Lasciato temporaneamente il suo progetto solista, Rhett Miller ritorna ancora sotto la ragione sociale degli Old 97´s, band con ben otto dischi all´attivo che non hanno mai perso quella verve energica che li ha sempre distinti negli ambienti dell´alternative rock country texano. The Grand Theatre Volume One, come potrebbe sembrare, non è nè un live nè una raccolta di outtakes, il gruppo ha voluto semplicemente mettere in chiaro che ci sarà a breve un secondo capitolo che probabilmente verrà licenziato già nel prossimo anno: l´album in questione parla sempre con il linguaggio più selvaggio ed energico dell´american rock anche se i condimenti, altamente chitarristici e guidati sempre dall´eccezionale Ken Bethea, svelano che ancora oggi nella band vige la voglia di pochi intellettualismi e molta carica rock. Gli Old 97´s però non suonano un rock ´ignorante´, la band di Dallas, pur seguendo i propri istinti, ci tiene a marcare costantemente le proprie origini, a osannare la madre patria, sia culturale che fisica, divertendosi a rielaborare stili legati ai grandi classici del genere senza però omogeneizzare mai il suono: infatti i quattro, a cui si aggiunge un indomito lavoro in fase di co-produzione di Rip Rowan, tendono ad offrire un facile ascolto, diretto e immediato, forse semplicemente raccontando come il mondo e la società americana si sta evolvendo oggi, tra tradizione sudista e globalizzazione. Le canzoni sono spesso venate da un sano ritorno al punk rock, a volte rubacchiando le scenografie dismesse oggi dalla scena alternative internazionale, basta ascoltare gli attacchi ai pezzi, come ci dimostrano con la superficie laccata e l´estetismo diretto e sbarazzino di ´Every Night Is Friday Night´ o l´ebrezza di ´The Dance Class´. Dietro il palco di questo teatro maledetto e borghese, si svolgono vicende tra i non luoghi di un tour nella grande provincia americana: c´è un grande lavoro di rivitalizzazione del buon country, una rielaborazione strutturale in cui il genere viene nuovamente urbanizzato, riadattato un po´ ai tempi di oggi, velocizzato e stravolto a favore del risultato finale; i motivi ritmici di ´The Magician´, l´esaltazione alle origine di "A State Of Texas", l´omaggio a Cash in ´You Were Born To Be In Battle´, sono episodi essenziali per entrare in sintonia con The Grand Theater in cui non vengono tralasciate neanche le folk song, tra le quali spicca una Champaign, Illinois co-firmata (come recita il booklet) da maestro Bob Dylan. Specchi per le allodole a parte, l´ultima prova (anzi già penultima - vista la dichiarazione d´intenti nel titolo del disco) della band è un sereno inno a chi non vuole invecchiare e sopratutto crede in quello che fa, ha solide basi e suona, tutto sommato, in modo onesto.