Neneh Cherry & The Thing The Cherry Thing
2012 - Smalltown Supersound
Trepidante inserisco il cd nel lettore e l’iniziale Cashback mi investe potente con il contrabbasso di Ingebrigt Haker Flaten a tirare solitario il riff, la voce di Neneh Cherry canta sicura: strofa e ritornello e la band entra cattiva. Sono passati trent’anni dai Rip Rig & Panic (tra i migliori in assoluto e neanche una ristampa dei loro cd. Hanno ristampato le schifezze più assolute del periodo spacciandole per oro e la band più preziosa dei primi anni 80 è ancora non disponibile! La mia cassettina con i due album registrati da amici nel 1987 si sta disintegrando! E poi come si può fare?) e la Cherry ancora ci sorprende con una musica che è pop/funk/jazz/wave/sperimentale e allo stesso tempo piena di un groove trascinante. Qualsiasi cosa di non convenzionale e spurio voi desideriate eccolo per l’ennesima volta al massimo della possibilità. I conterranei The Thing (Ingebrigt Haker Flaten: Contrabbasso, Basso Elettrico, Vibrafono ed Elettronica; Paal Nissen-Love Percussioni e Batteria; capitanati da Mats Gustafsson: Sax Tenore e Baritono, Organo e Live Electronics), coadiuvati da pochi fidati amici, offrono alla figlia di Don Cherry la possibilità di catapultarci negli incubi notturni dei Suicide di Dream Baby Dream (forse il brano più bello dell’album con un incedere ipnotico che sa di jazz sudafricano) e subito dopo inscurire Too Tough To Die (a firma Holmes/Topley-Bird) con momenti che, forse grazie al baritono di Gustafsson, rimandano ai migliori Morphine ma con scambi voce/sax assolutamente più estremi. Il sassofonista firma la successiva Sudden Moment che alterna una melodia quasi leggera a break più aperti con un finale dichiaratamente free, mentre la successiva Accordion (cover dei Madvillain) è notturna e incalzante allo stesso tempo.
Il suono articolato del trio sembra essere una base perfetta per il parlato/cantato della Cherry che, oltre ad avere una potenza evocativa impressionante, mostra delle doti canore che le permettono di passare con assoluta disinvoltura dal sussurro all’urlo, passando per un cantato impegnativo e libero che non sembra mai avere cedimenti!
Il grande padre, Don Cherry, è citato, oltre che nel nome del trio (che è quello di un suo brano del ’66 con un mostruoso Pharoah Sanders al sax), nella rilettura della sua Golden Heart (ipnotica e che rimanda a tanta musica proveniente del corno d’africa oggi più famigliare) e nel brano finale, la sospesa What Reason Could I Give del grande Ornette Coleman (con cui il padre aveva suonato e sperimentato per primo il free con lo storico quartetto di cui facevano parte anche Billy Higgins e Charlie Haden).
Non manca il richiamo al più puro e cattivo Rock n Roll come nella sporca e inquieta rilettura di Dirt da Fun House degli Stooges in cui l’ascolto del finale potrà dare alle vostre orecchie un senso nuovo alla parola “sporco” (dopo che per quattro minuti l’ipnosi ritmica vi avrà cullato alla soglia dei vostri “migliori” cupi pensieri)! E quando, dopo l’ultimo volo di sax, inaspettato, il riff rientra all’unisono con la Cherry a mormorare It’s All Right prima del sospiro finale…ecco sarà difficile dire come state, e quanti alti saranno i peli del vostro corpo e quali immagini compariranno nella vostra mente!
Ribadendo come questo The Cherry Thing sia sicuramente uno dei dischi più belli e interessanti dell’anno, rifletterei su come quest’album, assolutamente straordinario, sia figlio diretto di una storia molto lunga e di semi gettati in momenti storici in cui probabilmente molti, più di oggi, avevano voglia di rischiare.