Martha J. and Chebat Quartet Amelia
2024 - Cressidra Records
Martha J. (voce) si presenta in quartetto con Francesco Chebat (piano e Rhodes), Giulio Corini (contrabbasso) e Maxx Furian (batteria) per un lavoro Amelia, dedicato a interpretazioni non usuali di composizioni dell’artista canadese, rovistando negli angoli meno conosciuti della sua produzione e ben sfruttando le potenzialità della Mitchell, che, stanti i suoi ben noti approcci armonici non scontati, si presta bene a una rilettura in chiave jazz.
L’intervallo temporale all’interno del quale le selezioni sono state operate va dal 1968, anno di pubblicazione di Song to a Seagull, passa per gli anni ’70 toccando lavori quali For the Roses (1972), Court and Spark (1974), The Hissing of Summer Lawns (1975), Hejira (1976), Mingus (1980) e Wild Things Run Fast (1982). Si abbraccia quindi la fase folk iniziale, si attraversa il momento “jazz” per arrivare a uno scampolo del periodo più elettrico.
Una palette ricca e differenziata che ha lasciato un solco non indifferente nella musica pop (intesa nel senso bertoncelliano) grazie anche al personalissimo tracciato della voce di Joni.
Il combo rielabora le partiture compattandosi su di una verve che recupera il tradizionale paradigma di swing / blues, limitando l’improvvisazione a qualche breve variazione decorativa a beneficio di un tocco leggero e raffinato.
Indubbiamente gli arrangiamenti costituiscono uno degli aspetti più interessanti di questo disco. Francesco Chebat riesce in un'efficace sintesi di due dimensioni popolari; quella del jazz “storico”, fondato su di una dimensione da club a volte sussurrata e a volte vibrante, e quella del folk-rock più sofisticato della decade degli anni ’70. L’incontro non è uno scontro, ma uno scambio di contributi da cui sortisce un esito molto spontaneo. Questo grazie soprattutto al canto di Martha J., non imitativo, ma naturalmente empatico con l’eredità della Mitchell. Pur posizionata su altezze più basse, la leader riesce a ricordare ed a rispettare la verve originale, elemento fondamentale per dare un senso a un progetto che evolve di vita propria. Testimonianze ne sono alcuni specials ad appannaggio del piano / basso / batteria, che, pur staccandosi dalle trame delle composizioni originali, ne costituiscono evoluzioni e non strappi.
Senza voler percorrere in modo analitico la scaletta, alcuni riferimenti possono essere esemplificativi.
The Dawntreader, tratta da Song to a Seagull, é un brano strettamente folk alla Joan Baez o Buffy St. Marie, voce e chitarra, ma con un notevole valore aggiunto armonico, che lo sposta decisamente sopra al livello medio cantautorale (anche delle due artiste citate).
Il quartetto capitalizza la maggior disponibilità di voci strumentali; voce perfettamente in linea con il senso del brano, il piano sostituisce la chitarra e poi basso e batteria aggiungono una dimensione ritmica compassata e quindi non stravolgente la matrice base.
L’effetto è un arrangiamento delicato verso il jazz, quasi cameristico, che onora lo spirito base della composizione. Prova ne sono la parte solista al basso, ad appannaggio di Corini, che al basso conferma le sue doti di interprete aperto, tutt’altro che integralista, e la seguente al piano, analogamente corposa, ma raffinata.
The Hissing of Summer Lawns é un brano che vide la Mitchell fondere la sua natura cantautorale con venature jazz sostenute dall’intervento di Pastorius al basso, particolarmente adatto a seguire la canadese nelle sue divagazioni armoniche, nonché dal ricorso a cori e fiati in chiave di pop-soul.
Il combo qui, al contrario del brano precedente, è costretto a ricorrere a uno spettro timbrico ridotto. L’interpretazione pertanto risulta compatta, sobria; lo spirito soul è confermato dall’utilizzo del Rhodes e la proposta generale sposta l’accento più verso una marcata inflessione jazz.
Sweet sucker dance, tratta da Mingus, è il brano che già nella sua concezione originale più si avvicinava allo spirito e alla grammatica jazz, beneficiando della non trascurabile approvazione del gigante di Nogales e dell’intervento di maestri quali Pastorius e Shorter.
Qui il gruppo ricalca uno spirito anni ’50, evidenziando la matrice blues / swing / scat del proprio animo che risulta il vero cemento di questo lavoro.
Disco che brilla per la chiarezza delle idee, per l’interpretazione al canto, per gli arrangiamenti, per le eleganti esecuzioni e per la capacità di compattare diverse anime (folk, jazz, rock) su di una visione unitaria propria, non vacuamente provocatoria, ma, al contrario, in grado di offrire una prospettiva diversa di quella che resta un’eredità importante.
Alla portata di tutti, anche dei fans integralisti della Mitchell.