Sturgill Simpson Passage Du Desir
2024 - High Top Mountain / Thirty Tigers
Dopo l'ultimo disco The Ballad of Dood & Juanita, uscito tre anni fa, Simpson ha deciso di adottare un nome alternativo, che evoca i cieli blu delle grandi pianure americane, ed eccolo con questo Passage Du Desir, disco breve, ma denso di idee e innervato da una nuova linfa compositiva. Registrato tra Nashville e i mitologici Abbey Studios di Londra, il lavoro sembra fare tornare alle origini quello Sturgill che, dalla nomination ai Grammy, sembrava perdersi in ruoli diversi: prima il chitarrista nella colonna sonora del manga del 2019 Sound & Fury, poi l'autore bluegrass in due album acustici, e un fuorilegge cantastorie nel ciclo di canzoni The Ballad of Dood & Juanita. Dopo qualche problema alle corde vocali nel 2021, e lo stop al tour, ora ricompare con un nuovo alias, che cerca, riuscendoci, di conciliare lati solo apparentemente contraddittori. Questo può infatti essere considerato il vero seguito di A Sailor's Guide to Earth, perché vi troviamo percussioni penetranti, arrangiamenti di archi e chitarre più blues, un country che vuole evadere dalla materia primigenia e schizzare verso riflessioni ed echi filosofici, astratti e meditativi.
L’album si apre con Swamp of Sadness , in cui è possibile ravvisare un contatto col precedente disco, ma qui l’oceano diviene cupo, denso di desiderio di evasione, che si può trovare anche in Scooter Blues, solo apparentemente lieve e allegra, in cui Simpson - Johnny canta “Gonna hop on my scooter and go down to the store. When people say are you him, I’ll say not anymore.” Che ci sia di mezzo un doppio - lo Sturgill nominato ai Grammy, e il Johnny indipendente e alla ricerca di se stesso - è innegabile, ma anche nelle scelte musicali il primo, quello anagrafico, dimostra la propria versatilità, come nella lunghissima suite Jupiter’s Faerie, ricordo di un amico morto prima che potessero riappacificarsi; qui il musicista inventa un non luogo, una sorta di aldilà in cui sia possibile comunicare, e in cui gli echi anni Settanta si abbinano perfettamente alla voce dolente ed evocativa, insieme country e psichedelica. Cose che solo a lui e a pochi altri (Camille per Prince, ad esempio) riescono.
Ecco infatti arrivare la chiave del dilemma: Who I Am, ballata quasi ermetica nel testo, tanto quanto sembra esplicitamente tradizionale nella musica; perché quello che per brevità è chiamato artista, anche se, incontrandoci, ci potrebbe dire "gurada che non sono io", è anche capace di riportare tutto a casa, confidandoci “I’ve lost everything I am, even my name (...) They don’t ask you what your name is when you get up to heaven. And thank God, I couldn’t tell Her if I had to who I am.”
Grazie, Sturgill. Quale che sia la ragione per cui ti sei trasformato in Johnny, il tuo disco ci porta nel profondo di te stesso, e ci invita a conservare anche noi la nostra più profonda identità, anche quando tutto sembra spingerci a nasconderla, o, peggio, a indossarne un'altra.