Terry Riley Autodreamographical Tales
2010 - Tzadik
Autodreamographical Tales, di Terry Riley, è un disco strutturato in due composizioni separate. La prima, che dà il titolo al disco, è una raccolta di sogni raccontati, musicati e insonorizzati risalente al 1996 quando venne commissionata da una radio americana. La pièce è basata sul “giornale dei sogni” che Riley teneva ai tempi. Ogni mattina, prima di fare qualsiasi cosa, Riley trascriveva i propri sogni ancora liberi nella loro esperienza. Questo esercizio fece in modo che l’attività onirica del compositore americano fosse sempre più stimolata e i sogni divennero via via più lunghi e complessi. Alcuni sogni, montati su musiche eseguite con strumenti più vari, costituiscono i brani di quest’opera interessante e curiosa sotto tutti i punti di vista. Opera che rimanda ad un certo flusso del pensiero ma che si struttura piacevolmente con un ampio ricorso all’esperienza pur rimanendo fresco e ironico così come mistico, ad esempio in The Miracle dove, sostenuto da un Sanctus di sua composizione, racconta di come in Italia sia stato testimone di un miracolo. Ma è l’inconscio del sogno che parla… e poi il sogno degli Zucchini e i frammenti quasi wyattiani di The War On The Poor.
The Hook Lecture prende invece l’avvio da una performance letterario/musicale svolta in teatro a Melburne nel 2006. Qui il racconto si fa più lucido e le capacità pianistiche di Rilley assumono una veste d’incredibile bellezza e originalità tra composizione e improvvisazione. Tra modi colti e indiani, tocchi di chiara matrice jazz e ostinati improvvisi, l’assoluta bellezza di questo The Hook Lecture dovrebbero essere mandate a memoria da chiunque abbia voglia di cimentarsi con un pianismo moderno e non banale così come succede nel capolavoro A Dervesh In The Nursery.
La conclusione del cd arriva con l’unico brano non suo, una We Will Meet Again che arriva direttamente dal repertorio meno “battuto” di Bill Evans[1] con le parole che qui, rispettosamente, si fermano dinnanzi a un sogno ad occhi aperti che solo il tempo della notte, si spera, rileggerà nell’abbandono dell’inconscio per diventare, al risveglio, storia e carne nuova rigenerante per tutti noi.
[1] Questo brano in origine fu composto da Evans dopo il suicidio del fratello maggiore e diede il titolo all’ultimo album in studio del grande pianista americano nel 1979.