Piero Ciampi Piero ciampi
2004 - BMG/RCA
I pezzi connotano un coinvolgimento veramente d’altri tempi: già in “Sporca Estate” si sente la sofferenza, la solitudine e l’incapacità di costruirsi una vita “normale”.
Pensare che nel millenovecentosessantadue la “Domenica del Corriere” si scagliava contro di lui, che si faceva ancora chiamare “Piero Litaliano” come era stato soprannominato a Parigi, accusandolo di essere uno dei tanti artisti costruiti dal mercato musicale. Peccato perché Ciampi era invece un artista di quelli veri, quelli che, come ogni poeta, scavano nel fondo del proprio animo, portando alla luce paure e miserie che la vita regala, custodendole e rivelandole confidenzialmente come “un miserere”. Parola, quest‘ultima che ritorna spesso nella sua opera.
Ciampi ha vissuto in silenzio, faticando per sbarcare il lunario a fine mese, prima abitando con Tenco, poi in viaggio fra il mondo e Livorno, città natale che lui considerava “la più difficile di tutte”. Non ha indossato alcuna maschera, anzi si è impegnato a decostruire la sua carriera, bevendosi gli acconti dei contratti e presentandosi, nella sua unica apparizione televisiva, visibilmente ubriaco.
L’autodistruzione incombeva anche a livello fisico, di cui è emblema l’ultimo verso de “Il vino”: “Vita vita vita / Sera dopo sera / Fuggi fra le dita / Spera mira spera”.
Questa raccolta ripercorre la carriera artistica e quindi le tappe della sua vita, selezionando canzoni che ne lasciano emergere l’intensità poetica, come “Tu no”, e quella drammatico-teatrale, come “Il Giocatore”. Si percepiscono lo spleen, la povertà e il disincanto “di chi non ha più illusioni”.
Piero Ciampi è stato un personaggio di “Aspettando Godot” (Beckett) che vaga nella cerchia degli sconfitti, con però la stessa intensità poetica e meditativa del “Caligola” di Camus. Ciampi non contemplava il mondo malinconicamente, ma ne viveva la sofferenza fino a piangere, a scoppiare in lacrime poi riversate sull’ascoltatore con un’innata capacità teatrale.
Le musiche di Gianni Marchetti fanno risultare l’aspetto evocativo dei pezzi e rendono forse meno amari i testi, come un’ancora di salvezza. La voce perù rimane agra, come in “Livorno”, in cui la sera è “Triste triste”, e agra è pure la concezione dell’amore come continuo abbandono.
Ancora Ciampi è stato come Meursault, ne “Lo Straniero” di Camus: incompreso, parlava un altro linguaggio, le sue parole erano come il suo “litro molto amaro”.
Difatti è morto sommessamente, come aveva cominciato, nel 1980.