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Jazz Blues Black • Impro

Stefano Leonardi Aura

2020 - Leo Records

14/09/2020 di Pietro Cozzi

#Stefano Leonardi#Jazz Blues Black#Impro #Stefano Leonardi #Marco Colonna #Antonio Bertoni #Fridolin Blumer #Heinz Geisser


I disegni astratti e le campiture di colore che illustrano il piccolo pieghevole allegato al cd sembrano essere, ancor più delle parole, la chiave di lettura migliore per le dieci tracce di Aura, l'ultimo lavoro del quintetto guidato dal flautista e compositore trentino Stefano Leonardi. Linee e tinte diverse si mescolano richiamando forme note o percorrendo d'istinto i sentieri dell'astrazione, in un approccio che apre le porte a una creatività non scontata e che ricalca lo stile dell'improvvisazione musicale. Così l'artwork di Aura può servire come guida per avvicinarsi al disco, e come primo passo per confrontarsi con una musica tra i cui solchi difficilmente si trovano parti scritte o percorsi di facile lettura, ma che piuttosto nasce nel momento in cui “si fa”, al crocevia tra idee, sensazioni, emozioni.

Questa premessa, che per i più avvezzi all'arte contemporanea è ovviamente scontata, aiuta ad approcciare il disco con il giusto spirito, e ad apprezzare la profondità e lo straordinario spessore sonoro di un brano come Clay, che sovrappone due fiati, la sezione ritmica, con il contrabbasso e le percussioni liquide, e il guembri, uno strumento a corde pizzicate dei Paesi dell'Africa del Nord. A suonarlo è Antonio Bertoni, che più spesso si ritaglia un ruolo di disturbatore al violoncello, suonato in modo tutt'altro che accademico. L'elemento etnico è sempre ben presente, e altrove incrociamo il sulittu, le squillanti launeddas sarde, il dilli kaval, piccolo flauto della Turchia e dell'Azerbaigian, e l'ocarina cinese. Questo rassegna di rarità non suona però mai posticcia, e nemmeno come un omaggio formale e un po' superficiale alle musiche del mondo, ma resta sempre ben attaccata al progetto generale del disco, il cui focus creativo principale sembra essere l'interazione tra la “batteria” dei flauti e quella dei clarinetti. Leonardi e Marco Colonna si danno il cambio nel ruolo di costruttori e distruttori della trama sonora, e là dove uno imposta una sequenza più logica e coerente l'altro gioca a schizzarla con timbri sonori estremi o raffiche di follia.

Le tracce che più ricalcano questa linea sono Astral Garden, Breath, dove si fa notare anche la poderosa massa grigia e funky della ritmica, e Requiem. Siamo di fronte alla battaglia tra due diverse predisposizioni dell'animo, tra due estremi che però lasciano nel mezzo una ricca varietà di sfumature, tutte da scoprire: atmosfere arcane e altre più sinistre, pause di contemplazione, scoppi improvvisi di follia. Con qua e là qualche più ordinata eccezione. In Sand Shapes ritroviamo una struttura più classica, con due assoli in (quasi) canonica sequenza. In Whirlwind il clarinetto si fa struggentemente lirico, “tirato” al punto da sembrare un sax, ma in realtà senza una direzione precisa che suggerisca un'idea di melodia. Non è un disco facile Aura: richiede attenzione, ripetuti ascolti, disponibilità a mettersi in gioco. Per poi magari concludere che, a ben pensarci, la libera improvvisazione senza agganci armonici e ritmici è molto meno astratta di quel che appare e molto più vicina alla verità concreta della nostra confusa ma in fondo affascinante esistenza.

 



 

Track List

  • Kite
  • Astral Garden
  • Breath
  • Clay
  • Whirlwind
  • Sand Shapes
  • Pulse
  • Requiem
  • Threads
  • Afterglow