Powerhouse In An Ambient Way
2015 - Chesky Records / IRD
#Powerhouse#Jazz Blues Black#Jazz #Jazz #jazz rock #Chesky Records #Miles Davis #Wallace Rooney #Oz Noy #Bob Belden #Lenny White #Daryl Johns #In A Silent Way #binaural sound
Rifare In A Silent Way, disco di transizione e di decollo verso il Davis più compiutamente elettrico, è impresa ricca di insidie e ambiguità. Da una parte è un disco assolutamente irripetibile, costruito in quel preciso istante e una volta per sempre sulle libere improvvisazioni dei musicisti di allora, che si basarono su pochissime strutture, quasi dei ritagli di musica: riff, ostinati, pedali di basso, poche melodie esili. Ma proprio per questa sobrietà è, al contrario, un'opera replicabilissima, a patto di non tradirne lo spirito, quel mood quieto e silenzioso, astratto e misterioso, capace di rimanere in bilico fra potenza e atto per quasi un'ora. Questa è la sorgente di tutto il suo fascino conturbante, la sua magia, la sua inossidabile resistenza all'invecchiamento. Fin dalla prima traccia di In An Ambient Way (Shhh/Peaceful), introdotta dall'inconfondibile pedale del basso, è invece evidente che qui i solisti si stagliano ben più evidenti e riconoscibili rispetto al denso e sospeso suono d'insieme che caratterizzò le incisioni del febbraio 1969. Tutto il disco subisce un'accelerazione funk, inevitabilmente più in linea con l'attitudine del Miles successivo, almeno fino al provvisorio ritiro dalle scene nel 1975.
Fatte queste premesse, In An Ambient Way è un disco godibilissimo, che copre tutta la scarna tracklist dell'originale aggiungendo Early Minor, intelligente ripescaggio dalle session, e Mademoiselle Mabry, brano di derivazione hendrixiana tratto da Filles De Kilimanjaro (1968, il disco precedente di Davis) e impostato sulle cadenze di The Wind Cries Mary. A guidare le danze sono la tromba di Wallace Rooney, investito dalla stesso Miles come suo successore, e il versatile chitarrista Oz Noy, che si muove su sentieri fusion e quasi rock tout court - a volte un po' sopra le righe, soprattutto su It's About That Time - ben lontano dallo stile languido e bluesy di John McLaughlin sull'originale. Bob Belden, noto soprattutto per aver curato le riedizioni di numerosi album di Miles Davis, è più convincente al flauto sulla diafana In A Silent Way (ripresa due volte) che al sax soprano, dove il suo timbro è abbastanza dimesso, anonimo. Kevin Hays, al Fender Rhodes, è il più efficace e credibile su tutte le tracce, sia come accompagnatore che come solista, perfettamente immerso nello spirito dell'operazione: basta ascoltarlo introdurre, in un esaltante interplay con il grande Lenny White, Mademoiselle Mabry, fino a lanciare l'assolo di Rooney, che è un piccolo compendio di tutte le variabili dello stile davisiano.
Una parola merita anche l'esperienza di ascolto, che è affettivamente avvolgente e appagante: a tratti i suoni sembrano provenire da uno spazio indefinito della stanza, fuori della cuffie, quasi si fosse circondati dalla musica. Anche senza essere degli audiofili incalliti, il progetto “binaural sound” merita sicuramente un plauso.