Mbongwana Star From Kinshasa
2015 - World Circuit Records/Nonesuch / IRD
Nel 2009 una sconosciuta band di Kinshasa formata praticamente da soli paraplegici, gli Staff Benda Bilili, scoperta da un produttore discografico belga, pubblicò due ottimi albums di musica tradizionale congolese e rumba cubana per poi sciogliersi nel 2013.
Ispirati dalle difficoltà e guidati dalla musica, due anni dopo, dalle ceneri di quella band, due di loro, Theo Ntsituvuidi e Coco Ngambali (voce e principale compositore), porteranno in vita i Mbongwana Star (ovvero“cambiamento stella”), una band di disabili, mercanti di strada e senzatetto, quasi tutti di Kinshasa, con la comune voglia di “evadere” dalle continue guerriglie tra miliziani, ribelli e gruppi tribali, da una struttura sanitaria al collasso e dalla piaga secolare della malnutrizione.
Venendo al disco, bastano pochi minuti e il loro esordio ci sembrerà fin da subito uno dei più “spiazzanti” ascoltati negli ultimi tempi, una originale miscela sonora che si rifà tanto alla tradizione afro-congolese quanto a certi contesti new wave impantanati tra elettronica, funk e atmosfere synth/post punk (determinante nella parte “moderna” l'apporto del bassista/produttore irlandese, unico non congolese, Liam Farrell). Tradizione e modernità che segue in parte le orme dei Konono N°1, altra band di Kinshasa che dieci anni fa partorì, sebbene con minor originalità e compiutezza artistica, un mix intrigante di rumba africana, elettronica e amplificazioni.
“Cambiamento”, questa è la parola chiave che viene ripetuta nell'iniziale percussiva suadenza di From Kinshasa to the Moon e che si percepisce nella seguente fuga ansiogena di Shegue, summa stilistica con synth in evidenza, sonorità basso/chitarra dai rimandi new wave, riverberi vocali, spari elettronici per musica rituale futurista e trance congolese.
I suoni “parlanti” del tribale trip incantatorio afro-alieno Masobele riportano in mente i toni ancestrali di Jon Hassell, le chitarre rimandano alle “teste parlanti”, mentre di velvettiana memoria è l'incedere del basso che apre all'incanto di Coco Blues, splendida pausa elettroacustica che sembra vivere la quiete del momento, con le vocalità che si sovrappongono, distese e contese al cielo, al desiderio, al destino, allo spirito.
Di impatto le intense esclamazioni di Coco che si tuffano nel vortice allucinogeno dal passo marziale di Kimpala Pala, la straniante ossessività di Suzanna , che nonostante i suoi feedback elettronici riesce ad evocare un quadro alieno dove i colori di Graceland (Paul Simon) vengono magicamente abbinati a quelli di Suicide, Autechre e Salif Keita, e l'invasato rosario afro per martelli elettronici e coralità reiterate di Nganshe.
Meno esaltanti il tripudio elettrodance di Kala, le aperture afrobeat di 101 Million Cest Quoi? e l'afro post punk ipnotico di Mulukayi.
Lo “space ipno afro punk rock electro” di From Kinshasa smuove l'animo, si fa espressione urgente, appunto, di cambiamento, di disagio, ma anche di ribellione, di evasione, un cambiamento capace di abbracciare opposti che giganteggiano e si attraggono, tradizione viscerale e ambizione futurista che si fanno immagine del caos vissuto nelle strade piene di contraddizioni e suoni globali di Kinshasa. In definitiva i Mbongwana Star aprono al mondo, alla tecnologia, per andare oltre, poco importa se gli scenari aperti sono avvolti da colori quantomeno contrastanti, di fatto sono l'unica destinazione in grado di promettergli una vita migliore.
Indiscutibilmente uno dischi più incantatori, originali e sensazionali dell'anno.