Massimo Silverio Hrudja
2023 - OKUM
#Massimo Silverio#Italiana#Alternative #Friuli #Carnia #Ricerca #experimentalfolk
Criure immobilizza con la sua ritmica forte, quasi fosse un richiamo: qualcosa sta succedendo; conviene stare attenti. Poi due accordi ripetuti e vagamente inquietanti, quasi lynchiani. La voce di Massimo Silverio prima sussurra in sottofondo, come una invocazione magica, parole incomprensibili. Solo dopo un minuto arriva il cantato: una lingua misteriosa e una voce che verrebbe da definire vagamente alla Jeff Buckley: acuta, quasi in falsetto, espressiva, cantilenante, dalla forte matrice popolare, intima e allo stesso tempo precisa e intenzionale.
Le musiche si muovono tra arcaico e ipermoderno, tra gli strumenti tradizionali della tradizione delle Alpi Carniche, elettronica, violoncelli, chitarre e una strumentazione più canonica trattata sempre con grande attenzione per la creazione di un suono d’insieme personale: tra sogno benevolo e incubo. Colpisce sempre la precisa intenzione degli arrangiamenti e delle coloriture. Jeva è quasi “canonicamente” dark-blues nei pieni strumentali che traboccano di noise, violoncelli suonati con l’archetto da Silverio stesso ma suonati di taglio, sibilanti, distorti e filtrati e che rimangono poi soli nel finale saturo di elettricità (con un effetto fuzzato che implode, come da pedale che esaurisce la sua batteria).
In Nijò la ritmica rimanda agli studi ritmici del Fossati dei primi anni ’90 (provate ad ascoltare le idee all’interno degli album che vanno da 700 giorni a Macramè: c’è un processo creativo sulla ritmica che reputo unico e prezioso, non solo in Italia).
Quando all’ennesimo ascolto, meravigliato, incomincio ad ascoltare quello che c’è dietro la superfice sonora del disco, rimango sorpreso dalla quantità di lavoro fatto dagli infiniti suoni che si sovrappongono e sostituiscono. Spesso è difficile riconoscere la provenienza strumentale dei suoni tanto il lavoro di filtraggio e mix è interessante e coeso grazie al lavoro di Manuel Volpe (anche produttore) e Nicholas Remondino, che, oltre che a comparire come musicisti (assieme a bravissimi Luca Sguerra e Michele Anelli), registrano e arrangiano il disco quasi ne fossero coautori.
Una riflessione a parte va su una lingua che dà ulteriore mistero al lavoro. Viene in mente vagamente l’operazione linguistica di Daniela Pes, ma, mentre la musicista sarda sviluppava una lingua che dal sardo arrivasse ad una lingua propria e inventata, nel lavoro di Silverio si coglie una profonda idea poetica nel non inventare tanto una lingua nuova quanto un modo proprio di unire, di volta in volta, inglese e soprattutto il dialetto cjarniel, dando ai testi una valenza poetica e fonetica importante.
Preceduto da un paio di EP interessanti nel 2021 da cui recupera alcuni brani, Silverio si mette in luce con Hrudja con un prodotto tra i più belli in Italia negli ultimi anni; qualcosa che sta tra ricerca e una forma di pop che deve tanto alla musica e alla cultura popolare quanto al rock e alla musica alternativa più interessante a livello internazionale degli ultimi decenni. Il tutto con personalità incredibile.
Veramente un album da ascoltare e, almeno per me, da amare!
Ps: per gli amanti del cinema non posso non citare un film italiano tra i più belli usciti negli ultimi anni e che tanto mi sembra vicino a questo disco: Piccolo corpo di Laura Samani (2021). Un film friulano recitato in tre dialetti e che mi sembra avere nel suo rapporto con il mistero, la natura, la cultura popolare e la vita alcune coordinate comuni o quantomeno attigue a questo Hrudja.