PASE Mondonovo
2023 - Baracca e Burattini / The Orchard / Sony Music
Riff e ritornelli, d’altra parte, si ripetono come mantra e incantesimi, tra assoli e violini sintetici ricchi di poesia. Anche al di là delle metafore magiche, Enrico Ruggeri, d’altronde, nel suo commento al lavoro ha definito la band “un perfetto antidoto a questi tempi sciatti e trasandati”. Un certo alone fiabesco è invece confermato anche da C’era una volta, che, tra trame acustiche delicate e piano sognante, ricorda che “questo vivere non è”, ma anche che c’è stato e “ci sarà / un tempo di pura felicità” e da vari altri brani, che raccontano storie di principesse, sognatori, o “una favola antica” in cui ritrovare “qualcuno da amare”, la propria “diva segreta” (Cuspide).
Il disco segna un nuovo inizio con un nuovo nome d’arte per la band nota come Piccoli Animali Senza Espressione, nata da un’idea di Andrea Fusario, ex bassista e fondatore dei Virginiana Miller, ed è accompagnato da un libro, edito da Sillabe, che, con l’aggiunta di testi di raccordo (di Annalisa Boccardi, come le parole delle canzoni), organizza i versi in storia; a stimolare la fantasia di chi si accosta a questo progetto prezioso sono anche le illustrazioni di Dario Ballantini, che con pennellate corpose, colori primari o sfumati, tratti neri decisi e schizzi, mescolano animali fantastici e città ormai in decadenza. Le tavole illustrano “cieli di lapislazzuli” e “foglie di loto bianco”, nell’Orizzonte perduto, abbracci di corpi, cieli notturni e palazzi di “corallo” che brillano “come di cristallo” nella “città del cielo”, tra luci e ombre, tra paesaggi e viaggi reali e onirici, materiati di carta, inchiostro e colori, per seguire la “curiosità”, ultima parola del testo.
L’imbonitore si allontana da luoghi che non riconosce o non vuole riconoscere più e tra i resti delle città del passato, paesi sommersi da un lago e “scheletri di grattacieli”, racconta storie per “salvare il senso dell’umanità”, come si legge nel comunicato stampa, e narra dell’amore salvato in una Time capsule, dove, è “al sicuro, anni luce da qui”, tra “foto, diari”, “libri e lettere”, “favole” e “sogni fragili”. I synth tolgono peso alle canzoni, una ritmica quasi new-wave anni ’80 trasporta in atmosfere setose, vaporose e rarefatte, mentre gli arpeggi delle chitarre elettriche ricamano disegni dolceamari.
Gli assoli hanno un cuore rassicurante, come la speranza di ritrovare in qualche modo e dimensione il proprio amore e stringerlo in una “notte infinita” (Cuspide), perché d’altronde “solo il tempo finirà”, ma “tutto resta come sta”, niente scompare e non c’è stato un “addio” (Nell’oscurità). Altrettanto rasserenante è la fiducia in una possibile rinascita, personale e in fondo anche collettiva, espressa ad esempio ne Il seme della Terra, che fa riferimento nel libro al granello di senape di biblica memoria, il "più piccolo di tutti i semi", ma, che "una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell'orto"; la pianta che rinasce è emblema di come alla fine del viaggio la vita possa continuare ancora e si cerchi di ritesserre e ricucire tutti i fili, se qualcosa è rimasto.
I bassi di Fusario sono voce al contempo accattivante e discreta, mentre il suadente cantato di Edoardo Bacchelli ha una grazia dolce, ammaliante, ma è anche dotato di un fascino in punta di piedi. E si torna così all’idea dell’incanto, come promette Elisir: “Ho portato qui le mie fiale / i miei sieri, il male io vi lenirò”.
Talora i ritmi diventano più vivaci, con cenni quasi di synth-pop, ma immutata resta l’atmosfera fatata, che si conferma trait d'union di questo disco, che ci porta attraverso un afflato poetico e suoni a tratti quasi siderali. Cavalieri di carta e note, viaggiamo anche noi su rotte galattiche, a luce di candela.