Spirit Fingers Spirit Fingers
2018 - Shanachie / IRD
Età media 31 anni, tecnica strumentale incontenibile (basti ascoltare le rapidissime sequenze suonate all'unisono) e una grande ambizione che traspare da ogni singola nota. Il progetto Spirit Fingers, qui alla sua prima uscita discografica, riunisce quattro “giovani leoni” della fusion contemporanea: attorno al compositore e “ideologo” del gruppo, il pianista Greg Spero, si muovono il già acclamato chitarrista torinese Dario Chiazzolino, il bassista Hadrien Feraud (sodale dell'ultimo John McLaughlin) e il formidabile batterista Mike Mitchell. Il risultato è una musica scintillante e variopinta. Con una premessa doverosa: come per tanti nuovi protagonisti della fusion contemporanea (se ha ancora senso chiamarla così) il jazz è solo uno dei linguaggi di partenza su cui costruire un percorso autonomo, e spesso non è nemmeno il principale. Colori scuri, tradizione, pause e incertezze su cui costruire magari una propria personalità artistica più originale non fanno parte del menù.
La filosofia compositiva del disco, messa a fuoco con chiarezza da Spero nelle note del cd, è quella di lavorare sulla giustapposizione di pattern ritmici diversi, facendo scaturire gli assoli da questa stimolante conflittualità. Ci si immerge nel conflitto e nella discordanza, cercando di cavarne spunti melodici. A dare i tempi, tutti riportati accanto ai titoli delle tracce giusto per ribadirne l'importanza, sono soprattutto il piano, con semplici sequenze di accordi, e la batteria di Mitchell, mentre Chiazzolino e Feraud si muovono più defilati e liberi. Detto così, Spirit Fingers appare fin troppo cerebrale o riservato agli addetti ai lavori, e in effetti i primi approcci possono essere un po' ardui, soprattutto se si cerca di seguire pedissequamente il filo dei ragionamenti di Spero. Ma l'impressione è solo superficiale, perché un ascolto più libero ci svela un disco di straordinaria dolcezza, levità ed eleganza. I riferimenti che si fanno sono soprattutto agli ultimi lavori di McLaughlin (vedi su www.mescalina.it/musica/recensioni/john-mclaughlin-black-light la recensione a Black Light, 2016) e ai Return To Forever di Chick Corea, anche se lo spettro del pianismo di quest'ultimo è enormemente più ampio di quello di Spero.
La sequenza delle tracce è interessante: i pezzi veri e propri sono sole sette, inframmezzati da brevi interludi di pura improvvisazione (Movement e Location) e dialoghi piuttosto liberi tra chitarra e piano (Try, Space e Realize), che potrebbero essere l'ottima base di partenza per un futuro disco acustico in duo. Il primo brano, Inside, è una piccola summa dell’intero album: gli accordi del piano e la melodia all’unisono piano-chitarra procedono su ritmi diversi, mentre il basso e la batteria improvvisano dall'inizio alla fine. In For un pugno di note ripetute, a spirale, di Spero, introducono la sonorità drammatica del basso e il tema; gli assoli di Feraud e Chiazzolino sono ineccepibili per tecnica e sapiente concisione. Il pianista mantiene un approccio minimalista lungo tutto il lavoro, soprattutto nell'incipit dei pezzi (come in Find e Being), ma quando prende il “comando” si scioglie in sequenze solari e sempre ricche armonicamente e melodicamente. Find sfoggia una concatenazione di assoli precisa al millimetro tra Spero, Chiazzolino (prevalentemente acustico per tutto il disco, con belle colorazioni gipsy), Feraud (incredibilmente melodico) e Mitchell, dotato di un'energia selvaggia e primordiale. Being è diviso in tre sezioni, dove ogni volta si riparte dai due laconici accordi ripetuti dal piano: ognuna di esse ospita un intervento di Spero, e il più personale è nella sezione centrale. È evidente che il mattatore di Spirit Fingers è lui, lasciando a Chiazzolino, che pur vanta già un'importante collaborazione in tour con gli Yellowjackets, uno spazio più ridotto. Per You si torna a un classico 4/4 in stile jazz funk-rock, con un grappolo di ricorrenti note al piano a dare un inaspettato tocco di esotismo orientale. Feraud viaggia una velocità funambolica, e Spero si ritaglia lo spazio per un atipico assolo “tradizionale”, quasi boppistico.