No Fly What If
2024 - EMME
Cosa sarebbe successo se?.... Una domanda che porta spesso alle aperture sui multiversi e sugli incroci spazio-temporali, aprendo lo sviluppo a libere proposte conseguenti ad altrettanto libere ipotesi.
Luca Di Nisio (chitarra eletterica ed effetti), Fabiano Di Dio (piano, fender rhodes, synths), Bruno Graziosi (contrabbasso) e Luca Di Muzio (batteria, percussioni), unitamente a Gianluca Caporale (sax tenore e soprano) come ospite nella terza e nella settima traccia, danno vita a un progetto che utilizza ingredienti in buona parte noti per una ricetta tutta loro e decisamente attuale.
L’opera starebbe benissimo su palcosenici moderni, di Frisco o di New York, per quella fluidità di genere che caratterizza le spinte centrifughe di molto del jazz contemporaneo anche se, in questo caso, non in direzione world o ethno, come invece sovente accade. E questo é già un aspetto di originalità.
L’elemento improvvisativo non è spinto agli eccessi a favore di una ricerca più orientata al suono o, forse meglio, al sound e ai timbri; da qui un uso calibrato ma sapiente degli effetti elettronici, un ricorso ai mezzi acustici non sempre ortodosso (come il lavoro dell’archetto sul contrabbasso), una chitarra che entra ed esce senza essere mai marcatamente solista o ritmica preferendo intrecci con la tastiera, alla quale sono affidati i momenti più epici oltre che ritmici, giocati questi su cadenze “sfasate” tipiche di un certo post-bop. Alla base di tutto un drumming da “in and out” tra schemi metronomici e slanci in espansione.
I timbri sono sovente “narcotizzati” nella guisa del jazz-rock anni ’70 e il risultato complessivo, in chiave di sintesi, è un effetto sonico corale, con tutto il quartetto presente e un solista a emergere leggermente, ma non prepotentemente, in alcune fasi senza necessariamente seguire una struttura rigida delle battute.
L’esito è a favore di un ascolto coinvolto da un'impressione di traino complessivo, che sorprende per via delle sequenze degli interventi tutt’altro che scontate anche se comunque coerenti, mantenendo quindi sempre la barra dritta del progetto.
Mantra e Aphelium (questo uno dei brani di spicco del disco), grazie all’intervento dei sax di Caporale, sono i passaggi in cui emerge l’anima più propriamente jazz della scrittura, evocando interpretazioni bop in chiave anni ’80 – ’90 nelle quali la fluidità prevale sulla successione dei chorus.
Estremamente interessante e illuminante è l’esecuzione di Das Model, brano dei Kraftwerk del 1978 composto nel loro tipico incedere robotico. Qui il gioco viene completamente ribaltato; scompaiono le parti vocali, il martellare ossessivo dell’elettronica è sostituito da un intreccio dei diversi strumenti che variano le atmosfere richiamando la melodia in una logica di rondò dinamico. Le cadenze ritmiche variano e l’asse temporale è spostato almeno di 20 anni avanti in un mix di impro, rock e avant. Più che di riesecuzione è opportuno parlare di nuova creazione.
Ottimo esordio, da applaudire anche per l’intelligenza di evitare prolissismi e sterili divagazioni. Aperto a tutti, sia per chi viene dal rock (soprattutto quello degli anni ’90), sia dal jazz.