Pieter Kock Bright Bars From The Stars
2024 - Meakusma
#Pieter Kock#Elettronica#Downtempo #progressive electronica #Electro #downtempo #psichedelia
Parallelamente ai suoi svariati progetti (dall’alias DJ Peacock al coinvolgimento in qualità di illustre artefice delle fortune in capo al club berlinese Tannenbaum), Bright Bars From The Stars rappresenta uno snodo importante nella discografia del Nostro, in quanto pregno di una consapevolezza artistica elevatissima, evolutasi verso canoni di maturità tali da apprezzarne l'essenza ascolto dopo ascolto.
In principio, Kock si affida a synth aerei radenti il suolo di texture ritmiche sbrigliate a un trotto cadenzato (The Kids Are Alright). Calma olimpica trasmigrata poi in languidi patch per mano di turbinii liquidi afferenti il duo Suzanne Ciani/Jonathan Fitoussi, su flutti e sinusoidi di ecogrammi, interferenze e sibili in ipnosi (Snowy White Hammond Birds).
Prove generali aleggianti un climax fosco, fra rintocchi assai affilati, di aspetto grave e un po' sinistro, trangugiati in successione da clangori psichedelici in consonanza ai Peaking Lights (For Feldman). E a far da traino, una locomozione lenta e incessante, groove già familiare per via di Intro in Times & Places, meraviglia da incensare di Andy Cato (più evidente ancora in Ko Blij Nie Sta, ad attenuare prima il generale piglio un po’ inquietante, e a ridisegnare poi una struttura di tribale e percussivo fascino).
Si è nel pieno, e si infittisce un torvo pathos, che accoglie pure qualche spettro di quel Cowboys a firma Portishead, lì beato ad aggirarsi sulla soglia di Haunting Back To The Future: delay di piano che atterrisce, tagliente e corrosivo, foggiato ad arte per turbare (a far quasi il paio con le agitazioni ipnagogiche a tema sci-fi cinematico di Facial Recognition, fra soffici basi analogiche e synth in superficie apparentemente fuori traccia).
A riprova di un gran fermento eclettico, in apparente stasi, ma sempre incline a svolgimenti cerebrali, la title track si impone a un esercizio di groove storto, strascicante (quasi come il tropico in lo-fi di This Bamboo Is Poisoned), al cui culmine si insedia un ricamo morbido di pads, appropriato contraltare di dissonanti rings in processione verso altre direzioni (trama ritmica replicata in Sting, la cui sorgente tende ad irrigare l'ibrida sperimentazione in capo agli Ultramarine).
Quando è l'ora di andare, soffusi campanellini entrano in scena, e il tempo sembra fermarsi, immortalato in diapositive di glitch il cui strenuo e graduale diradarsi si spinge fino al collasso (The Animals Look At Each Other Differently). È sospensione, elegante defilarsi patinato di un’allure à la Romeo Poirier. Porto sicuro dove ormeggiare, fascinazioni multiple immutabili e, per converso, eterno divenire.