Autodreamographical Tales<small></small>
Derive • Suoni

Terry Riley Autodreamographical Tales

2010 - Tzadik

11/04/2011 di Paolo Ronchetti

#Terry Riley#Derive#Suoni

75 anni e non sentirli; un’intimità con la musica pensata e suonata, con il gesto del suono e con il suo pensiero ancora fresco. Un pensiero che si elide nel sogno e che viene recuperato, nel diario giornaliero che raccoglie i sogni freschi della loro esperienza, nell’istante esatto del risveglio. E poi suoni analogici e digitali, frasi musicali sconnesse e armoniose, tessiture ritmiche che rimandano lontanamente il suo pensiero minimalista per approdare alle sue splendide doti d’improvvisatore pianistico di musica indiana jazz e tout court in generale… ma ripartiamo dall’inizio.   

Autodreamographical Tales
, di Terry Riley, è un disco strutturato in due composizioni separate. La prima, che dà il titolo al disco, è una raccolta di sogni raccontati, musicati e insonorizzati risalente al 1996 quando venne commissionata da una radio americana. La pièce è basata sul “giornale dei sogni” che Riley teneva ai tempi. Ogni mattina, prima di fare qualsiasi cosa, Riley trascriveva i propri sogni ancora liberi nella loro esperienza. Questo esercizio fece in modo che l’attività onirica del compositore americano fosse sempre più stimolata e i sogni divennero via via più lunghi e complessi.  Alcuni sogni, montati su musiche eseguite con strumenti più vari, costituiscono i brani di quest’opera interessante e curiosa sotto tutti i punti di vista. Opera che rimanda ad un certo flusso del pensiero ma che si struttura piacevolmente con un ampio ricorso all’esperienza pur rimanendo fresco e ironico così come mistico, ad esempio in The Miracle dove, sostenuto da un Sanctus di sua composizione, racconta di come in Italia sia stato testimone di un miracolo. Ma è l’inconscio del sogno che parla… e poi il sogno degli Zucchini e i frammenti quasi wyattiani di The War On The Poor.   

The Hook Lecture
prende invece l’avvio da una performance letterario/musicale svolta in teatro a Melburne nel 2006. Qui il racconto si fa più lucido e le capacità pianistiche di Rilley assumono una veste d’incredibile bellezza e originalità tra composizione e improvvisazione. Tra modi colti e indiani, tocchi di chiara matrice jazz e ostinati improvvisi, l’assoluta bellezza di questo The Hook Lecture dovrebbero essere mandate a memoria da chiunque abbia voglia di cimentarsi con un pianismo moderno e non banale così come succede nel capolavoro A Dervesh In The Nursery.
La conclusione del cd arriva con l’unico brano non suo, una We Will Meet Again che arriva direttamente dal repertorio meno “battuto” di Bill Evans[1] con le parole che qui, rispettosamente, si fermano dinnanzi a un sogno ad occhi aperti che solo il tempo della notte, si spera, rileggerà nell’abbandono dell’inconscio per diventare, al risveglio, storia e carne nuova rigenerante per tutti noi.   
[1] Questo brano in origine fu composto da Evans dopo il suicidio del fratello maggiore e diede il titolo all’ultimo album in studio del grande pianista americano nel 1979.

Track List

  • Autodreamographical Tales
  • i dwarf
  • ii long bus ride
  • iii see them out there
  • iv the miracle
  • v zuchinni
  • vi black woman
  • vii the faquir
  • viii the war on the poor
  • The Hook Lecture
  • ix the hook 1
  • x the royal 88
  • xi a dervesh in the nursery
  • xii the hook 2
  • xiii the ecstacy
  • xiv turning
  • xv the hook 3
  • xvi ebony horns
  • xvii we will meet again

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