Sabrina Siegel Piano Breath (action music)
2012 - Modisti
“Più che eseguire note, ritmi o melodie, una canzone o un brano musicale per me è un campo di esistenza, dove vivere, sentire, respirare, esprimersi nel momento, immergersi nel profondo o volare in alto nel sé/Sé, o semplicemente mantenere l’equilibrio, qualcosa che possa rivelare una semplice bellezza o verità. Come nella vita, si cavalcano le onde della grazia e della precarietà: in questa esistenza, più cose guardiamo e ascoltiamo, più facile e potente ne risulterà il nostro volo”. Performer e videoartista, Sabrina Siegel suona pianoforte, chitarra elettrica e viola. Spesso si serve di pietre, spostandole poi sul corpo degli strumenti, per cercare di bilanciare il controllo in modo da introdurre un elemento di instabilità nelle sue esecuzioni e cercando nello stesso tempo di minimizzare l’usura.
Ascoltare i suoi dischi dopo aver letto il libro del trombonista George Lewis sull’AACM di Chicago significa assistere al piccolo miracolo di una artista giovane, anche se già mamma, per nulla legata a quelle esperienze, che si serve del supporto discografico per documentare dei momenti di verità performativa, in barba anche alle dinamiche del suono registrato, come si è fatto allora – certi passaggi nei dischi BYG dell’Art Ensemble of Chicago, ma anche in Europa nei primi tempi di FMP e Incus – e mai più, almeno che io sappia. Mi aspetto poco di meno da una artista che via mail mi cita Krishnamurti, Ramana Maharshi, Nietzsche, Emerson, Deluze, Spinosa – il problema semmai sarebbero gli altri - e il cui modus operandi come videoartista mi ha ricordato tantissimo le Persian Series di Stan Brakhage.
Fatevi un regalo, cercate le sue creazioni in rete – questo disco ve lo scaricate gratuitamente dal sito dell'etichetta, poi c'è Soundcloud - date un occhio alle copertine dei suoi dischi, che sono sue creazioni, non ne resterete delusi se avete cuore e passione. Sedici album a suo nome, collaborazioni con gli ensemble Onomatopoeia, Eugene Opera, Siecox, con artisti come Thollem Mc Donas – me li immagino assieme, e sorrido - mentre in questo ultimo disco Sabrina Siegel si esprime con pianoforte, rocce, un vassoio marocchino, il proprio corpo, la propria voce.
Inutile descrivere quello che troverete nelle dieci tracce di questo album, certo musica e performance, il respiro di Sabrina che si fa tutt’uno col pianoforte accarezzato, colpito, sfregato, scricchiolante, corpo corde e tasti, con l’improbabile speranza di poterla un giorno vedere dar forma con la sua presenza a un luogo d’arte qualsiasi, in carne, ossa e strumenti – ma coi tempi che corrono, e in Italia, poi. Spero a questo punto di potermi recare in Oregon, a Eugene, anche se vista la sincronicità di cui riferisco in capo alla recensione, e il nostro scambio epistolare ancora in corso, data la mia intenzione di documentare la sua attività estesamente, in fondo una connessione è già operativa. Non vi perdete questa piccola, preziosa illuminazione.