The Decemberists The crane wife
2006 - Capitol
Ma qui non c’è solo un’attitudine british pop, magari ulteriormente sospinta dalle recenti esperienze soliste di Meloy che si è cimentato, e si sente, anche nel repertorio di Morrissey. Non c’è solo un un’impronta vocale che suona così poco american roots e molto più british folk, come ad esempio in “Sons & Daughter”.
Qui c’è una rotta precisa da seguire: indietro tutta, a vele spiegate verso la terra dei Settanta, sponda inglese ovviamente. E il gruppo di Portland si cimenta infatti in una bella cavalcata di oltre dieci minuti senza nemmeno rischiare di essere sbalzato dall’onda anomala del prog. Nei tre episodi racchiusi in “The Island”, c’è tutto il nuovo strabordare sonoro dei DecemberistS, la loro forza creativa che non si nasconde, che non sa trattenersi. Anche a costo di sembrare musicalmente presuntuosi e pretenziosi. Eppure non affondano, nemmeno quando compiono manovre azzardate. Il mare impetuoso, che ha visto navigare marinai ben più esperti, li perdona, anzi quasi se li coccola nostalgico, questi impertinenti.
Così, scampata la minaccia, Meloy, che con quel cognome fa tanto capitano di vascello di Sua Maestà la Regina, si mette a poppa e in acque decisamente più placide offre la sua tregua con una soffice “Shankill Butchers”. Ma prima di sbarcare ecco le altre due tappe di “The Crane Wife”, superbo vento folk che si placa solo in vista delle bianche scogliere di Dover.
Ecco così compiuto, almeno in questo senso, il lungo viaggio a ritroso dei Decemberists. E chissà che una volta messo piede in Inghilterra non trovino qualche nuova spezia musicale da portare a casa.