Michele Gazich Argon
2021 - FonoBisanzio
Un pugno di "scritti cantati", perché sarebbe riduttivo chiamarle canzoni, che colpiscono fin da subito per la ricchezza dei riferimenti musicali, letterari e storici, per l'intensità del messaggio, condensata in sette, dense tracce, per la profondità della cura sonora, e, infine, per la potenza di un canto che ricorda il Cohen degli ultimi anni, sospeso fra sussurro, urlo (si ascolti l'omaggio al Dalla di Ulisse coperto di sale) e preghiera, coinvolgente ed emozionale. Il tutto corredato da un libretto sontuoso, che si intuisce diretto a un pubblico internazionale, dalle puntuali traduzioni in inglese di note, testi, commenti.
Gazich, da decenni violinista del cuore di artisti del calibro di Gauthier, Shocked, Andersen, è impegnato, nella propria produzione, in un percorso arduo e coerente, speso nella fede bruciante in una parola poetica e musicale che susciti interrogativi, consoli e innalzi oltre la prosaicità del quotidiano; in Argon raggiunge un equilibrio quasi miracoloso, sempre guidato dalle corde di un violino e di una viola, mai come in questo caso solidali con la sensibilità del loro interprete. Accanto a lui, partecipa al progetto una sorta di piccola orchestra di fuoriclasse: la chitarra di Paolo Capodacqua e di Marco Lamberti, la fisarmonica di Vincenzo Castrini, il bouzouki di Giorgio Cordini, il violoncello di Giovanna Famulari, anche voce insieme a Lara Molino e a Rita Tekeyan, la batteria di Alberto Pavesi, i bassi di Paolo Costola, il pianoforte di Valerio Gaffurini. Il suono che ne esce è totalmente coeso con lo spirito che anima il disco, al servizio di una riflessione ampia e articolata sul passaggio dell'uomo nel mondo, che, come quelli chimici, è elemento minimo di un unicum, di cui non sa trovare il senso, ma nel quale trova, comunque, il proprio posto, con sofferenza e passione.
Gazich dialoga, così, con Roberto Roversi (la già citata Ulisse coperto di sale) e Primo Levi (Argon, che si conclude con uno straziante canto ebraico, in linea con l'origine del musicista); col Montale milanese, di Diario del '71 e del '72 (Canticchiare aiuta) e Ingeborg Bachmann (Il fuoco freddo della luna); con Leopardi (l'intensa Fiume circolare, ode ai poeti, che, come l'Argon, lavorano in segreto, per rendere omaggio all'umanità) e col D'Annunzio rinchiuso al Vittoriale, marginale ed emarginato rispetto alla degenerazione di quel fascismo, a cui diede nome, parole d'ordine, immaginario: un ritratto filologicamente e storicamente corretto, ma mai a sufficienza diffuso, splendidamente colto in Il Vittoriale brucia.
Brani dedicati alla verità, all'essere vivi, o semivivi, in corridoi di solitudine infinita, come Gazich canta, voce vibrante e sincera, in una struggente Lettera a Claudio, il Lolli poeta buono...poeta tremendo, che, come pochi in Italia, seppe esprimere la rabbia e la dolcezza, la malinconia e la polemica nei confronti di un'epoca difficile; una lettera resa ancora più emozionante dal controcanto del suo chitarrista storico, Capodacqua, che, in punta di plettro, rende omaggio a un poeta in musica mai abbastanza ascoltato.
È significativo che il disco si concluda con questo abbraccio, realmente accaduto fra Gazich e Lolli, virtualmente eterno fra quegli artisti e il loro pubblico; per questo, i poeti non hanno mai perso: perché si sono dedicati, in silenzio, in una chimica alchemica, come l'Argon, allo splendido lavoro di costruire emozioni e condividerle con chi li sa ascoltare.
Disco prezioso, da gustare e conservare con affettuosa cura.