Rusties Dove Osano I Rapaci
2017 - Tube Jam Records / IRD
#Rusties#Italiana#Rock #Marco Grompi #Osvaldo Ardenghi #Fulvio Monieri #Massimo Piccinelli #Filippo Acquaviva #Rusties #West coast #Bergamo
La rilevanza dei testi è evidente e quasi preponderante fin dal primo ascolto, soprattutto nella parte iniziale del disco, e le canzoni sembrano cucite addosso all'urgenza espressiva di raccontare qualcosa di sé, per la prima volta, in modo diretto: poi il suono si lascia andare, fino alle succose divagazioni strumentali di Una Storia per Noi e Queste Tracce. I componenti del quintetto cantano tutti, ed è un'altra novità, ma pur nella differenza dei timbri si percepisce un'unità di fondo e uno stile comune che richiama anche la recitazione e “sporca” le interpretazioni di ironia, sarcasmo, dolcezza. I temi si muovono tra divagazioni oniriche, più in linea con il sound generale e la voce del leader Marco Grompi (biografo italiano di Neil Young), e tematiche sociali, con qualche cliché di troppo qua e là e qualche buona intuzione sulle vere storture del tempo presente, come in Pezzo di Carta, dedicata alla triste realtà dell'emigrazione intellettuale dal nostro Paese (i “cervelli in fuga”). Intorno gira un bel suono molto seventies, registrato in quattro giorni “in presa diretta” (ci tengono a sottolinearlo), avvolto nelle spire un po' prog e un po' psichedeliche delle tastiere (ottime) di Massimo Piccinelli e delle chitarre di Osvaldo Ardenghi, musicista davvero completo, allievo e collaboratore di Enzo Iannacci. L'ispirazione viene dalla grande tradizione della musica italiana d'autore di quel periodo e, ovviamente, dalle indimenticate atmosfere younghiane e westcoastiane, sottolineate da vigorosi e trascinanti cori.
Ad aprire il disco sono gli accordi cristallini della title track, con un testo programmatico che accosta i rapaci sognatori ai rapaci predatori, in difficile convivenza nel tessuto sociale odierno. È mondo di prevaricazioni il nostro, dove qualcuno cede ai compromessi pur di passare dalla parte dei prevaricatori, come racconta Non Tornerà, pezzo dal ritmo in geometrico crescendo - ben sostenuto da Fulvio Monieri (basso) e Filippo Acquaviva (batteria) - che ritorna con veeemenza su sé stesso e sfocia nel ritornello solo nel finale; le voci si passano la mano, con quel taglio da “cantattori” di cui si diceva sopra. A seguire, dopo la tiratissima Pezzo di Carta spiccano le pagine più leggere e rilassate, affidate soprattutto all'intepretazione e alla penna del leader. Come Planare, in tempo dispari come tanti altri momenti di Dove Osano I Rapaci, culla l'ascoltatore con la slide, il piano e le sonorità rootsy, poco citate altrove. Eclissi, appena screziata dall'armonica, desertica e straniante (“ascolta il silenzio offeso dal tuo volo ipotetico...”) è ancora profondamente younghiana. La matrice progressive emerge invece in Una Storia per Noi, che ha un riff alla Cream e offre terreno fertile per la lunga cavalcata strumentale dove Piccinelli e Ardenghi incrociano le armi per quasi 4 minuti; la formula si replica in Queste Tracce: la chitarra dà il meglio, insieme alle tastiere jazzate, ma la canzone si fa apprezzare anche per l'azzeccato ritornello quasi pop. La chiusura è affidata a Magari Un Motivo, forse l'episodio più interessante e compiuto per scrittura e interpretazione: la chitarra di Ardenghi tallona la voce di Grompi, sottolineandone e ampliandone le malinconie.
L'eco di un bell'impasto sonoro, forgiato in tanti concerti, è la sensazione più intensa e durevole che lascia il disco. Per la band si aprono un nuovo capitolo e una nuova sfida, alla ricerca di una rotta sempre più originale e personale nel cielo della musica italiana.