Mah. Di nome e di fatto, effetto discount.
Prendete il metal, privatelo delle sue qualità salienti, ovvero chitarristi ai quali sanguinano le mani mentre fanno riff o assoli a velocità impensabili e cantanti che impugnano spade o mangiano cervelli, toglietegli pure le facce incattivite (e non dite che i Pelican o i Neurosis vi sembrano cattivi perché, tolte le copertine, non rimane di che spaventarsi) ed avrete il post-metal, post-core, post-rock o come cavolo volete chiamarlo. Sempre di trovata americana si tratta e noi giù, gnam, tutto in un boccone.
Tutto sommato ci poteva anche stare quando il riferimento era ´Australasia´, in cui almeno il metallo si sentiva, il prodotto era robusto, la compattezza non mancava e al diavolo le logiche di mercato (pienamente d’accordo). Però mantenere quella linea, cari miei, è davvero faticoso. Lo si intuiva appieno in ´City of Echoes´ che qualcosa non andava, ed ecco la conferma: ´What We All Come To Need´, a mio avviso, ha come destino di essere un episodio altrettanto decadente. Ok, è alternativo, ma a cosa? A qualcosa di più completo? Lo strumentale come concept non è una passeggiata. Ci troviamo di fronte a un lavoro troppo selettivo, scarno, forse più destinato a un non amante del genere, anche se il livello tecnico, d’ambientazione e d’esecuzione sono abbastanza scontati per chiunque ascolti musica da un pò di tempo (e a proposito, si potevano accorciare un attimino le durate!).
Insomma, più ascolto questo disco e più mi sembra di trovarmi di fronte alla prima stesura di pre-produzione di un lavoro ancora incompleto. La domanda mi viene di conseguenza: ma non è che, in alcuni casi, il post (in cui ho evidentemente dei post-giudizi) sia un pre del pre e quindi una pre-sa per il culo? Adoratori del risparmio (ovviamente di qualità, non economico) fatevi avanti, il discount vi aspetta.