera. Mentre i dischi in studio suonano esattamente come te li aspetteresti e contengono selezioni musicali che fanno di tutto per venire incontro ai gusti del pubblico di riferimento (ascoltare The Ballad of Davy Crockett dal secondo disco, o Dixie Fried da Rave On!! del '93, per credere), prudentemente mescolati a un blues, a un honky tonk, a un rocker e a una cover, dal vivo i nostri si smollano un po'. L'album in questione è la registrazione del set che ha avuto luogo, nel 2016, alla Ramblin' Man Fair, un rock festival che da qualche anno si svolge a Maidston, nel britannico Kent. Il concerto inizia bene, grazie ad una vigorosa versione di Big Boss Man, il classico di Jimmy Reed, ed è buono pure il piglio della seguente Ragtop, un pezzo originale della band del Kentucky. Già a partire dalla seguente Stumblin', tuttavia, comincia ad insinuarsi il sospetto che il sound di questi veterani non ci riserverà sorprese fino al termine dell'esibizione. Bello il suono saturo delle elettriche, sempre in evidenza, grande il mestiere ma poca l'originalità e zero il carisma. I nodi vengono al pettine quando il gruppo arrischia Have You Ever Loved A Woman?, lo splendido blues di Freddie King diventato cavallo di battaglia anche di Eric Clapton, che Doug Phelps non sa che sbraitare sgangheratamente e in cui l'assolo di chitarra di Greg Martin risulta, al cospetto dei precedenti con cui osa confrontarsi, terribilmente banale e scontato. Eppure il peggio non è ancora arrivato. Dopo infatti un lungo assolo di batteria - in My Daddy Was A Milkman - che suona quanto di più fuori dal tempo un gruppo rock possa proporre nel XXI secolo, i nostri si avventurano, forse in omaggio agli ospiti albionici, in un medley beatlesiano di Don't Let Me Down e Hey Jude che definire amatoriale sarebbe già generoso. Negli ultimi brani del live ritroviamo The Kentucky Headhunters sui binari che sono più abituati a percorrere, ma un senso di fastidio si è oramai impossessato dell'ascoltatore dotato di gusto. Il recensore, che con spirito di servizio si è sottoposto a ripetuti ascolti, trova da parte sua che i barbuti veterani sudisti abbiano da tempo detto tutto quello che avevano da dire.