
Nicole Johanntgen Labyrinth II
2024 - Selmabird Records
Nicole Johanngten è una musicista tedesca che va aggiunta alla lista, confermando qui una validità di primo rango in termini sia compositivi sia interpretativi; suona il sax alto e soprano e ha ottenuto numerosi riconoscimenti in concorsi a livello europeo.
In questo lavoro, che si propone come seguito di Labyrinth (2023, già presentato in questa recensione), opera con lo stesso trio; assieme a Jon Hansen (tuba) e David Stauffacher (percussioni) dà vita a un organico insolito, in cui l’ottone sostituisce il basso e le percussioni mantengono un calore superiore a quello del normale drumming. Questa scelta è indicativa del carattere del disco, in perfetto equilibrio tra influssi afro-americani, mittleuropei e latini realizzando un vero e proprio sincretismo, lontano da banali citazioni a espressione di una creazione molto personale.
L’inerzia della tuba, che come già sottolineato sostituisce il basso, conferisce ai brani un andamento lento, cadenzato, a stepping, tipico delle bande popolari germaniche; per contro le percussioni sono in stile fluido e poliritmico tipicamente afro; il sax gioca in mezzo a questo dipolo, generalmente affidandosi a linee melodiche semplicissime (tre, quattro note) con qualche impro che ricorda lacerti del Coltrane spirituale. La ricerca armonica non è predominante, appare più un approccio modale e minimalista con una reiterazione delle trame a tratti ipnotica. Ne è un chiaro esempio il brano di esordio, dall’andamento simpaticamente “ciccione”, ma non per questo banale. La sintesi esercitata tra elementi blues, Dixie, jazz ed europei è veramente efficace; risultato non così frequente in un'epoca dove la musica improvvisata viaggia su binari spesso confusi, dando l’impressione di pescare qui e là senza una direzione organica.
L’aspetto ritmico è tra i maggiori elementi di interesse; sovente la metrica del 4/4 è sfumata con cadenze che parrebbero invece dispari, generando un senso di instabilità all’interno di un’aspettativa più squadrata. L’effetto per chi ascolta è stimolante per via dell’inattenbilità di certe scansioni.
Numerosi possono essere i richiami; dalla semplicità underground in stile Bearzatti / Gallo al post free (chiaramente richiamato nel tributo a Arthur Blythe), dal New Orleans al blues, dal latino (il cameo di Colores e Muchas Gracias) al bop. Il tutto in una geometria di trio molto compatta, nella quale l’alternanza dei chorus è talmente dosata che spesso non ci si rende conto subito del passaggio di staffetta da uno strumento all’altro. In questo senso è interessante notare come il sax alto sia usato sui toni più gravi, così da non introdurre soluzioni di continuità timbriche con gli ottoni.
Inoltre affascinante è notare come le trame siano principalmente basate sulla perfetta sincronia tra i musicisti, testimoniando un’intesa sinergica.
Un lavoro che conferma tutte le qualità già espresse nell’episodio precedente, del quale costituisce un sequel conservandone tutte le caratteristiche.