Rusties Younger than neil
2005 - FHG Records / I.R.D.
I Rusties coltivano per il grande canadese un amore viscerale, una passione che li ha portati sei anni fa a diventare la prima (credo) cover band italiana di Neil Young: il loro cantante e chitarrista, Marco Grompi, lo conosciamo già in veste di giornalista del Buscadero e in qualità di autorevole scrittore di alcuni libri, tra i quali l’ottimo “Neil Young 1963-2004: 40 anni di rock imbizzarrito”.
È lui l’anima di questa band che, dopo aver esordito con “Rusties Never Sleep”, ci regala, grazie a una manciata di ore dedicate alla registrazione in presa diretta, questo secondo episodio. In realtà il regalo è proprio per Neil Young e la motivazione è la seguente: perché quest’anno compie sessant’anni e “lo fa ancora” (il nuovo disco “Prairie Wind” esce in questi giorni ndr).
Bisogna dirlo, i Rusties sono bravi. Le cover scelte non sono così scontate e la resa è spontanea, proprio come imposto dal tipo di registrazione, immagino scelta non a caso.
La voce di Grompi è credibile, personale anche nell’assomigliare a quella di Neil senza eccessive forzature, così come le chitarre, la seconda è quella di Osvaldo Arenghi artista già al fianco di Enzo Jannacci, sempre incisive come impone il repertorio younghiano.
“Dont’ Cry No Tears” è un ottimo inizio, senza sbavature, convincente e tirata come merita questa splendida canzone che apriva “Zuma”, così come “Harvest Moon” conserva tutta la sua delicatezza originale.
Molto ben riuscite anche “Mansion On The Hill” e “Over and Over”, estratte da “Ragged Glory”, brani che peraltro mettono in luce la grande coesione della band di Grompi. Non mancano ovviamente classici del calibro di “Old Man”, riproposti con devota fedeltà e la lunga “Words (Between The Lines Of Age)” dove i Rusties danno sfogo alle loro virtuose sei corde.
Poteva mancare all’appello “After The Gold Rush”? Certamente no. Così, per non essere scontati con la solita “Title Track”, ed essendo “Southern Man” già apparsa nel precedente tributo, la scelta cade su “I Believe in You”, che certamente non delude. Tutti a casa con “Comes A Time” o meglio con la sua “Human Highway”.
Ma verrebbe voglia di uscire per andare a sentirli dal vivo. Lo so, sono una tribute band.