Moltheni Senza EreditÃ
2020 - La Tempesta Dischi
Senza Eredità nasce praticamente nel 1998, perché in questo disco troviamo pezzi che sono stati ideati, scritti, archiviati dal cantautore lungo tutta una vita e che, nel giro di un anno, sono stati ripresi e ricontestualizzati, sistemati e riadattati come ultimo regalo al pubblico e per celebrare anche un percorso importante.
Moltheni è sempre stato un artista coerente, lineare, autentico e fedele a se stesso, per questo in questo disco ritroviamo la sua voce peculiare, la sua delicatezza, il suo modo di comporre e volutamente un'atmosfera che ci riporta agli anni 90 e che via via si estende fino a quello che conosciamo oggi.
Non è certo un album di reminiscenze, quanto più un lascito sentito, un'eredità appunto che il pubblico può godersi senza nostalgia, ché Giardini continua comunque a cantare e a comporre, ad esempio con il progetto Stella Maris o a suo nome. Perché il "senza" allora? Può esserci un cantautore o un artista che idealmente proseguirà un cammino in tal senso?
Assieme a Moltheni in questo disco troviamo dei musicisti che hanno ben fatto la storia della musica italiana dai 90 in poi e che hanno contribuito non poco a delineare un genere che potrebbe rimanere forse senza eredi: Egle Sommacal, Carmelo Pipitone dei Marta Sui Tubi e Riccardo Tesio dei Marlene Kuntz tra gli altri.
Stabilita quindi la cifra autentica del disco andiamo a vedere cosa c'è dentro, a partire dalla copertina che è un collage di foto di famiglia dove compare anche Giardini bambino.
Apre le danze il pezzo La mia libertà, un inedito composto nel 2018, durante il periodo del crollo del Ponte Morandi che viene anche citato nel testo: un pezzo che rimane subito in testa, dall'atmosfera malinconica, dove si sente anche la lotta interiore dell'artista nel cercare di rimanere se stesso nonostante la realtà circostante non offra molti margini di libertà personale: un conflitto eterno, nel panorama delle relazioni umane.
Si passa poi a Ieri, il singolo scelto per presentare l'album, rielaborato e già noto almeno in dimensione live: a ritmo di valzer una ballata accompagnata da piano e chitarre acustiche che rimane in testa facilmente. Segue Estate 1983, che è un viaggio poetico in una dimensione del passato che in molti abbiamo vissuto e in cui ci possiamo ritrovare facilmente.
L'atmosfera è piacevolmente pop, arricchita da qualche effetto notevole, atta a far scorrere in modo lineare il disco che infatti non ha nessuna caduta. Si arriva poi a Il quinto malumore, leggermente più elettrica, con un andamento che potrebbe funzionare benissimo come singolo radiofonico per la sua piacevolezza, nonostante il contenuto non sia dei più felici, si parla comunque di liti di coppia.
E così il disco scorre raccontando frammenti di un percorso coerente fino ad arrivare a un finale che, secondo me, contiene i pezzi più belli del disco assieme all'opening track: Sai mantenere un segreto?, un bilancio esistenziale con atmosfere leggermente più notturne, Il mio tempo, un po' amarcord con un testo dolcissimo e malinconico e Tutte quelle cose che non ho fatto in tempo a dirti, che chiude in bellezza il capitolo.
Non ci troviamo di fronte a un disco innovativo, va detto, ma ci troviamo di fronte a una certezza nel panorama musicale nostrano che non lascia indifferenti e che ci accompagnerà fino al prossimo lavoro di Giardini. Non delude quindi le aspettative, le conferma: un buon disco.